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La terra, un seme di pace per la Colombia

In Colombia si contano 4 milioni di profughi interni, privati del diritto alla terra e all'alimentazione. Reuters

Negli ultimi 50 anni, il conflitto armato in Colombia ha provocato lo sfollamento di quattro milioni di persone all'interno del paese. Le terre confiscate sono utilizzate in gran parte per la produzione di olio di palma. La testimonianza di due attivisti colombiani, invitati in Svizzera dal Programma per la promozione della pace.

«Per noi la terra non è soltanto una questione di proprietà. Nasciamo, viviamo e moriamo a contatto con la terra. Cosa siamo senza di essa? Niente. Come un pesce senz’acqua…». Salvador vive nel Magdalena Medio, una tra le regioni più floride della Colombia, dove da decenni lo sfruttamento delle risorse naturali è causa di conflitti sociali, politici ed economici.

«Le comunità di Nueva Esperanza e El Garzal stanno lottando da anni per difendere la loro terra dagli attacchi di paramilitari e narcotrafficanti, intenzionati a creare delle monocolture di palma per la produzione di agrocombustibili», ci racconta il pastore protestante. «Per raggiungere i loro obiettivi economici sono disposti a scacciare 350 famiglie, più di 800 persone. Ma queste terre appartengono ai contadini e non se ne andranno facilmente».

La globalizzazione degli scambi economici ha aumentato l’attrattiva di questa e di altre regioni: i giacimenti di petrolio e le risorse minerarie fanno gola a molti, così come l’estrazione del legno o le monocolture di palma. E così quella terra che per decenni ha permesso di sfamare i più poveri – con la pesca, la coltura del mais o delle banane – si è trasformata in un bottino di guerra, conteso tra paramilitari, guerriglieri e latifondisti.

Il dramma di milioni di sfollati

Stando all’Alto commissariato ONU per i rifugiati, dal 1964 il conflitto armato ha provocato 200’000 morti e lo spostamento all’interno del paese di quattro milioni di persone. Tra i paesi più ricchi dell’America latina, la Colombia si ritrova così con un tasso di povertà pari al 60% della popolazione. A farne le spese sono soprattutto contadini, indigeni e afroamericani.

In questo contesto di conflitto, la questione della proprietà non è certo marginale. «Se non riusciamo a risolvere il problema del diritto alla terra e dell’esproprio illegale, qualsiasi impegno per una soluzione politica delle ostilità è inimmaginabile», ha spiegato l’avvocato colombiano Rafael Figueroa Rincón, consulente del Programma svizzero per la promozione della pace in Colombia (SUIPPCOL).

Lanciato nel 2001, il SUIPPCOL riunisce una decina di ONG svizzere attive nel paese sudamericano. Con il sostegno del Dipartimento federale degli affari esteri si batte in modo particolare per il rafforzamento della società civile e garantisce un sostegno giuridico per le questioni legate alla terra. Ed è proprio attorno a questo tema che ruota la campagna di sensibilizzazione lanciata da SUIPPCOL a fine ottobre. Un’iniziativa che ha permesso al pastore protestante Salvador e a Richard Moreno, un contadino afrocolombiano, di portare la loro testimonianza in Svizzera.

Senza casa, né terra

«In Colombia la questione della terra è un tema particolarmente complesso», ci spiega Richard Moreno, originario della regione del Chocó (ovest della Colombia). «La Corte costituzionale colombiana ha stabilito che il territorio è un diritto fondamentale per gli indigeni e gli africani. Ma l’assenza di titoli di proprietà o la loro falsificazione rendono difficile l’applicazione della legge. Senza contare la corruzione dell’amministrazione pubblica, il sostegno statale ai paramilitari e le incursioni dei ribelli della Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC)».

Privati della loro terra, i contadini sono costretti a cercare rifugio altrove. «Da un giorno all’altro si ritrovano in condizioni di precarietà assoluta. Vivono in capanne di plastica, senza nulla da mangiare», racconta Salvador. «Sono privati dei loro diritti fondamentali: il lavoro, la terra, l’alimentazione. In Colombia è come se i terroristi avessero più diritti dei contadini».

Di fatto, negli ultimi otto anni il governo dell’ex presidente Alvaro Uribe ha negato a più riprese l’esistenza di problematiche come l’espropriazione o l’altissima concentrazione della terra nelle mani di pochi eletti. «Sostengono che nel Magdalena Medio non ci sono paramilitari… Ma noi sappiamo che non è vero. Per anni, sentendo i cani abbaiare, ci siamo svegliati nel mezzo della notte terrorizzati, credendo che stessero venendo a prenderci. O meglio a mandarci via…», continua Salvador con le lacrime agli occhi.

Sotto l’ombra della palma

Una volta espropriate illegalmente, le terre del Magdalena Medio e del Chocó vengono utilizzate dalle multinazionali per la monocoltura di olio di palma, un preparato particolarmente versatile ed economico. Lo si ritrova nelle margarine, nei dolci o nei cibi già pronti. Ma anche in alcuni detersivi e nei cosmetici.

Assieme alla soia, la palma può essere utilizzata come anche biocarburante e per questo negli ultimi anni la domanda di produzione ha subito un’impennata notevole. L’80% della produzione mondiale di olio di palma proviene da Malesia e Indonesia, ma negli ultimi anni queste monoculture si sono moltiplicate anche in Colombia e nella Papua Nuova Guinea.

Nel giro di qualche anno, questi filari di palme dalle foglie appuntite faranno talmente ombra da impedire la crescita di qualsiasi altro vegetale, lasciando senza cibo la popolazione locale. «Questa monocultura sta distruggendo la vegetazione della Colombia. È un dramma che ci tocca da vicino, ma che concerne anche gli altri paesi», sottolinea Don Richard Moreno. «Non dobbiamo dimenticarci che viviamo in un unico mondo e se è la nostra biodiversità ad essere pericolo, le conseguenze si pagheranno anche al di fuori dei nostri confini».

La sensibilizzazione della società civile e della comunità internazionale è dunque prioritaria per questi attivisti colombiani, così come per l’avvocato Rafael Figueroa Rincón. «I problemi che affrontiamo in Colombia potranno essere risolti non solo attraverso una mobilitazione del nostro popolo, ma anche attraverso la solidarietà di persone ed organizzazioni attive nel resto del mondo».

«Le campagne internazionali hanno un ruolo fondamentale nella promozione della pace in Colombia», conclude Rafael Figueroa Rincón. «Queste azioni devono essere intese non solo come contributo legittimo alle rivendicazioni di un popolo, ma anche come sostegno alla preservazione dei territori e degli ecosistemi che – per il loro valore in termini ambientali e alimentari – dovrebbe interessare tutto il mondo».

La Colombia è un paese d’intervento prioritario dell’aiuto umanitario della Confederazione.

Secondo le stime dell’Unhcr, in oltre 50 anni di conflitto armato sono morte 200’000 persone e 4 milioni sono fuggiti cercando riparo e sicurezza in altre regioni.

I contadini, gli indigeni e le minoranza afrocolombiane sono le vittime principali del conflitto.

La Colombia è inoltre il paese in cui le mine antiuomo hanno causato più vittime.

(Fonte: Direzione dello sviluppo e della cooperazione)

Il Programma svizzero per la promozione della pace in Colombia (SUIPPCOL) è stato creato nel 2001 e coordina i progetti di 11 ONG svizzere.

Sul posto, le attività sono coordinate dalle istanze diplomatiche della Confederazione per la promozione della pace in Colombia.

Il programma è finanziato principalmente dal Dipartimento federale degli affari esteri e in parte dalle ONG.

Nel progetto sono attive le seguenti ONG svizzere: Caritas, Sacrificio Quaresimale, Aiuto protestante svizzero, Swissaid, Amnesty International, Gruppo di lavoro Svizzera-Colombia, Terre des hommes, Peacewatch Svizzera, E-CHANGER e Missione Betlemme Immensee.

L’obiettivo del programma è quello di sostenere le organizzazioni locali nelle zone di conflitto.

Da oltre un anno, questo avvocato colombiano di 30 anni, è il coordinatore della strategia dell’impatto sulla terra e il territorio del programma SUIPPCOL.

Da oltre sette anni è attivo nel campo dei diritti delle minoranze etniche e dei diritti alla terra e al territorio.

Ha accompagnato diverse comunità e organizzazioni afrocolombiane, indigene e contadine del paese, specialmente nelle regioni di Chocó, Guajira, Bolívar, Córdoba, Cauca, Magdalena Medio, Caquetá e Nariño.

Attualmente è impegnato soprattutto con la Rete delle iniziative e comunità della pace (PdB), per cercare di frenare l’espropriazione delle terre portata avanti dai gruppi paramilitari, dalle forze politiche ed economiche e dalle multinazionali.

La strategia passa soprattutto attraverso l’impegno politico e le azioni legali.

con la collaborazione di Sergio Ferrari

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