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Lavoro per rifugiati, posti vacanti

Alcuni non possono approfittarne, altri preferiscono accontentarsi di aiuti anziché investire in una formazione professionale

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Integrare i richiedenti l’asilo nel mondo del lavoro è una vera impresa. I progetti lanciati da Confederazione e Associazione svizzera dei contadini non suscitano grande interesse.

Non pochi migranti preferiscono accontentarsi di pochi soldi, piuttosto che investire in una vera formazione professionale.

Quest’anno, contrariamente al 2015, non ci sono migranti che lavorano nell’azienda agricola di Beat Bösiger, a Niederbipp, canton Berna. A mancare è il loro interesse: “È sorprendente”, ci dice l’agricoltore. “Sembra che in Svizzera non ci siano migranti. Ma non è così. Forse non sono molto motivati.”

La vede diversamente Martin Reichlin, della Segreteria di Stato per la migrazione: “I rifugiati sarebbero disposti a lavorare nei campi, ma sono già coinvolti in altri progetti o abitano lontano dalle aziende agricole.”

Lavorare significa anche cedere una parte di salario allo Stato. Per il vitto e l’alloggio. E così, alcuni preferiscono vivere dell’assistenza sociale. Un problema per Marcel Suter, presidente dell’Associazione dei servizi cantonali di migrazione.

“È la strada sbagliata. Una tendenza che va contrastata. È fondamentale convincerli della bontà di questi progetti e dell’importanza di acquisire esperienze lavorative.”

Come quella che sta facendo Zereit Zeray, impiegato dalla ditta bernese Zimmermann: “È importante. Imparo molto e mi sento bene, anche con i colleghi.”

Qui subentra un altro aspetto, quello della formazione professionale. “Diversi migranti non riconoscono l’utilità di imparare un mestiere”, osserva Marcel Suter. “Dovrebbero invece capire che prima di lavorare bisogna investire qualcosa. Solo così potranno vivere in modo indipendente.”

L’eritreo Zeray l’ha capita. Il suo esempio potrebbe forse fare scuola. In Svizzera sono infatti oltre 25’000 i migranti in età lavorativa che sono disoccupati.

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