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Le mafie, avanguardie della mondializzazione

Gli appalti pubblici (nella foto un tratto autostradale tra Palermo e Enna da anni in attesa di essere concluso) sono uno dei settori ai quali da sempre le mafie guardano con grande interesse Roger Wehrli

Nell'era della globalizzazione, il mafioso non è più il siciliano con la coppola in testa. Da anni la Carovana antimafie cerca di sfatare questo luogo comune e di far capire all'Europa che il fenomeno mafioso non riguarda più solo l'Italia. Intervista a Alessandro Cobianchi.

Droga, racket, prostituzione, rifiuti, contraffazioni, appalti pubblici… In Europa il crimine organizzato non è sicuramente in perdita di velocità. Alcuni esperti invitati dall’Università di Ginevra ne hanno discusso lunedì nel quadro di una giornata di studi, dalla quale è emersa soprattutto la difficoltà di lottare in un contesto nazionale contro un fenomeno che non conosce più frontiere e che ha saputo trarre ampio profitto dalla mondializzazione.

Tra i partner della giornata vi era anche la Carovana Antimafie, nata nel 1994 in Sicilia. Secondo Alessandro Cobianchi, coordinatore della Carovana e responsabile dell’area Legalità e antimafia sociale dell’Associazione ricreativa e culturale italiana (ARCI), in Europa il fenomeno delle mafie è a volte ancora sottovalutato.

swissinfo.ch: La Carovana Antimafie è nata nel 1994 in Sicilia e rapidamente è diventata una carovana nazionale. Nel 2005 vi è stata una prima edizione internazionale. Questa volontà di uscire dai confini meridionali e italiani sta a significare che il fenomeno mafia concerne tutto il continente?

Alessandro Cobianchi: Esattamente. Da anni diciamo che le mafie non sono un problema solo del Meridione o dell’Italia. La carovana dello scorso anno è partita contemporaneamente da Roma e da Milano. Abbiamo voluto lanciare un segnale per indicare l’invadenza delle mafie in territori spesso considerati a bassa infiltrazione mafiosa. Il prefetto di Milano dice che nel capoluogo lombardo non ci sono mafie, ma poi vengono effettuati trecento arresti. La ‘Ndrangheta in particolare è ben presente in Lombardia, ma anche in Piemonte, in Veneto, in Val d’Aosta…

swissinfo.ch: E anche in Svizzera?

A.C.: Ovviamente, perché le mafie sostanzialmente stanno dove si muovono i capitali e non si limitano più a un determinato territorio o a un determinato settore. Fondamentalmente sanno fare affari laddove ci sono fonti di guadagno, sul riciclaggio di rifiuti come sul traffico di stupefacenti.

L’idea della mafia coi suoi rituali, arroccata in paesi come Corleone o Casal di Principe, non corrisponde più alla realtà. Si confonde la rappresentazione della mafia con le modalità con cui la mafia moderna oggi si muove. E questo è pericoloso.

swissinfo.ch: Nell’immaginario collettivo il mafioso corrisponde ancora al siciliano con la coppola in testa?

A.C.: Il problema che oggi abbiamo è proprio quello di sfatare questo luogo comune. Spesso ci troviamo di fronte persone che vogliono sentirci parlare di Totò Riina e Bernardo Provenzano. Entrambi però si trovano in carcere da anni e probabilmente non hanno più tanto potere.

Una delle nostre preoccupazioni è anche quella di non confondere troppo il braccio armato della mafia con l’intera mafia, di ridimensionare l’idea che quando si arrestano dei capi si stia sconfiggendo la mafia. Il messaggio che stiamo cercando di trasmettere è che le mafie oggi muovono capitali enormi e che quindi il problema si sposta su altri livelli.

swissinfo.ch: Quali?

A.C.: Soprattutto quello dei mercati finanziari e naturalmente questo è un problema che riguarda anche la Svizzera.

Bisogna inseguire le mafie nei territori dove ci sono ricchezze. Ad esempio, stiamo cercando di dire ai milanesi ‘attenti, nei prossimi cinque anni la più grande speculazione sarà in Lombardia e non certo in Calabria’. Dalle intercettazioni, dagli arresti effettuati, sappiamo che le mafie guardano con molto interesse all’Expo 2015.

swissinfo.ch: A volte non ha la sensazione che fuori dai confini italiani il fenomeno mafie sia un po’ sottovalutato?

A.C.: Sì, e a volte  viene anche rimosso. In Italia è facile affrontare questo tema e attraversare i territori con la nostra carovana. Fuori dall’Italia c’è invece una certa riluttanza. In Germania, ad esempio, non siamo ancora riusciti ad organizzare una tappa. Quando abbiamo evocato la strage di Duisburg, negli occhi dei nostri interlocutori abbiamo notato una certa perplessità, come per dire ‘no, la Germania non è una terra toccata dalle mafie’.

Secondo me, la parola che trae in inganno è proprio la parola ‘mafia’. Credo che ognuno la declini a modo suo. E dal momento in cui all’estero viene declinata secondo la concezione antica, la risposta è ‘no, da noi non ci sono le mafie’.

swissinfo.ch: Cosa può insegnare l’Italia al resto dell’Europa in materia di lotta alle mafie?

A.C.: Negli ultimi vent’anni, in Italia il fronte sociale antimafia è cresciuto e si è consolidato. Da un punto di vista culturale siamo molto avanzati. Ogni anno, oltre 100’000 persone si riuniscono il 21 marzo in occasione della Giornata nazionale della legalità e della memoria contro tutte le mafie.

Ci sono poi i famigliari delle vittime che si sono organizzati e le decine di cooperative e le migliaia di ragazzi che lavorano sui terreni confiscati alle mafie. Si tratta di migliaia e migliaia di ettari. È una strategia che ha un valore simbolico importante, ma anche un valore pratico, perché queste cooperative oggi hanno un fatturato in crescita e rappresentano la dimostrazione che può esistere anche un modello di economia civile. Credo che si tratti di un primo segnale di vittoria, anche se naturalmente ciò non vuol dire che le mafie siano state sconfitte.

E siamo in avanti anche per quanto concerne la legislazione – penso in particolare alla legge sulla confisca dei beni della mafia – anche se oggi vi è il rischio che questo assetto normativo e culturale venga smantellato da una politica del governo che proprio non ci convince.

A mio avviso, una simile legge sulla confisca dei beni dovrebbe essere applicata a livello europeo. Del resto è in atto una campagna in tal senso. Credo che sia uno degli strumenti più forti per lottare contro tutte le mafie. Confiscare il portafoglio al criminale, al corrotto, porta sempre allo stesso risultato: significa togliergli potere e indebolirlo.

La Carovana antimafie nasce nel 1994 da un’idea dell’ARCI Sicilia, con 10 giorni di viaggio da Capaci a Licata, attraversando il territorio con un percorso a tappe che, un anno e mezzo dopo le stragi di Capaci e Via D’Amelio del 1992, si proponeva di portare solidarietà a coloro che si impegnavano in prima fila per la legalità e la giustizia.

Nel 1996, la Carovana diventa nazionale e nel 2005 varca per la prima volta i confini italiani. Quest’anno la Carovana, partita il primo marzo, attraversa anche Francia, Svizzera, Albania, Bosnia, Bulgaria e Serbia.

Nelle 123 tappe sono previste iniziative su oltre 30 beni confiscati alla criminalità organizzata, dibattiti, convegni, testimonianze di familiari di vittime della mafia, incontri con allievi e la cittadinanza, cene della legalità con i prodotti delle terre confiscate, concerti, spettacoli…

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