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Le armi d’ordinanza uccidono 300 volte l’anno

Molti suicidi in Svizzera sono commessi con un arma dell'esercito Keystone

Circa 300 persone muoiono ogni anno in Svizzera a causa di un'arma militare. Lo dice uno studio diretto dal criminologo Martin Killias.

Giocano purtroppo un ruolo centrale nei drammi famigliari e nei suicidi, constata la ricerca, resa pubblica proprio prima del dibattito in parlamento.

Drammi familiari e suicidi sono spesso commessi con armi in dotazione all’esercito. Lo afferma uno studio diretto da Martin Killias, criminologo di Losanna.

Alle armi d’ordinanza, secondo il ricercatore, sono riconducibili i due terzi dei suicidi e un terzo delle violenze familiari. Le uccisioni sul suolo pubblico sono invece dovute per il 60% ad armi illegali. Killias ha formulato queste cifre sulla base di dati ancora parziali, che concernono undici cantoni, pari circa al 60% della popolazione.

Non tenere munizioni in casa

Ogni anno, ha detto Killias in un’intervista al quotidiano Berner Zeitung, 300 persone perdono la vita in seguito a ferite procurate da armi in dotazione all’esercito: “è molto più di quanto ci aspettavamo”.

Le armi d’ordinanza non servono solo ad uccidere, ma anche a minacciare. Come prima misura di lotta a questa situazione, il criminologo propone che l’esercito smetta di distribuire munizioni ai militari in congedo. “Ciò permetterebbe di ridurre gli abusi e i drammi famigliari”, sottolinea Killias.

Killias è convinto inoltre che sia ugualmente necessario limitare massicciamente la vendita di munizioni: in caso di votazione popolare, al contrario del parlamento, la gente sarebbe del suo stesso parere, dice nell’intervista.

Fiducia ai soldati

A novembre il governo svizzero aveva espresso la sua volontà di continuare “a dar fiducia ai soldati”. In futuro chi vuole conservare l’arma d’ordinanza dopo il servizio militare dovrà solo provare il suo interesse per il tiro.

Gli ex militari dovranno inoltre confermare per iscritto che non vi sono motivi di impedimento per conservare l’arma. Il governo ha rinunciato insomma a richiedere un estratto del casellario giudiziale.

Nel 2005 il 29% dei soldati hanno deciso di conservare il fucile d’assalto al termine degli obblighi militari. Tra i detentori di una pistola questa quota è stata addirittura del 95%.

Il permesso di conservare l’arma viene accordato a soldati che non danno adito a problemi durante tutto il periodo del servizio militare. Ma negli ultimi tempi diverse voci si sono levate per chiedere un divieto totale, esteso anche ai militi in servizio, della custodia delle armi d’ordinanza a casa.

In seguito ad alcuni drammi famigliari, tra cui la tragedia della famiglia della campionessa di sci Corinne Rey-Bellet nell’aprile scorso, la rivista femminile svizzero-tedesca “Annabelle” aveva lanciato una petizione per esigere un bando. Il testo è stato sottoscritto da 17’400 persone.

swissinfo e agenzie

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In Svizzera, ogni persona che presta servizio militare riceve munizioni ed un’arma personale (fucile d’assalto o pistola con relative munizioni) che deve conservare al proprio domicilio. Una volta assolti gli obblighi militari, ognuno può tenere l’arma.

Prestano servizio nell’esercito svizzero 220’000 militari (attivi e riservisti). Al termine del servizio, tre soldati su dieci conservano il fucile d’assalto (2005) e quasi tutti conservano la pistola.

Lo scorso settembre la rivista femminile svizzero-tedesca “Annabelle” aveva lanciato una petizione per esigere il divieto di tenere le armi dell’esercito in casa. Il testo è stato sottoscritto da 17’400 persone.

La legge sulle armi è attualmente sui banchi del parlamento. La prossima settimana il Consiglio nazionale (camera del popolo) deve prendere una decisione in merito.

Il risultato dello studio è ancora parziale. Finora sono stati passati al setaccio 11 cantoni, 60% della popolazione. I risultati definitivi sono attesi per l’estate del 2007.

La ricerca è stata diretta dall’eminente criminologo Martin Killias. Docente a Zurigo e Losanna collabora anche spesso con la Confederazione e il Consiglio d’Europa.

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