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“La Cina cerca di colmare le lacune tecnologiche”

quattro uomini che si sovrappongono le mani.
I dirigenti di Syngenta e Chemchina giubilano per la conclusione dell'acquisizione. In futuro, gli investimenti diretti cinesi sensibili in Svizzera saranno vincolati ad autorizzazione. (foto d'archivio). © Keystone / Laurent Gillieron

Le imprese svizzere dovrebbero essere meglio protette dalle acquisizioni da parte di investitori stranieri. Il parlamento elvetico incarica il governo di istituire un'autorità ad hoc per il rilascio di permessi per investimenti diretti esteri. Nel mirino ci sono soprattutto quelli cinesi. Spesso seguono una logica statale, dice un esperto della Cina.

Vincolare ad autorizzazione

Il parlamento vuole proteggere l’economia svizzera dalle dannose acquisizioni internazionali migliorando i controlli. Le Camere federali hanno approvato una mozione del “senatore” popolare democratico Beat Rieder. Essa chiede al governo di istituire le basi giuridiche per controllare gli investimenti diretti esteri problematici nelle imprese svizzere, come pure un’autorità competente per il rilascio di permessi per le operazioni soggette a tale tipo di controllo.

Secondo la mozione, l’autorità dovrebbe intervenire se, da un lato, la sicurezza o l’ordine pubblico della Svizzera sono minacciati e, dall’altro, non vi è reciprocità, in altre parole, se il Paese in cui si trova l’investitore estero non offre alla Svizzera le stesse condizioni per gli investimenti.

Dopo la Camera dei Cantoni lo scorso giugno, martedì 3 marzo anche la Camera del popolo ha adottato una mozioneCollegamento esterno che sollecita un controllo degli investimenti diretti problematici nelle aziende svizzere provenienti dall’estero, in particolare dalla Cina. Il dibattito politico è stato innescata dall’acquisizione di società svizzere come Syngenta, Gategroup o Swissmetal da parte di investitori cinesi.

Secondo l’autore della mozione, il senatore popolare democratico vallesano Beat RiederCollegamento esterno, nel 2016 gli investitori cinesi hanno rilevato imprese in Svizzera per oltre 45 miliardi di dollari. Si tratta di un volume perfino superiore al totale delle acquisizioni cinesi di imprese in tutta l’UE, che ammontavano a circa 40 miliardi di dollari.

E il periodico economico Handelszeitung scrive che più di 80 aziende in Svizzera hanno un proprietario cinese diretto. Gli “investitori rossi” hanno iniettato circa 60 miliardi di dollari in aziende svizzere dal 2005. Tuttavia, a fronte di un investimento diretto totale di 1300 miliardi, i cinesi rappresentano meno del 5%.

Uno degli obiettivi della politica industriale cinese è quello di spostare la creazione di valore aggiunto nel loro Paese, dice Markus Herrmann del think tank svizzero “Foraus”, specialista della Cina.

swissinfo.ch: La Svizzera fa bene a diffidare degli investimenti cinesi?

Markus Herrmann: L’introduzione di un sistema di controllo degli investimenti amplia la gamma degli strumenti di politica economica estera e può offrire un approccio strategico, in particolare per quanto riguarda gli investimenti diretti o finanziati dallo Stato, al fine di proteggere più efficacemente gli interessi svizzeri in caso di distorsioni del mercato. 

Il controllo degli investimenti non è formalmente diretto contro gli investimenti cinesi, ma gli investimenti del sistema economico cinese seguono più spesso una logica statale e dovrebbero quindi poter essere considerati in modo diverso.

Altri sviluppi

swissinfo.ch: Il governo svizzero si è però detto contrario a questo strumento di controllo, sottolineando che finora questi investimenti non hanno causato alcun problema, ma al contrario hanno rafforzato la piazza economica elvetica. Inoltre, la Svizzera dispone già di sufficienti basi giuridiche per tutelare infrastrutture critiche…

M. H.: In linea di principio, gli investimenti esteri sono molto benvenuti. Attualmente, gli investimenti cinesi rappresentano ancora meno del 5% del totale degli investimenti esteri in Svizzera. Un’acquisizione o una partecipazione da parte di una società cinese può anche portare ad una società svizzera forti vantaggi in termini di accesso al mercato cinese.

swissinfo.ch: Quindi anche lei ritiene che lo strumento di controllo sia superfluo?

A mio avviso, il punto debole del rapporto del Consiglio federale è che definisce le infrastrutture critiche in modo molto ristretto e valuta solo quelle che sono in ogni caso quasi esclusivamente di proprietà di enti pubblici. Si dovrebbe invece piuttosto discutere se in una valutazione degli investimenti non si debbano prendere in considerazione anche le nuove tecnologie emergenti, i settori strategici o gli aspetti della sicurezza nazionale.

Inoltre, nel rapporto il governo commenta la potenziale distorsione del mercato che può essere causata da investimenti finanziati o gestiti dallo Stato con un semplice riferimento alle linee guida dell’OCSE per le imprese pubblicheCollegamento esterno. Ciò sorprende tanto più che un rapporto del 2017 della Segreteria di Stato dell’economia aveva già trattato intensamente il problema delle distorsioni del mercato causate dalle imprese statali nazionali.

Sia la Germania che l’UE definiscono gli aspetti da esaminare in modo più ampio.

Markus Herrmann
Markus Herrmann è codirettore del programma “Asia” presso il think tank svizzero “Foraus”. Il suo principale punto d’interesse è la politica economica estera della Cina. zVg

swissinfo.ch: Quale strategia sta perseguendo la Cina con i suoi investimenti in Svizzera?

M. H.: Il volume degli investimenti cinesi è ancora esiguo. Siamo solo all’inizio di questa attività di investimento, che è molteplice. Da un lato, ci sono obiettivi di economia aziendale ordinari: l’internazionalizzazione delle proprie aziende, la crescita nei mercati esteri, l’aumento delle quote di mercato, l’accesso alle partnership o l’acquisizione di “marchi”.

D’altra parte, gli investimenti – soprattutto quelli delle imprese statali – servono al perseguimento degli obiettivi strategici e di politica industriale del governo cinese. La politica industriale, ad esempio, è lo strumento per colmare le lacune tecnologiche in modo mirato o per garantire altri obiettivi, come l’accesso a importanti risorse all’estero. L’obiettivo è quello di ridurre la dipendenza da tecnologie e risorse estere e, allo stesso tempo, di guidare la trasformazione verso un’economia più produttiva e innovativa.

swissinfo.ch: E questo non può essere nell’interesse della Svizzera, vero?

M. H.: A condizione che le regole dell’Organizzazione mondiale per il commercio (WTO) e la reciprocità nelle relazioni economiche bilaterali siano rispettate, il modus operandi della Cina è legittimo e può anche portare benefici reciproci. Ma un’attività economica potenzialmente distorsiva del mercato non dovrebbe pregiudicare gli interessi svizzeri.

In questo contesto, per me, la questione della politica d’innovazione svizzera praticata oggi è più decisiva del controllo degli investimenti che ha soprattutto un effetto “di salvaguardia”.

swissinfo.ch: Tutti i Paesi confinanti con la Svizzera hanno istituito controlli sugli investimenti esteri. È questo il motivo per cui gli investimenti cinesi sono relativamente superiori in Svizzera che in questi paesi?

M. H.: Gli ostacoli normativi sono solo uno dei tanti criteri che vengono presi in considerazione quando si valutano gli investimenti. Il criterio più importante è probabilmente la disponibilità di oggetti da investimento attrattivi. La Svizzera è nota a livello internazionale per il fatto che qui hanno sede molte aziende tecnologiche. E offre anche altri vantaggi competitivi a livello internazionale. Quindi, a mio parere, il criterio principale non è se esiste o meno un controllo degli investimenti.

(Traduzione dal tedesco: Sonia Fenazzi)

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