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La Svizzera non è ancora il paese dei diritti femminili

Keystone Archive

Quale "culla" dei diritti umani, la Svizzera dovrebbe essere un esempio anche nel campo della parità fra i sessi: lo ha sottolineato il Comitato dell'ONU incaricato di vigilare sull'applicazione della Convenzione per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW).

Una delegazione elvetica ha presentato, il 27 luglio a una seduta della Commissione a New York, il terzo rapporto nazionale sugli sviluppi degli ultimi anni nell’attuazione in Svizzera della CEDAW. I delegati hanno quindi dovuto rispondere a precise domande degli esperti.

“Tra l’uguaglianza dei diritti fra donna e uomo sancita dalla Costituzione federale e la realtà c’è tuttora una certa discrepanza. Nella pratica la parità è ancora zoppicante in diversi settori, benché siano stati compiuti progressi”, osserva Marion Weichelt, vicedirettrice della Divisione dei diritti umani presso il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), che dirige la delegazione elvetica.

La Svizzera ha aderito nel 1997 alla CEDAW. Gli Stati contraenti sono tenuti a redigere un rapporto ogni quattro anni sulle misure adottate per concretizzare le disposizioni della Convenzione.

Quello consegnato ora da Berna era stato adottato il 2 aprile 2008 dal governo federale. Il documento illustra gli sviluppi legislativi e politici nel campo della parità dei sessi intervenuti nella Confederazione dopo il 2003, ossia dopo la presentazione del rapporto iniziale, costituito dal primo e dal secondo combinati.

Il Comitato ONU – composto di 23 esperti indipendenti – dopo aver preso conoscenza di un rapporto nazionale, esprime il proprio parere e formula a sua volta raccomandazioni allo Stato in questione.

Lavoro, famiglia e violenza domestica

Il nuovo rendiconto elvetico espone i numerosi provvedimenti adottati da Confederazione, Cantoni e Comuni in questo periodo di tempo per migliorare la situazione della donna. Evidenzia però anche carenze e lacune sussistenti.

Gli specialisti hanno analizzato in particolare la situazione nei campi del lavoro e della famiglia, della parità salariale e della violenza domestica.

Fra i maggiori progressi conseguiti, nel documento sono menzionati l’introduzione dell’assicurazione maternità, le misure per sviluppare le strutture di custodia per bambini, sgravi fiscali in favore delle famiglie e la revisione delle norme legislative e il potenziamento delle misure contro la violenza domestica.

Altro fattore positivo, è la ratifica da parte della Svizzera del Protocollo facoltativo della CEDAW. Esso consente, in casi comprovati di discriminazione, di rivolgersi individualmente al Comitato CEDAW.

Federalismo: ostacolo o vantaggio?

Mentre la Svizzera è stata lodata per il suo ruolo di motore trainante nei diritti umani, il Comitato ha espresso preoccupazione sull’ostacolo alla rapida introduzione di determinate misure contro la discriminazione delle donne in tutta la Confederazione, rappresentata dal sistema federalista elvetico che accorda un’ampia autonomia a Cantoni e Comuni.

La delegazione ha riconosciuto che questo sistema può effettivamente complicare certi passi. “D’altra parte abbiamo però rilevato anche gli aspetti positivi e le opportunità offerte dal federalismo”, spiega Marion Weichelt. “Per esempio, si possono scambiare esperienze, imparando gli uni dagli altri”.

Gli esperti indipendenti hanno interrogato la delegazione svizzera anche su problematiche quali le mutilazioni genitali, il traffico di esseri umani, la prostituzione, i diritti delle migranti, la prevenzione del cancro al seno e all’utero.

Diventare un esempio

Il Comitato ha sottolineato l’importanza che la Svizzera – dove hanno sede molte istituzioni internazionali per la difesa dei diritti umani – costituisca un modello nell’affermazione dei diritti della donna.

Nel raffronto internazionale la Svizzera è “globalmente ben situata” nella lotta alla discriminazione delle donne. Tuttavia, benché “non presenti lacune drammatiche, ha ancora un buon margine di manovra” per migliorare, precisa la Weichelt.

Per esempio ci si devono rimboccare le maniche sul fronte dei salari, dove ci sono ancora grosse differenze fra donne e uomini, come pure sulle misure per conciliare lavoro e famiglia. Un altro settore in cui rimane molta strada da fare è la politica: le donne sono ancora sottorappresentate, soprattutto nei posti dirigenziali.

Oltre che sul resoconto fornito dallo Stato, il Comitato di vigilanza basa la sua valutazione sulla reale applicazione della Convenzione anche su altre informazioni, fornite da organizzazioni non governative (Ong) in cosiddetti “rapporti ombra”.

Nella fattispecie, il documento alternativo è stato elaborato da un gruppo di Ong riunite nel “Coordinamento dopo Pechino Svizzera” e dalla sezione svizzera di Amnesty International. Le audizioni della delegazione delle Ong, composta di quattro persone, al Comitato della CEDAW hanno avuto luogo il 20 e il 24 luglio a New York.

Rita Emch, swissinfo.ch, New York
(Traduzione dal tedesco: Sonia Fenazzi)

La CEDAW (acronimo di Convention on the Elimination of all Forms of Discrimination against Women) è la Carta fondamentale per l’impegno internazionale a favore della donna.

È l’unico trattato internazionale interamente dedicato alla donna e alle discriminazioni di cui è vittima.

Il testo è stato adottato dall’Assemblea generale dell’ONU il 18 dicembre 1979.

Gli Stati contraenti sono obbligati ad adottare misure per concretizzare la parità dei sessi e garantire il progresso delle donne. Devono lottare contro le discriminazioni in tutti gli ambiti della vita umana e non solo contro le disparità di diritto.

Finora lo hanno ratificato 186 Stati. La Svizzera ha aderito alla CEDAW il 27 marzo 1997. Alla fine del 2008, ha pure ratificato il Protocollo facoltativo della CEDAW.

Un Comitato di esperti è incaricato di controllare la sua messa in opera e di vigilare affinché gli Stati contraenti adempiano gli obblighi fissati dalla Convenzione.

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