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La Svizzera potrebbe sbloccare rapidamente i fondi libici

Attraverso il suo fondo sovrano, i cui capitali sono stati bloccati, la Libia controlla tutta una serie di società, tra cui ad esempio la Tamoil Keystone

La stampa svizzera reagisce con sollievo a quella che sembra ormai essere la fine dell’era Gheddafi. Sul futuro della rivoluzione libica rimangono però aperti numerosi interrogativi.

«Una volta che le sanzioni delle Nazioni Unite saranno levate, i capitali potranno essere riconsegnati», sottolinea Roland Vock, responsabile della politica dei controlli all’esportazione e delle sanzioni presso la Segreteria di Stato dell’economia (Seco).

Secondo Vock, il consiglio di sicurezza dell’ONU dovrebbe rivedere le sanzioni finanziarie «piuttosto rapidamente».

La Svizzera è vincolata a queste misure, precisa la portavoce della Seco Marie Avet. «Quando saranno tolte, i fondi potranno essere liberati facilmente. Non si tratta di un caso come quello dei capitali di Mobutu [l’ex leader dello Zaire], reclamati dal nipote».

Il denaro congelato dalle autorità federali ritornerà così agli intestatari dei conti presso le banche svizzere, tra cui la banca centrale e la compagnia petrolifera nazionale libica.

Luce verde

L’auspicio del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) è che le cose procedano in modo spedito. «Alla luce degli ultimi sviluppi, speriamo che il processo di restituzione possa essere accelerato», indica il DFAE. Un auspicio condiviso anche da Adel Shaltut, membro della missione libica a Ginevra, che ha chiesto a Berna di velocizzare le procedure per sbloccare gli averi.

La Francia e diversi paesi sono favorevoli a togliere il più presto possibile le sanzioni che colpiscono il paese. Una risoluzione in questo senso è in fase di elaborazione, ha precisato un diplomatico francese alla Reuters.

I beni congelati rappresentano comunque una somma ben inferiore ai miliardi che, secondo alcuni, Gheddafi aveva depositato in Svizzera e poi ritirato durante la crisi scoppiata nel 2008, dopo l’arresto a Ginevra di Hannibal Gheddafi.

In altri paesi gli importi sono molto più rilevanti. Complessivamente sono stati congelati circa 45 miliardi di franchi, la metà dei quali negli Stati uniti e circa 8 in Germania.

Una volta confermata la caduta del regime, i ribelli erediteranno di diritto la principale fonte di introiti del paese, il fondo sovrano libico. Creato nel 2006 per gestire i proventi del petrolio e prendere delle partecipazioni nelle principali società europee, il fondo sarà capitale per la ricostruzione post-bellica.

Il suo valore è stimato a 70 miliardi di dollari. I depositi rappresentano la parte più importante, ossia il 32,4% del totale, mentre le partecipazioni l’11,2% e le obbligazioni il 5%.

Libia in miglior posizione

«Con la caduta del regime di Gheddafi, il fondo sovrano passerà automaticamente al nuovo Stato, chiunque sia la persona che lo dirige», spiega Mark Pieth, esperto delle questioni legate alla restituzione degli averi e presidente del consiglio di fondazione del Basel Institute of Governance.

Se nelle banche svizzere dovessero trovarsi altri fondi rivendicati da Gheddafi o dalla sua famiglia, la Libia si troverebbe in una posizione migliore rispetto ai vicini egiziani e tunisini, principalmente perché il paese può essere assimilato a un cosiddetto «Stato fallito». In questo caso sarebbe possibile far ricorso alla nuova legge sulla restituzione dei valori patrimoniali di provenienza illecita, concepita proprio per questo genere di casi in cui dei paesi si trovano in una fase di transizione radicale.

Trovandosi in una situazione migliore, la Tunisia deve invece fornire delle prove che gli averi dell’ex leader Zine el-Abidine Ben Ali sono stati conseguiti illegalmente. Ciò che non è facile e sicuramente «paradossale», sottolinea Mark Pieth.

Secondo diverse stime, la Lybian Investment Authority avrebbe investito oltre 70 miliardi di dollari nel mondo.

Si tratta di uno dei fondi sovrani più opachi del mondo e estremamente legato al governo. In uno dei suoi rari rapporti annuali, del 2009, scriveva di avere più del 78% dei fondi investiti in «strumenti finanziari a corto termine all’estero».

Le autorità hanno cercato di migliorare la credibilità del fondo a livello internazionale acquistando titoli di imprese di primo piano europee, come la banca italiana Unicredit e l’editore britannico Pearson, proprietario del Financial Times.

In un cablogramma diplomatico reso pubblico da Wikileaks, Mohamed Layas, responsabile della Lybian Investment Authority, indicava che diverse banche americane gestivano ognuna fino a 500 milioni di dollari libici.

La Libia non è l’unico caso

Negli ultimi mesi, in seguito alle rivoluzioni scoppiate in diversi paesi arabi, la Svizzera ha congelato gli averi di diverse personalità.

A fine maggio, i fondi del presidente siriano Bachar el Assad e di altri nove dirigenti sono stati bloccati.

La Svizzera ha anche congelato 60 milioni intestati all’ex presidente tunisino Ben Ali e a membri del suo clan e identificato fondi per 400 milioni di franchi appartenenti all’ex presidente egiziano Mubarak.

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