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La tragedia famigliare dell’odio e dell’amore

Quando amore e odio giocano a mosca cieca. pardo.ch

La sessualità nascente di un'adolescente, il desiderio represso che tormenta il padre e un rapporto morboso fatto di attrazioni e repulsioni: è su questi elementi che si snoda "Songs of Love and Hate", il dramma famigliare portato in scena da Katalin Gödrös.

In lizza per il Pardo d’oro assieme ad altri 17 film, “Songs of Love and Hate” non racconta la storia di un incesto, ma di come il rapporto tra un padre e una figlia possa essere sconvolto da una sessualità che annienta ogni forma di innocenza, portando alla deriva un’intera famiglia.

«Ho cercato di mostrare quelle dinamiche difficili da accettare in una società come la nostra, ma che possono toccare qualsiasi famiglia: quegli sguardi che fanno impazzire, quei pensieri fuori controllo», spiega a swissinfo.ch la regista Katalin Gödrös, al suo secondo lungometraggio. «È la storia di una famiglia come tante altre confrontata coi cambiamenti che la pubertà porta con sé quasi naturalmente, ma di cui troppo spesso abbiamo paura a parlare».

Il film ruota attorno al corpo della giovane Lilli (Sarah Horbath) che – perdute le sembianze da bambina – diventa all’occhio del padre Rico (Jeroen Willems) un oggetto di attenzione e di tormento. Turbata dal rigetto di un papà troppo spaventato e disorientato, Lilli cerca di riconquistare la sua posizione privilegiata coinvolgendolo nei suoi giochi sadici che porteranno a conseguenze drammatiche.

Girato interamente nel canton Ticino, tra vecchi borghi e vigneti soleggiati, “Songs of Love and Hate” ha per protagonista anche la natura, con la sua forza e la sua imprevedibilità. «Il racconto del film segue in parallelo la maturazione dell’uva e la crescente ambizione del padre che per avere un vino migliore aspetta troppo a lungo e si vede rovinare il raccolto dalla tempesta». Senza contare che il vino è anche un simbolo del sangue, un elemento che segnerà diversi punti di rottura nel film.

Un’adolescenza in bilico

Presentato a Locarno in prima mondiale, “Songs of Love and Hate” è una classica tragedia in cui i protagonisti sono in egual misura vittime e carnefici, sconvolti da una dinamica famigliare che non riescono più a controllare. Un film autobiografico? «In parte sì, ci confessa la regista, proprio perché in molte famiglie il rapporto tra padre e figlia cambia radicalmente durante l’adolescenza. E anche per me non è stato facile trovare un nuovo equilibrio nella relazione con mio padre. Inoltre ho due figli adolescenti: un maschio di nove anni e una figlia di 13. Li ho visti crescere, cambiare corpo e carattere. E a volte li guardo e non li riconosco più, non capisco come possano essere così diversi, così sfacciatamente crudeli…».

E ancora più difficile è comprendere cosa spinga Lilli a sfidare ogni limite, anche quello della morte. Sorpresa dal potere della sua sessualità, attratta dal mondo che le si apre davanti e allo stesso tempo gelosa degli innocenti giochi di bambina, Lilli cammina su un filo spinato, sospesa tra inconsapevolezza e crudeltà. E che dire del padre? Di quel suo desiderio così primordiale e incontrollabile?

Katalin Gödrös presenta un’adolescente disperata a cui tutto viene perdonato e un padre fragile, talvolta incomprensibile, ma lontano dall’immagine di un mostro. «L’intento del film non è quello di psicoanalizzare le azioni dei protagonisti, ma semplicemnte di spingere lo spettatore a chiedersi perché e a porre le basi per una rilfessione sul potere della famiglia, dei figli sui genitori e viceversa. Uno spera che la crudeltà o il sadismo siano in qualche modo legati alle esperienze vissute dallo stesso carnefice, come se un trauma aiutasse a giustificare la violenza. Ma non sempre è così e ancor meno nel caso di Lilli…».

La forza della maternità

“Songs of Love and Hate” non è un film ad effetto, ma un percorso riflessivo carico di parole non dette e sguardi inequivocabili. Tra la sfrontata trasgressione di Lilli e la tacita complicità di Rico, emerge la figura di Anna, questa madre silenziosa a cui viene affidata la responsabilità di salvare la propria famiglia.

«È una donna che si ritrova inaspettatamente confrontata alla perdita di tutte le sue certezze: la sua giovinezza, il marito e infine la figlia trasformatasi suo malgrado in una rivale», spiega l’attrice grigionese Ursina Lardi, già nel cast di “Il nastro bianco” (Palma d’oro a Cannes). «Dopo un periodo di osservazione e di attesa, alla fine sarà proprio la madre a decidere di partire con le due figlie, di lasciare quell’uomo insieme, anche se per motivi diversi».

Dal film non emerge però soltanto il dramma famigliare, ma anche la forza dell’amore nelle sue diverse sfacettature: da qui il titolo “Songs of Love and Hate” – letteralmente “Canzoni di amore e odio” – tratto da un celebre album di Leonard Cohen del 1971.

Stefania Summermatter, Locarno, swissinfo.ch

Sono due i film svizzeri in lizza quest’anno per il Pardo d’oro: oltre a “Songs of Love and Hate”, di Katalin Gödrös, anche “La petite chambre”, di Stéphanie Chuat e Véronique Reymond.

In Piazza grande saranno invece presentati “Hugo Koblet – Pédaleur de charme” di Daniel von Aarburg e “Sommervögel” (Little Paradise) di Paul Riniker.

Fuori concorso ci saranno “C’était hier”, di Jacqueline Veuve, e “Low Cost” di Lionel Baier.

Nata nel 1969 a Zurigo, ha studiato produzione all’Accademia di cinema di Budapest e dal 1996 vive a Berlino.
Nel 2002 presenta alla Berlinale il suo primo lungometraggio “Mutantes”, un film sullo sviluppo iniziatico di una ragazza adolescente, visto con gli occhi della stessa.
Tra i film che ha co-prodotto figurano “Murder – Thez said!” (del ticinese Misa Györik), “Sexy Sadie” (Matthias Glasner) e “L’amour” (Philip Gröning).

Nata nel 1970 a Samedan (nel canton Grigioni), Ursina Lardi si è laureata alla scuola di recitazione Ernst Busch di Berlino.
Apprezzata attrice di teatro, ha recitato soprattutto in Germania dove vive da diversi anni.
Tra le varie esperienza cinematografiche figura tra l’altro anche la partecipazione al film “Il nastro bianco”, di Michael Hanekes, premiato con la Palma d’oro a Cannes.

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