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Quanto è stata efficace la comunicazione durante la pandemia?

Interior minister Alain Berset ahead of a radio interview
Il ministro dell'interno responsabile della sanità, Alain Berset, è stato molto visibile durante tutta la crisi, rilasciando numerose interviste e presentando le decisioni del Consiglio federale in occasione di regolari conferenze stampa. Keystone / Peter Klaunzer

Le autorità in Svizzera si sono adoperate con ogni mezzo per gestire nel migliore dei modi la comunicazione sulla pandemia. Ovunque sono stati affissi manifesti con le misure da seguire per evitare i contagi, i ministri si sono presentati frequentemente di fronte ai media e sono apparsi spesso in televisione. Ma la strategia di comunicazione è stata efficace e ha davvero contribuito a contenere la diffusione del nuovo coronavirus? 

“Bisogna agire il più velocemente possibile, ma il più lentamente necessario”. Non è un caso che questa frase del ministro della sanità Alain Berset, pronunciata in aprile quando il governo ha presentato la strategia per uscire dal lockdown, oltre che sui giornali, sia stata stampata anche su una maglietta venduta per raccogliere fondi per la catena della solidarietà. Il messaggio è un ottimo esempio della strategia di comunicazione adottata dalle autorità per catturare fin dall’inizio l’attenzione della popolazione sull’epidemia provocata dal nuovo coronavirus: una strategia chiara, misurata e sincera. 

“Un’informazione accolta positivamente da tutti”, sostiene Regula Hänggli FrickerCollegamento esterno, professoressa di mass media e scienze della comunicazione presso l’Università di Friburgo. Chiarezza, coerenza e trasparenza sono elementi chiave dell’informazione durante una crisi, “soprattutto quando la fiducia nelle autorità è fondamentale, come lo è stata in questa pandemia”, indica Hänggli Fricker. 

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Stando ai sondaggi, il governo elvetico ha davvero avuto il controllo sulla comunicazione durante la crisi. Oltre il 60% della popolazione ha avuto fiducia nelle autorità federali. Attualmente, la strategia per uscire gradualmente dal lockdown sta avendo successo vista la diminuzione graduale dei contagi. 

Eppure, all’inizio della pandemia sembrava che fossimo di fronte a una situazione difficile da gestire e che le soluzioni proposte dall’esecutivo fossero inappropriate. La Svizzera, altamente popolata e confinante con il Nord Italia, uno degli epicentri della pandemia in Europa, inizialmente ha registrato un numero relativamente elevato di casi. Quando ha annunciato le misure per lottare contro il virus, il governo ha posto l’accento sulla responsabilità individuale. “Stare a casa” è stata una raccomandazione, non un obbligo. 

Gli inviti dovevano essere convincenti affinché la strategia volta a contenere la diffusione del nuovo coronavirus avesse successo. La gestione della più grande crisi che la Confederazione ha vissuto dopo la Seconda guerra mondiale è stato un compito tutt’altro che facile per uno Stato federale con un esecutivo retto da sette ministri, appartenenti a quattro partiti diversi. 

Uno dei Paesi meglio preparati alla pandemia

Alcuni mesi prima che la crisi provocata dal nuovo coronavirus si accaparrasse le prime pagine dei quotidiani, un rapporto indicava che nessuno Stato era veramente preparato ad affrontare una simile situazione. Nell’Indice globale della sicurezza sanitaria (Global Health Security IndexCollegamento esterno), stilato nel 2019 sulla base di vari indicatori, la Svizzera si era piazzata al 13° posto su 195 Stati presi in esame. La Confederazione ha ottenuto un ottimo risultato (67 punti su 100) per quanto riguarda la sua strategia di risposta a una possibile pandemia. 

Inoltre, nel 2018 l’Ufficio federale della sanità pubblica aveva elaborato un piano di 128 pagineCollegamento esterno, in cui presentava, tra le altre cose, come gestire la comunicazione, definita “una componente essenziale della preparazione e della gestione di situazioni d’urgenza”. “I canali di comunicazione, le competenze e le interfacce devono essere chiare e si deve osservare il principio One Voice“. 

In pratica, la base per la comunicazione durante la crisi era già stata gettata, ancora prima che il 25 febbraio venisse segnalato il primo caso di COVID-19. Inoltre, all’inizio dello stesso mese il portavoce del governo André Simonazzi aveva creato una task force per coordinare le informazioni diffuse dai vari dipartimenti federali.

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Prima della fine di febbraio, le notizie sul virus erano state fornite dall’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP). In seguito, le comunicazioni ufficiali sono state gestite dal Consiglio federale. Con un’epidemia ormai imminente, la gente non aveva solo bisogno di informazioni scientifiche, ma anche di sentire dai membri dell’esecutivo come il Paese avrebbe risposto alla crisi. 

“Fin dall’inizio, l’obiettivo principale del governo era di proteggere la popolazione dal nuovo coronavirus”, ha indicato Simonazzi. Le autorità hanno informato, facendo capo a vari strumenti e canali, per esempio tramite un sito web specificoCollegamento esterno o i social mediaCollegamento esterno. Il 28 febbraio, per la prima volta il governo ha preso le sue decisioni basandosi sulla legge sulle epidemieCollegamento esterno grazie a cui ha potuto adottare misure valide sull’intero territorio nazionale e che hanno condizionato pesantemente la vita delle persone, per esempio il divieto di assembramenti. 

Parlare con una sola voce

Adottando provvedimenti senza precedenti per contenere la diffusione del virus, per esempio il distanziamento sociale o l’invito a stare a casa, il governo ha puntato sul buon senso dei cittadini e non sull’obbligo come hanno fatto invece Francia e Italia.

Andreas LadnerCollegamento esterno, professore all’Istituto di alti studi in amministrazione pubblica dell’Università di Losanna, ha indicato che con il messaggio “contiamo su di te” la Svizzera ha fatto leva sulla responsabilità individuale. “La popolazione è parte integrante della soluzione del problema”. 

Hänggli Fricker dell’Università di Friburgo ricorda che la campagna di solidarietà “Wir/Nous/Noi/NusCollegamento esterno” (promossa nelle quattro lingue nazionali) ha avuto un grande successo. “L’iniziativa poggiava sull’idea ‘siamo tutti sulla stessa barca’ quando è stata proclamata la situazione straordinaria [il 16 marzo]”, dice l’esperta, aggiungendo che la presidente della Confederazione Simonetta Sommaruga ha invitato tutti a rispettare i provvedimenti decisi dal governo. Il Consiglio federale ha inoltre affidato la comunicazione a tutti i membri del governo che alternativamente si sono presentati davanti alla stampa, accompagnati da esperti dei vari dipartimenti federali. 

Secondo Ladner si è trattato di un approccio piuttosto rischioso. “Non è ciò che ci insegnano i manuali di gestione delle crisi, dove si consiglia di affidare la comunicazione a poche persone onde evitare malintesi e informazioni contradditorie”, indica il professore dell’Università di Losanna. 

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Tra il 28 febbraio e il 20 maggio, la Cancelleria federale ha tenuto 46 conferenze stampa, trasmesse in diretta streaming, riguardanti il nuovo coronavirus, di cui poco meno della metà con la partecipazione di consiglieri federali, le altre tenute da esperti. Stando a Ladner, ministri e specialisti hanno cercato di presentare “informazioni basate su dati scientifici. Le conferenze stampa non erano fine a sé stesse, per dare spettacolo”. Inoltre, i consiglieri federali e gli esperti sono entrati nei salotti degli svizzeri durante i telegiornali o trasmissioni d’approfondimento. Si è registrato anche un aumento del numero di utenti che hanno consultato le pagine online dei quotidiani. Le Temps e la Neue Zürcher ZeitungCollegamento esterno hanno addirittura registrato un incremento di oltre il 100 per cento di visitatori sui loro portali internet. 

Imparare dagli errori

Nonostante gli sforzi non si è riusciti a evitare le contraddizioni, a causa anche del fatto che la scienza pubblica studi e ricerche sul nuovo coronavirus a getto continuo. “È stato il caso, per esempio, sulla contagiosità dei bambini, sulle mascherine, sul graduale allentamento delle misure per contenere i contagi e sul lavoro a tempo parziale”, ricorda Hänggli Fricker. “Nonostante queste incertezze, il governo ha agito in maniera conseguente e non contradditoria”. Per esempio, la riapertura delle scuole dopo otto settimane di apprendimento a distanza ha suscitato un ampio dibattito a livello nazionale. 

Le nuove prove scientifiche secondo cui i bambini non sono vettori importanti del COVID-19 non hanno convinto tutti i genitori. Nonostante le proteste, il governo è rimasto però fermo sulla sua decisione di rimandare gli allievi in aula. Il delegato dell’Ufficio federale della sanità pubblica Daniel Koch ha rassicurato a più riprese l’opinione pubblica sul rischio contenuto di contagio tramite i bambini. 

“Se le autorità sostengono che è possibile ritornare in aula, le loro spiegazioni devono essere plausibili”, indica Ladner. “Sostenere che non ci sono dati sicuri sulle conseguenze non è certo una buona strategia sul lungo periodo”. In altre occasioni, le autorità hanno fatto un passo indietro dopo aver comunicato una decisione che con il passare dei giorni si è dimostrata poco felice. Per esempio, la ministra di giustizia e polizia Karin Keller-Sutter ha ammesso che lei e i suoi colleghi non hanno informato in maniera adeguata sulla riapertura di bar e ristoranti. In un primo tempo, questi locali dovevano riaprire dopo le scuole, strategia d’uscita dal lockdown rivista a causa delle veementi proteste del settore della ristorazione. 

Il federalismo non è un ostacolo

All’inizio dell’epidemia in Svizzera, le informazioni sul numero dei contagi da parte delle autorità federali sono state, a volte, poco precise e contradditorie rispetto a quelle fornite dai singoli cantoni. “L’assenza di un sistema di raccolta dati centralizzato ha causato problemi di comunicazione”, sostiene Hänggli Fricker, ricordando che si tratta di un insegnamento per il futuro. Stando ad André Simonazzi, a parte i metodi diversi per conteggiare i contagi usati dai singoli cantoni, la Cancelleria federale ha cercato di coordinare le informazioni del governo e degli esecutivi cantonali. Infatti, dal 2015 i vari attori hanno partecipato a laboratori annuali sulla comunicazione in caso di crisi. 

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“Il federalismo è un’opportunità”, dice Andreas Ladner. Per buona parte del tempo, il sistema federalista ha favorito il dibattito, il consenso e l’unità nel processo volto a trovare soluzioni adeguate per i singoli cantoni, colpiti in maniera diversa dal nuovo coronavirus.

I consiglieri federali si sono anche complimentati con la popolazione per il suo comportamento responsabile durante il periodo peggiore della crisi e hanno cercato di unire il Paese. In aprile, il governo ha ricordato che solo grazie alla disciplina della gente si era evitato il collasso del sistema sanitario e che si poteva pensare a un graduale ritorno alla normalità. 

Tuttavia, le decisioni cantonali non erano sempre in linea con quelle federali. Per esempio, il canton Uri aveva vietato agli over 65 di uscire di casa, mentre il Consiglio di Stato ticinese, confrontato con un numero di contagi sopra la media nazionale, aveva deciso di chiudere temporaneamente le fabbriche e i cantieri. Nessuna di queste misure era però prevista nell’ordinanza governativa COVID-19. Stando a Ladner, le autorità federali sono state confrontate anche con altri problemi, per esempio con la difficoltà di convincere gli abitanti dei cantoni meno colpiti a rispettare i provvedimenti volti a contenere la diffusione del virus. 

Esperti e personalità degni di fiducia

La popolazione ha seguito gli inviti delle autorità poiché ha ritenuto credibili le informazioni diffuse intorno al nuovo coronavirus. Daniel Koch, il delegato dell’Ufficio federale della salute pubblica per le malattie trasmissibili, è il volto della lotta contro il COVID-19. Il modo di informare con voce calma e pacata e il suo passato di medico e delegato del CICR gli sono valsi numerosi elogi da parte dei media, nonostante abbia dovuto affrontare questioni spinose come quelle legate all’obbligo di portare la mascherina o il ruolo dei bambini nella propagazione del contagio, due temi che continuano a dividere l’opinione pubblica in Svizzera. 

Il governo ha istituito una task force scientificaCollegamento esterno con l’obiettivo di superare meglio la pandemia. Il Consiglio federale ha inoltre chiesto ai funzionari dei vari Dipartimenti federali di partecipare alle conferenze stampa affinché avessero la possibilità di rispondere alle domande dei media e chiarire possibili dubbi relativi alle decisioni prese dall’esecutivo. Le autorità hanno cercato di bloccare sul nascere le fake news diffuse online. Lo stesso cancelliere federale André Simonazzi ha postato diversi tweet per denunciare la disinformazione sul COVID-19. 

Nonostante tutti questi sforzi, una piccola parte della popolazione non crede alle autorità. Nelle ultime settimane, centinaia di persone in varie città della Svizzera hanno protestato contro le misure imposte dal governo. Anche le informazioni più dettagliate e credibili nulla possono contro le teorie cospirative, ha indicato a swissinfo.ch l’esperto Sebastian Dieguez. 

La maggior parte degli svizzeri e delle svizzere ha rispettato i provvedimenti del Consiglio federale, così indicano le statistiche. Ora serve però un’analisi approfondita, sostengono i due esperti Hänggli Fricker e Ladner. Solo così si potrà sapere se la comunicazione ha contribuito a ridurre la diffusione del virus e ad appiattire la curva dei contagi. I due professori giudicano efficace la strategia del governo. “È stata una situazione particolarmente complessa che il Consiglio federale ha gestito in maniera egregia”, sostiene Ladner, che ricorda che il compito dei ministri non è ancora finito. “Devono accompagnare la popolazione nel processo verso il ritorno alla normalità, rammentandole che il pericolo non è completamente scampato e che bisogna seguire attentamente l’evolversi della situazione”.

Inchiesta parlamentare sulla gestione della crisi

Le misure adottate dal Consiglio federale e dall’amministrazione per far fronte alla pandemia di coronavirus saranno oggetto di un esame approfondito da parte delle Commissioni della gestione (CdG) dei due rami del parlamento.

A tale scopo, indica una nota pubblicata martedì dai servizi parlamentari, le CdG hanno incaricato le loro sottocommissioni di definire gli ambiti da approfondire e di eseguire gli accertamenti. In questo modo, le CdG credono di poter tenere “adeguatamente conto degli sviluppi della pandemia ancora in corso e dei suoi effetti, nonché dell’ampiezza della materia”. Risultati intermedi sono attesi prima della pausa estiva.

Una simile analisi, precisa il comunicato, dovrebbe contribuire a rafforzare la responsabilità democratica del governo e della sua amministrazione, consentendo anche di trarre insegnamenti per la gestione di crisi future.

La vigilanza parlamentare non esonera tuttavia sia l’esecutivo che i suoi organi dalla rispettiva responsabilità di analizzare criticamente a posteriori le proprie misure e di farle valutare. Il 20 maggio scorso il Consiglio federale ha preso una decisione in tal senso. Le commissioni della gestione invitano il governo a tenerle al corrente di queste analisi interne.

Traduzione dall’inglese di Luca Beti

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