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Le indispensabili bombe a grappolo svizzere

Munizioni a grappolo, non tutti sono disposti a vietarle. Keystone

La Svizzera senza bombe a grappolo sarebbe più vulnerabile. Questa è almeno l'opinione della Commissione della politica di sicurezza del Consiglio nazionale (CPS). Opinione che Cornelio Sommaruga, ex presidente del CICR, giudica "inaccettabile".

A metà ottobre, la CPS ha deciso con 13 voti a favore, 11 contrari e 2 astenuti di respingere una modifica della legge federale sul materiale bellico e la convenzione sulle munizioni a grappolo.

Questo trattato (Convention on Cluster Munitions, CCM) stabilisce il divieto completo di queste armi. È stato adottato il 30 maggio 2008 dalla Conferenza internazionale di Dublino ed è stato firmato dal Consiglio federale il 3 dicembre 2008.

A far pendere l’ago della bilancia verso una bocciatura nella CPS sono stati gli argomenti di alcuni parlamentari di destra. Stando a questi ultimi, un divieto completo avrebbe indebolito “pericolosamente” la capacità di difesa della Svizzera.

Di tutt’altro avviso è stato invece a metà settembre il Consiglio degli Stati che aveva deciso di ratificare la convenzione con 27 voti a favore e nessun contrario. Per la Camera alta, la Svizzera, con altri Stati, doveva fungere da esempio nella lotta contro queste armi.

Decisione inaccettabile

L’ex presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) Cornelio Sommaruga è “scioccato” dalla decisione della Commissione della politica di sicurezza del Consiglio nazionale. «Con il suo voto unanime, il Consiglio degli Stati aveva indicato la via da seguire in questo progetto delicato e molto importante», dice a swissinfo.ch.

Secondo Sommaruga, la spiegazione della CPS secondo cui un divieto completo delle bombe a grappolo indebolirebbe la capacità di difesa dell’esercito svizzero è “inaccettabile”. «Utilizzandole, un paese mette in pericolo la propria popolazione», sottolinea.

Con la ratifica della convenzione, la Svizzera si impegnerebbe a distruggere queste munizioni, i cosiddetti proiettili a submunizione, entro otto anni dall’entrata in vigore del trattato. Sarebbe uno smantellamento umanitario, sottolinea Sommaruga.

Questo tipo di armi, utilizzate per la prima volta durante la Seconda guerra mondiale, è molto pericoloso per la popolazione civile perché un’elevata percentuale di ordigni rimane sul terreno inesplosa.

Tradizione umanitaria in gioco

«Quando ero a capo del CICR, mi sono battuto a favore del divieto delle mine antiuomo, impegno che ha portato all’elaborazione di una convenzione che la Svizzera ha per fortuna firmato», afferma Sommaruga.

Ora, la Confederazione rischia di finire sulla lista nera delle organizzazioni umanitarie e dello stesso CICR. Un rifiuto del trattato internazionale sarebbe in contrasto con la tradizione umanitaria elvetica e nuocerebbe all’immagine della Confederazione. «Ginevra è il centro della convenzione sulle mine antiuomo e di altre munizioni inesplose. Se la Svizzera si chiama fuori, la base si potrebbe spostare altrove».

Sommaruga si rammarica anche per il fatto che la Svizzera sia stata solo osservatrice e non protagonista durante le conferenze sulle munizioni a grappolo tenute in Laos e Libano.

Nulla di buono all’orizzonte

«Nella mia attività, ho potuto notare che le opinioni divergono all’interno dell’Amministrazione federale. Il dipartimento della difesa era sempre particolarmente reticente, mentre quello degli affari esteri si impegnava a favore di una convenzione, perché le questioni umanitarie sono un aspetto importante della politica estera elvetica», ricorda Sommaruga.

Ora, queste differenze si riflettono anche sulle discussioni parlamentari, deplora l’ex presidente del CICR. «Innanzitutto, il messaggio concernete l’approvazione della Convenzione è stato presentato in ritardo, poi ci sono state delle riserve di tipo legislativo. In più, ora, a dettare l’agenda è il dipartimento della difesa. È una situazione per nulla rallegrante».

Speranza nel nuovo parlamento

La Svizzera approverà la Convenzione sulle munizioni a grappolo? «La Confederazione deve ratificare questo trattato internazionale. Io spero soltanto che il nuovo parlamento sia ragionevole», si augura Cornelio Sommaruga.

Non si possono dimenticare le gravi conseguenze dovute all’utilizzo di queste bombe. A distanza di anni continuano a mietere numerose vittime e ostacolano la ricostruzione postbellica del paese.

«Circa il 50% di queste munizioni non esplode. E chi le fa saltare in aria? Sono persone che ci mettono un piede sopra oppure bambini che ci giocano. Non sono militari».

Lo sviluppo e l’impiego di munizioni a grappolo risale alla Seconda guerra mondiale.

Negli anni 1960 e 1970 sono state utilizzate in maniera massiccia nei conflitti nel Sudest asiatico, in Laos e Vietnam.

Negli ultimi venti anni sono state impiegate nel quadro dei conflitti bellici in Iraq (1991, 2003), in Kuwait (1991), nell’ex Iugoslavia (1999), in Afghanistan (2001/2002) e Libano (2006). Vi sono inoltre indizi di un loro utilizzo anche in Georgia (2008), nello Sri Lanka (2008/2009) e in Thailandia/Cambogia (2011), nonché in Libia (2011).

La convenzione non si limita a sancire restrizioni all’impiego delle munizioni a grappolo, bensì proibisce l’utilizzo di questo tipo di armi in ragione delle pesanti conseguenze umanitarie.

La convenzione è entrata in vigore il 1° agosto 2010. È stata firmata da 111 Stati, 66 dei quali l’hanno ratificata (stato: 1 novembre 2011). Nella lista non ci sono ancora Stati Uniti, Cina, Russia e Brasile.

In Svizzera non vengono prodotte bombe a grappolo. L’esercito possiede tuttavia nei suoi depositi circa 200’000 munizioni d’artiglieria interessate dal divieto, i cosiddetti proiettili a submunzione. Si tratta di armi prodotte negli anni Ottanta e Novanta e costate 652 milioni di franchi.

Ratificando la convenzione, la Confederazione si impegna a distruggere queste bombe entro otto anni dalla sua entrata in vigore. A tale proposito, «la Confederazione intende mettere a disposizione da 25 a 35 milioni di franchi per finanziare le strutture volte all’eliminazione di questi ordigni», ha ricordato la ministra degli esteri Micheline Calmy-Rey.

(traduzione e adattamento dal tedesco, Luca Beti)

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