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La Svizzera resta fedele al federalismo

Da sinistra: il presidente dei socialisti Christian Levrat, il direttore generale della SSR Roger de Weck, il presidente del PPD Christophe Darbellay e il deputato UDC Hans Fehr. Keystone

Per taluni ha bisogno di qualche ritocco. Nessuno però vuole rinunciarvi. Perché il federalismo "è un buon sistema per gestire la Svizzera". "Ma sarà in grado di dare risposte strategiche?" Da più parti si sollecita una "rivitalizzazione".

L’invito a interrogarsi su “come riformare il federalismo per trovare risposte strategiche e unitarie” è stato rivolto dall’ex “ministro” cantonale ticinese Luigi Pedrazzini, in chiusura della terza Conferenza nazionale sul federalismo, svoltasi giovedì e venerdì a Mendrisio. Secondo l’ex magistrato, non basta gestire, occorrono anche strategie.

Un puntualizzazione giunta dopo un bilancio complessivamente lusinghiero per il federalismo, stilato da rappresentanti dei partiti di governo e di istituzioni politiche di Confederazione, cantoni e comuni, che venerdì hanno partecipato ai lavori di Mendrisio. Seppur in modi diversi, tutti lo hanno riconosciuto come la chiave del successo elvetico.

“Probabilmente nessun paese è così complicato come la Svizzera, ma ha così tanto successo”, ha sintetizzato il direttore della Società svizzera di radiotelevisione SRG SSR, Roger de Weck, che ha moderato una tavola rotonda tra i politici sulle “sfide del federalismo nel XXI secolo”.

Se nessuno vuole gettare alle ortiche il federalismo, praticamente tutti ritengono necessarie alcune modifiche. “Ci troviamo in una fase in cui non tutte le nostre istituzioni sono in grado di rispondere alle nuove sfide della globalizzazione”, ha osservato il podestà (sindaco) di Poschiavo, Alessandro Della Vedova.

Ridisegnamenti geopolitici

D’altronde le pressioni non vengono solo da “un mondo sempre più interconnesso”, in cui la Svizzera deve “rafforzare le proprie capacità di agire rapidamente a situazioni di emergenza e cercare tutti i mezzi possibili per prevenire le crisi”, ha rilevato la ministra elvetica di giustizia e polizia Simonetta Sommaruga.

All’interno del paese sono intervenuti profondi cambiamenti che hanno ripercussioni sul federalismo. Spazi geografici che una volta erano nettamente separati l’uno dall’altro, si sono trasformati in grandi agglomerati urbani che formano un insieme, ha rilevato Simonetta Sommaruga. Agglomerati che non di rado travalicano i confini cantonali o persino quelli nazionali, come per esempio a Ginevra e a Basilea.

Oggi ci si ritrova dunque con spazi funzionali che non corrispondono più agli spazi politici e che richiedono nuove collaborazioni tra i comuni, tra i cantoni. Questa evoluzione ha portato a uno sviluppo di istituzioni intercomunali e intercantonali, a unioni di città e di agglomerati e ad una moltiplicazione di accordi a questi livelli.

Nuove alleanze che reclamano più voce in capitolo a livello federale, proprio mentre a livello federale si registra una tendenza a voler centralizzare o armonizzare in settori di competenza dei cantoni o dei comuni. Una situazione che negli ultimi anni ha creato più di un attrito.

Il bicameralismo supera l’esame

In questo contesto, il Consiglio degli Stati (Camera dei cantoni), che insieme al Consiglio nazionale (Camera del popolo) forma il parlamento elvetico, si è ritrovato in mezzo a fuochi incrociati. Ogni cantone detiene due seggi e ogni semicantone un seggio in Consiglio degli Stati, indipendentemente dal numero di abitanti. Tra i cantoni più popolosi, c’è stato chi ha denunciato un potere sproporzionato dei piccoli cantoni e ha sollevato la questione dell’opportunità di riforme.

D’altra parte, c’è chi ha lamentato un influsso sempre maggiore dei partiti, per cui i consiglieri agli Stati in realtà oggi non rappresenterebbero più gli interessi dei propri cantoni. La Camera dei cantoni è ormai “un’illusione”, perché è un organo parlamentare i cui membri non ricevono direttive di voto dai cantoni, ha detto il presidente del Partito socialista svizzero (PS) Christian Levrat.

Anche se “è relativamente indipendente dai cantoni”, non bisogna dimenticare che il Consiglio degli Stati è il loro “interlocutore privilegiato”, ha relativizzato il presidente del Partito popolare democratico (PPD) Christophe Darbellay.

Secondo il vicepresidente del Partito liberale radicale (PLR) Vincenzo Pedrazzini, non è necessario un cambiamento istituzionale, ma “le persone che fanno parte della Camera dei cantoni dovrebbero capire qual è il ruolo di quell’istituzione e agire di conseguenza”.

A indispettire il deputato nazionale dell’Unione democratica di centro (UDC) Hans Fehr, invece, è il fatto che non vengano pubblicati i voti nominativi delle decisioni al Consiglio degli Stati. “È una Camera buia e noi vogliamo che entri la luce”, ha dichiarato.

Nonostante queste schermaglie, partiti e cantoni non appaiono affatto intenzionati a stravolgere il sistema bicamerale elvetico, unanimemente giudicato un elemento fondamentale del federalismo.

Un processo lento

Per il consigliere agli Stati bernese Werner Luginbühl, del Partito borghese democratico (PBD), così come per Christian Levrat e Vincenzo Pedrazzini, affinché continui ad essere garante della coesione nazionale e degli equilibri interni, il federalismo ha però bisogno di essere “rivitalizzato”.

Lo si dovrebbe fare “con delle riforme territoriali. Ma l’iniziativa deve venire dal basso”, ha detto il presidente del PS Levrat. Anche secondo il vicepresidente del PLR Pedrazzini, non devono esserci imposizioni dall’alto. In ogni caso “è troppo presto per una riforma territoriale a livello cantonale”. Bisogna proseguire con le fusioni comunali. Si tratta di “un processo che va compiuto passo dopo passo”.

In caso contrario si rischia il fallimento. Perché la Svizzera è il paese della codecisione, della partecipazione. E perché – secondo le parole del presidente della Conferenza dei governi cantonali Pascal Broulis – “la Svizzera detesta le rivoluzioni”.

Hans Fehr (UDC): “È uno dei principali punti di forza del federalismo”.

Christian Levrat (PS): “Si è andati troppo lontani. Ci sono eccessi che tradiscono lo spirito del federalismo”.

Vincenzo Pedrazzini (PLR): “Non è mai troppa. È ciò che rafforza tutti”.

Christophe Darbellay (PPD): “La Confederazione e i cantoni hanno dimostrato di saper mettere dei limiti”.

Werner Luginbühl (PBD): “È controbilanciata dalla nuova impostazione della perequazione finanziaria e della ripartizione dei compiti tra Confederazione e cantoni. Perciò il federalismo si è rafforzato”.

Organizzata da governo federale, Camera dei cantoni, Conferenza dei governi cantonali, in collaborazione con il cantone Ticino, la terza Conferenza nazionale sul federalismo si è tenuta dal 26 al 27 maggio a Mendrisio.

Vi hanno partecipato oltre 300 rappresentanti del mondo politico, economico, culturale e scientifico, tra cui la ministra di giustizia e polizia Simonetta Sommaruga.

Intitolata “Il federalismo e le nuove sfide territoriali: istituzioni, economia e identità”, la terza Conferenza nazionale si è interrogata sulle opportunità e sui limiti delle risposte istituzionali attuali.

La Conferenza nazionale sul federalismo è organizzata ogni tre anni. La prima edizione si era svolta nel 2005 a Friburgo, la seconda nel 2008 a Baden (canton Argovia).

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SWI swissinfo.ch - succursale della Società svizzera di radiotelevisione SRG SSR

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