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Le radici centenarie della biodiversità

Una biodiversità fragile in uno scenario maestoso (foto: dida) jacopo pasotti

Le tradizioni culturali e le pratiche agricole ancestrali si riflettono anche sulla ricchezza vegetale delle praterie di montagna.

Comuni svizzeri di origine germanica, latina o Walser non sono distinguono così solo per il loro paesaggio: nei loro prati c’è una grande diversità di erbe e fiori.

Ricercatori svizzeri e tedeschi hanno osservato 216 prati in 12 comuni alpini per studiare gli effetti delle tradizioni culturali e delle pratiche agricole sulla ricchezza vegetale delle praterie di montagna.

Si dice spesso che le montagne non sono più quelle di una volta. Ma potrebbe non essere così, almeno per i pascoli alpini. Una nuova ricerca rivela che ancora oggi prati godono di una biodiversità che ha radici pluricentenarie.

Secondo i ricercatori la ricchezza di specie di erbe delle praterie alpine dipende sia dalle pratiche agricole moderne che dalle loro radici storiche. E c’è dunque un legame tra tradizione culturale e biodiversità.

Nel loro rapporto gli scienziati avvertono inoltre che le politiche agricole attuali tendono ad uniformare il territorio montano. E questo ha un impatto negativo su pascoli e prati svizzeri.

Secoli, millenni, di tradizione. Ma si può migliorare

L’impronta dell’uomo sulle praterie di alta montagna ha almeno 5.000 anni. Ma cosa lega oggi la storia alla biodiversità dei prati alpini? Rispondere alla domanda “è importante”, dicono biologi svizzeri e tedeschi sulla rivista scientifica Biological Conservation. Infatti si legge nel rapporto che “in Svizzera la politica agricola promuove una omogeneizzazione delle pratiche agricole piuttosto che considerare le peculiarità regionali o culturali.”

Ricercatori delle Università di Basilea, Zurigo, e dell’Università di Potsdam, in Germania, hanno affrontato un problema ancora aperto. “È la prima volta che si studiano gli effetti delle tradizioni culturali sulla vegetazione delle praterie alpine”, dice Katrin Mauerer, biologa dell’Università di Basilea e coautrice della ricerca.

Così, studenti e ricercatori si sono avvicendati per quattro anni intorno a 12 località svizzere di origine latina, germanica o Walser. Tra queste c’erano Bedretto in Ticino e Braggio nei Grigioni (di origine latina), Guttannen nel Bernese e Linthal nel cantone Glarona (germaniche) e, infine, Vals nei grigioni e Bosco Gurin in Ticino (Walser).

In una economia montana che produce 130mila tonnellate di formaggio all’anno ed in cui conservare la biodiversità è una priorità, la ricerca è “attuale”, dice Marco Conedera, direttore della Sottostazione Sud delle Alpi, un organo dell’Istituto Federale di Ricerca per la Foresta, la Neve ed il Paesaggio. E lo è anche per aver messo „in relazione le tradizioni e le differenti culture con il paesaggio e poi con la biodiversità.”

Più piccoli i pascoli, più varietà di erbe.

È sufficiente una passeggiata in montagna per notare le diversità culturali impresse nel paesaggio. Ma differenze, anche se più sottili, ci sono anche nelle erbe dei prati. I ricercatori hanno infatti osservato che villaggi di origine latina sono più ricchi di specie erbacee di quelli Walser o di origine germanica.

Questo perchè nei pressi dei villaggi di origine latina i pascoli erano suddivisi tra gli eredi e, generazione dopo generazione, i terreni sono andati rimpicciolendosi. “Ora sono così piccoli che talvolta vengono abbandonati o ceduti in gestione perchè poco redditizi” dice Maurer.

Invece nei comuni di origine germanica o Walser i terreni venivano trasmessi agli eredi senza frammentarli.

La più alta biodiversità dei villaggi con radici latine si deve proprio alla loro frammentarietà ed alla presenza di praterie abbandonate a fianco di altre tutt’ora falciate, a pascolo o a maggese.

Infine, sulla totalità dei terreni studiati, nei campi concimati ci sono mediamente 32 specie di piante, rispetto alle 46 di quelli non concimati. Inoltre i prati ancora in uso hanno più diversità di quelli che sono stati abbandonati.

Ma, concludono i ricercatori, la ricetta per conservare la biodiversità nei prati alpini è favorire una diversità di paesaggio. E dunque enfatizzare le diverse tradizioni culturali.

Un segnale per le autorità.

Il rischio è che a lungo andare, le politiche attuali appiattiscano non solo le diversità culturali ma anche quelle biologiche delle Alpi svizzere, dice Maurer. Secondo lei ciò si ripercuote sulla ricchezza di animali, per esempio portando alla scomparsa di alcune specie di farfalle.

Maurer spiega che gli uffici cantonali e federali “dovrebbero essere interessati ai loro risultati”. Infatti “in futuro si potrebbero modificare le politiche agricole, per tenere conto della diversità culturale nella gestione delle praterie di montagna.”

“Credo che andremo incontro a grandi cambiamenti, se non si troverà una nuova gestione per le aree rurali montane” conclude Maurer ed aggiunge che sarà allora inevitabile la scomparsa di alcune piante ed animali.

swissinfo, Jacopo Pasotti

Lo studio dei pascoli e praterie alpine rientra nel programma nazionale di ricerca 48 del Fondo Nazionale Svizzero, “Paesaggi ed ecosistemi alpini.”

L’obiettivo è prevedere l’evoluzione dei paesaggi e degli ecosistemi alpini sia dal punto di vista del pubblico che in prospettiva di future regolamentazioni, con lo scopo di mantenere la biodiversità naturali.

L’economia e la storia svolgono un ruolo decisivo nello sfruttamento agricolo.

La cultura romanica nelle Alpi risale al 1800 prima di Cristo. Quella germanica si sviluppò nelle Alpi a partire dal 600 dopo Cristo e quella Walser risale a circa otto secoli fa.

216 terreni in 12 comuni svizzeri rivelano che diversità di paesaggio e biodiversità sono collegati.
Nei campi fertilizzati la ricchezza di specie erbacee è minore che in campi in cui non si impiegano i fertilizzanti.
Dei 216 prati e pascoli osservati, 33 sono stati recentemente abbandonati.

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