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La Svizzera ha molto da offrire a Joe Biden e al mondo della democrazia

Nationalgardisten im US-Kapitol
Ancora sotto shock: militi della Guardia nazionale al Campidoglio di Washington il 13 gennaio 2021, giorno in cui la Camera dei deputati si è espressa sull'impeachment del presidente uscente Donald Trump. Una settimana prima, circa 800 sostenitori e sostenitrici dell'ex inquilino della Casa Bianca hanno preso d'assalto Camera e Senato. Cinque persone hanno perso la vita. Keystone / Shawn Thew

Anche la Svizzera parteciperà al vertice globale per la democrazia di dicembre, convocato dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Per il piccolo Paese - i cui punti di forza sono la risoluzione dei conflitti, la ricerca del consenso e la condivisione del potere - è un'occasione per ottenere più visibilità.

Con il “Summit for DemocracyCollegamento esterno“, vertice virtuale che si terrà dal 9 al 10 dicembre, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden mantiene una promessa della sua campagna elettorale.

È un evento importante per la Svizzera e potrebbe fornire alla Confederazione un’importante iniezione di fiducia per portare le sue conoscenze delle procedure democratiche nell’agenda politica globale.

Al vertice, capi di Stato, presidenti, premier, ambasciatori e ambasciatrici di alto livello dovrebbero impegnarsi per rafforzare i diritti umani e la lotta contro la corruzione, l’autoritarismo e l’autocrazia nel mondoCollegamento esterno.

Russia, Cina, Turchia e Ungheria non sono invitate. Paesi quali India, Iraq, Kosovo e Taiwan, invece, lo sono.

Il ruolo della Svizzera

Così come la Svizzera. È sì un piccolo Paese, ma – con le sue formule partecipative e co-decisionali a livello federale, cantonale e comunale – è una sorta di “peso massimo” della democrazia.

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Le frequenti votazioni popolari sono percepite a livello internazionale come una curiosità. Il prestigio della Svizzera, invece, si basa ancora su valori come la sicurezza, la stabilità, la natura, la neutralità, i buoni uffici, la ricerca e lo sviluppo.

Eppure, un aspetto poco noto è che la promozione della democrazia è un pilastro centrale della politica estera elvetica. È così dal 1999, quando è stato inserito  l’articolo 54 nella Costituzione federale, e poi dal 2003, quando è stata introdotta la corrispondente legge federale.

Tuttavia, fino a oggi non esiste quasi nulla definibile come politica estera democratica svizzera.     

Più visibilità per la Svizzera

Per Simon Geissbühler, il vertice per la democrazia arriva al momento giusto. Geissbühler è ambasciatore e responsabile della Divisione Pace e diritti umani (DPDU) presso il Dipartimento federale degli affari esteri elvetico (DFAE).

“La Svizzera non vuole essere semplicemente un accessorio del vertice di Biden. Il summit ci dà un nuovo impulso per condividere le nostre precedenti esperienze nel settore e contribuire in modo costruttivo e credibile grazie al nostro modello e al nostro know-how”.

Anche gli aspetti negativi dovranno essere menzionati, come l’introduzione molto tardiva del suffragio femminile in Svizzera, aggiunge l’ambasciatore.

Diritti umani e mediazione

Lo scopo ultimo di Geissbühler e del presidente Guy Parmelin al vertice non sarà quello di diffondere i diritti popolari vigenti in Svizzera. Si concentreranno piuttosto sui sui valori e sulle istituzioni fondamentaliCollegamento esterno che sono alla base di ogni sistema democratico solido

“In questo ambito il DFAE ha molto da offrire”, dice Geissbühler. Cita per esempio i diritti umani, la risoluzione dei conflitti, lo Stato di diritto, la protezione delle minoranze, la decentralizzazione e la co-determinazione locale.

Con le elezioni presidenziali dello scorso anno, alle quali hanno partecipato più persone che mai, gli Stati Uniti hanno dato un segnale importante: il degrado della democrazia non è una legge della natura e può essere fermato.

Il Paese ha creato una narrazione positiva agognata da molti, ovvero che l’emblematica e vecchia democrazia degli Stati Uniti è malconcia, ma abbastanza robusta per mettere fine agli attacchi di Trump ai valori fondamentali.

A ciò fa seguito la “Call to Action” di Biden: l’invito, o meglio, l’appello vincolante ai Paesi del mondo intero affinché rafforzino la partecipazione popolare e contrastino i pericoli dell’autoritarismo.

Il vertice mondiale per la democrazia del segnerà l’inizio di un processo che ha dei parallelismi con le conferenze mondiali per la protezione del clima COP (“Conference of the Parties”). Il primo summit sul clima risale al 1992 e il più recente, la COP-26, si è tenuto il mese scorso a Glasgow, in Scozia.

Come in ambito climatico durante le COP, i Paesi partecipanti al Vertice mondiale per la democrazia sono invitati a impegnarsi con misure concrete per proteggere i diritti umani e la democrazia. La Dichiarazione universale dei diritti umani fornisce una base comune.

Al vertice seguente, tra un anno, dovranno essere presentati dei rapporti sul se e sul come le misure promesse sono state messe in atto. Si tratta di un procedimento d’apprendimento globale.  

Al primo Summit for Democracy sono invitati 110 Paesi: 39 dall’Europa, 27 dalle Americhe, 21 dall’Oceania, 17 dall’Africa e sei dall’Asia. Quasi tutti gli Stati che occupano le prime posizioni nelle principali classifiche internazionali sulla democrazia (qui il nostro focus) potranno dire la loro al vertice.

Ma ci sono delle eccezioni. Per esempio, il presidente statunitense Joe Biden, che ha convocato questa conferenza, non ha invitato Paesi relativamente democratici come la Tunisia (42esima posizione nella classifica V-DemCollegamento esterno), il Burkina Faso (57) o il Lesotho (61).

Parallelamente, alcuni degli Stati più antidemocratici del mondo sono autorizzati a parlare al vertice. Per esempio: la Repubblica Democratica del Congo (137), l’Iraq (124) e le Filippine (108).

Altri Stati con una posizione ancora più bassa nella classifica, tra cui le grandi potenze Cina (174) e Russia (153), non sono stati invitati. Pechino e Mosca hanno criticato aspramente il summit. In un articolo della rivista statunitense “The National Interest”, i diplomatici delle due grandi potenze Qin Gang e Anatoly Antonov descrivono l’incontro come un “prodotto della mentalità della Guerra fredda” e sottolineano che la democrazia “può essere realizzata in modi diversi”. (Bruno Kaufmann)

Condivisione del potere: la carta vincente elvetica

Anche il politologo Daniel Bochsler ritiene che la Svizzera possa sentirsi sicura delle sue competenze in materia di democrazia. “La Svizzera ha una grande impronta a livello internazionale”, dice Bochsler che insegna e conduce ricerche presso la Central European University a Vienna, l’Università di Belgrado e il Centro per la democrazia di Aarau (ZDA).

Il politologo indica come carte vincenti della Svizzera il know-how in ambito di mediazione e risoluzione dei conflitti e il sistema di “Power sharing” (condivisione del potere).

“Il Power sharing è puramente svizzero! Il federalismo e la concordanza tra lingue e religioni è uno dei modelli più riusciti di sempre tra le società del Dopoguerra”, sostiene Bochsler. Ma la Confederazione non può semplicemente vendere la sua Costituzione e i suoi diritti popolari ai Paesi che intendono risolvere un conflitto. Elabora piuttosto delle soluzioni politiche con chi rappresenta i gruppi sociali più importanti del luogo.

Soluzioni su misura

Bochsler cita la fondazione svizzera per la pace SwisspeaceCollegamento esterno come esempio nella mediazione internazionale e nella pacificazione. Quali strumenti importanti indica invece le elezioni parlamentari e governativi inclusive, un diritto di veto per le minoranze nelle modifiche costituzionali e legislative e l’autonomia dei gruppi linguistici e religiosi. Alla base di questa “cassetta per gli attrezzi” svizzera sono il federalismo, la cosiddetta “formula magica” per la composizione del Governo e la democrazia locale a livello dei comuni. 

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A proposito: a causa del cambiamento del panorama partitico, una revisione della formula magica è attualmente discussa in Svizzera e, più precisamente, la dimensione del Governo. Secondo una recente decisione del Consiglio nazionale (camera bassa del Parlamento), l’esecutivo dovrà essere formato da nove persone e non più sette.

“Molti aspetti del Power Sharing in Svizzera non sono ancorati nella Costituzione, ma sono il risultato di accordi tra le élite politiche evoluti lentamente nel contesto storico”, spiega Bochsler. Questi meccanismi storico-specifici non possono essere semplicemente esportati tali e quali. Un esempio: in Svizzera la formula magica determina la composizione del Governo in base alla forza dei partiti. Nel contesto internazionale, tuttavia, la formula si basa principalmente sul contesto dei gruppi etnici o culturali.

La tradizione della neutralità

Per Tom Carothers, vicedirettore della ricerca al Carnegie Endowment for International PeaceCollegamento esterno, ha senso mettere l’accento sulla mediazione. Questo alla luce del fatto che molti Paesi sono oggi confrontati con acute polarizzazioni e divisioni politiche. “Grazie alla sua lunga tradizione di neutralità, la Svizzera, nel suo lavoro internazionale, è attenta a non dare l’impressione di schierarsi politicamente o di sostenere determinati sistemi politici”.

 “Ma la Svizzera ha molta esperienza nell’apprendimento di come una società divisa può lavorare insieme politicamente”, dice il ricercatore, esperto riconosciuto nella promozione internazionale della democrazia.

Altri sviluppi

Dibattito
Moderato da: Bruno Kaufmann

Come può un Paese come la Svizzera rendere la democrazia più inclusiva?

La Svizzera dovrebbe essere più incisiva nella promozione della democrazia?

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Svolta solo con dinamiche vincolanti

Carothers lancia un appello ai Paesi partecipanti affinché si impegnino seriamente nella cooperazione per la promozione della democrazia e non si limitino alle belle parole. Per l’esperto, la chiave della valutazione dei progressi sta nella creazione di “una concreta dinamica del processo del vertice”.

Per garantire che la riunione non degeneri in sole chiacchiere, Washington pone condizioni chiare e vincolanti per i Paesi: devono impegnarsi a migliorare nei seguenti tre ambiti: promozione dei diritti umani, lotta alla corruzione e nel contrasto dell’autoritarismo.

I paletti sono stati chiaramente fissati. Chi non rispetterà i propri impegni non potrà partecipare al prossimo vertice che l’amministrazione statunitense prevede si terrà tra un anno.



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