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La Svizzera può far sentire la sua voce a Copenaghen

BR Leuenberger Keystone

Il ministro elvetico dell’ambiente Moritz Leuenberger guarda con un ottimismo prudente alla conferenza sul clima dell’ONU, in programma da questa settimana a Copenaghen. Il crescente impegno degli Stati uniti e della Cina aprono nuove speranze nella lotta al surriscaldamento del pianeta.

Il futuro del pianeta si gioca tra il 7 e il 18 dicembre alla conferenza delle Nazioni unite sul clima, che si svolge a Copenaghen. La comunità internazionale è chiamata a concordare importanti misure di riduzione delle emisssioni di gas ad effetto serra, in particolare CO2, per frenare i cambiamenti climatici che rischiano di avere conseguenze catastrofiche sia a livello ambientale che economico e sociale.

In vista di questo fondamentale appuntamento politico internazionale, swissinfo.ch ha intervistato il ministro svizzero dell’ambiente Moritz Leuenberger, che parteciperà nei prossimi giorni al vertice sul clima.

swissinfo.ch: Lei è il ministro dell’ambiente in carica dal maggior numero di anni in Europa. Quale influsso può esercitare a Copenaghen?

Moritz Leuenberger: Tenendo conto del numero di abitanti e della superficie del territorio, l’influsso della Svizzera può essere considerato alquanto grande. Presidiamo tra l’altro un gruppo di lavoro – di cui fanno parte Corea del Sud, Messico, Liechtenstein e Montecarlo – che ci permette di partecipare ad importanti negoziati.

Possiamo inoltre contare sull’apporto di scienziati molto competenti, come il professor Thomas Stocker membro del Comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC). Il contributo della Svizzera a questa conferenza è quindi piuttosto forte.

swissinfo.ch: Al vertice sono in discussione riduzioni delle emissioni di CO2 fino al 2050. In che misura gli impegni assunti saranno vincolanti, tenendo conto che molti rappresentanti politici non saranno più presenti già tra alcuni anni?

M.L.: In teoria la comunità internazionale può assumere impegni vincolanti fino al 2050. A Kyoto ha concordato ad esempio di ridurre le emissioni tra il 1990 e il 2012. E nessun rappresentante di allora è ancora in carica oggi, a mia conoscenza.

È possibile impegnarsi a lunga scadenza e si deve anche farlo. Ora dobbiamo trovare innanzitutto un accordo su impegni vincolanti fino al 2020. Temo però che a Copenaghen non riusciremo ancora a raggiungere questo obbiettivo.

Molti paesi o gruppi di paesi sono però disposti a garantire delle riduzioni delle emissioni di CO2, anche in assenza di una convenzione internazionale. Tra questi i membri dell’Unione europea, la Svizzera, la Norvegia, il Brasile e la Corea del Sud. Inoltre tutta la comunità internazionale riconosce perlomeno la necessità, dimostrata dalla scienza, di ridurre le emissioni di almeno la metà fino al 2050.

swissinfo.ch: Gli Stati uniti, che sono assieme alla Cina il paese che consuma maggiori risorse naturali, hanno frenato finora le misure di riduzione delle emissioni di CO2. Potrebbero bloccare un accordo?

M.L.: Le ultime elezioni hanno cambiato molte cose a Washington. Finora gli Stati uniti non volevano fare nessuna concessione. Adesso parlano di una riduzione del 17% delle emissioni di CO2 entro il 2020, rispetto ai valori del 2005. Questa percentuale è relativamente bassa, ma durante l’amministrazione Bush le emissioni erano letteralmente esplose negli Stati uniti.

swissinfo.ch: Come valuta gli obbiettivi di riduzione, piuttosto ambiziosi, annunciati dalla Cina?

M.L.: La Cina è un paese emergente che si trova in una situazione molto particolare. Da parte nostra riteniamo che anche i paesi emergenti debbano dare il loro contributo. Rispetto ad alcuni anni fa hanno già compiuto un balzo in avanti. La Cina vuole mantenere la crescita delle emissioni di CO2 al di sotto della percentuale di crescita economica.

Anche altri paesi emergenti hanno varato programmi di protezione del clima, tra cui l’India e il Brasile, per lottare ad esempio contro il diboscamento. Purtroppo, molti di questi paesi non sono disposti ad accettare impegni vincolanti nell’ambito di un accordo internazionale.

swissinfo.ch: La Svizzera riconosce le responsabilità dei vecchi paesi industrializzati nella problematica dei cambiamenti climatici. In che modo intende assumere queste responsabilità?

M.L.: Abbiamo due obbiettivi. Da un lato vogliamo ridurre le emissioni di CO2 e dall’altro contribuire ad alleviare i danni provocati dai cambiamenti climatici già intervenuti. La Svizzera ha proposto in tal senso di introdurre una tassa internazionale sul CO2, grazie alla quale i danni verrebbero presi a carico sulla base del principio della responsabilità.

Questa misura permetterebbe ai paesi in via di sviluppo di disporre di mezzi finanziari per lottare contro le conseguenze dei cambiamenti climatici. Conseguenze che sono particolarmente gravi proprio nei paesi meno favoriti. Il principio della responsabilità è sicuramente il sistema più equo ed è riconosciuto e accettato da molti altri paesi.

swissinfo.ch: Il 2008 è stato caratterizzato in Svizzera da abbondanti nevicate. Di fronte a fenomeni simili, si può convincere la popolazione che il pianeta di sta surriscaldando e che rischiamo di avviarci verso gravi problemi climatici?

M.L.: La conferenza di Copenaghen attira un’enorme attenzione da parte dei media. Tutti i mezzi d’informazione stanno esaminando la problematica da ogni angolo. E questo avrà i suoi frutti.

Anche in Svizzera, soltanto due anni fa il governo non avrebbe di certo potuto decidere l’introduzione di un tassa sul CO2 e non avrebbe neppure potuto fissare un obbiettivo di riduzione delle emissioni del 20% o 30% – a condizione che anche gli altri paesi facciano la stessa cosa.

swissinfo.ch: Un ministro dell’ambiente nutre le sue visioni, ma spesso si vede confrontato alla dura realtà. Come si vive con questi limiti?

M.L.: È chiaro che il risultato corrisponde raramente alle aspettative del ministro competente. Il ministro delle finanze preferirebbe avere cifre nere, il ministro dei trasporti qualche miliardo in più per sviluppare le infrastrutture. Ho però l’impressione che la consapevolezza dell’importanza di una forte politica ambientale sia molto cresciuta da alcuni anni.

swissinfo.ch: Negli anni ’80 la Svizzera figurava tra i paesi leader nel settore della protezione dell’ambiente. Da allora ha perso non poco terreno rispetto all’UE e alla Norvegia. Come assume questo fatto?

M.L.: Ci siamo fatti effettivamente distanziare. Il rovescio più importante è stato il rifiuto di introdurre il centesimo per il clima, una tassa destinata a promuovere l’energia solare, che è stata combattuta dagli ambienti economici. Adesso stiamo recuperando il terreno perso e proseguiamo alla stessa andatura dell’UE.

Fino a due anni fa, la posizione del governo era di non fare nessun passo in più degli Stati uniti. Oggi risulta invece chiaro che dobbiamo muoverci al ritmo dell’UE. Per me, questo è già un progresso. Sarebbe ancora meglio se avessimo gli stessi obbiettivi della Norvegia, ancora più ambiziosi.

Bisogna tuttavia relativizzare una cosa. Vi sono paesi che si sono fissati obbiettivi di riduzione del 40%. Vi è però ancora vedere se adotteranno tutte le misure necessarie per raggiungere questi obbiettivi. La Svizzera si è impegnata per una riduzione del 20%, ma ha già approvato le misure necessarie, grazie all’adozione da parte del governo della legge sul CO2.

swissinfo.ch: Recentemente ha dichiarato di non attendere un miracolo da Copenaghen. Che cosa si aspetta da questa conferenza?

M.L.: Spero innanzitutto che molti dei paesi più importanti riescano a concordare una quota di riduzione delle emissioni. In secondo luogo che venga approvato il principio della responsabilità. Se questi obbiettivi sono raggiunti, posso dirmi soddisfatto del vertice di Copenaghen.

Gaby Ochsenbein e Pierre-François Besson, swissinfo.ch
(traduzione Armando Mombelli)

I rappresentanti di quasi 200 paesi si riuniranno dal 7 al 18 dicembre a Copenaghen per cercare di raggiungere un accordo sul clima che dovrà prolungare o sostituire il Protocollo di Kyoto, che scade nel 2012.

L’obiettivo è di ridurre le emissioni di gas a effetto serra affinché l’aumento delle temperature non sia superiore a 2 gradi rispetto all’era preindustriale.

Il Giec (Gruppo d’esperti intergovernativo sull’evoluzione del clima) ritiene necessaria una riduzione del 25-40% delle emissioni dei paesi industrializzati entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990.

Il governo elvetico vuole ridurre del 20% le emissioni della Svizzera entro il 2020. Berna è pronta comunque a fissare un obiettivo del 30%, a dipendenza dei risultati della conferenza di Copenaghen.

Nato a Bienne (canton Berna) nel 1946 e figlio di un pastore protestante, Moritz Leuenberger ha studiato diritto all’Università di Zurigo, dove ha cominciato anche ad interessarsi di politica sull’onda del ’68.

A 26 anni, mentre ha dato avvio all’attività di avvocato, è diventato presidente della sezione zurighese del Partito socialista.

Tra il 1974 e il1983 è stato consigliere comunale di Zurigo e dal 1979 al 1995 ha rappresentato il Partito socialista zurighese alla Camera del popolo del parlamento federale.

Dal 1991 al 1995 è stato inoltre membro del governo cantonale di Zurigo, in cui ha assunto la guida del dicastero degli interni e della giustizia.

Eletto nel governo svizzero nel 1995, dirige da allora il dipartimento federale dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni.

Moritz Leuenberger ha rivestito anche la carica di presidente della Confederazione nel 2001 e nel 2006. Nel 2010 assumerà la vicepresidenza della Confederazione.

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