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La Svizzera e l’esportazione di armi

446,6 milioni di franchi di esportazioni ripartiti in 71 paesi differenti keystone

La vendita all'estero di materiale bellico ha raggiunto nel 2015 i 446,6 milioni di franchi

La notizia ha fatto trasalire mercoledì i pacifisti più incalliti e le organizzazioni perla difesa dei diritti umani: la Svizzera esporterà armi e materiale bellico anche a diversi paesi implicati a vario titolo nel conflitto in corso in Yemen, costato la vita finora a oltre 6’000 persone, metà delle quali civili.

L’Arabia Saudita, in particolare, capofila della coalizione sunnita che nel paese in guerra bombarda i ribelli sciiti Houti, riceverà pezzi di ricambio per il suo sistema di difesa antiaerea e munizioni per 106 milioni di franchi. Materiale che, tuttavia, asserisce il Consiglio federale, non verrà usato in quel conflitto.

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Che la Svizzera esporti armi, pezzi di ricambio, veicoli vari o munizioni un po’ ovunque in giro per il mondo non è una novità e le cifre relative al commercio estero vengono pubblicate ogni anno dalla SECO, la Segreteria di Stato per l’economia.

Ma andiamo con ordine. Analizzando i dati 2015, si evince che l’anno scorso le esportazioni in questo settore sono state pari a 446,6 milioni di franchi, ripartiti in 71 paesi differenti.

Ai primi posti troviamo la Germania (circa 130,3 milioni di franchi), seguita da India (45,5 milioni), Indonesia (44,2 milioni) e Stati Uniti (26,3 milioni).

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Tra i destinatari del materiale bellico made in Switzerland vi sono però anche Governi non propriamente democratici e paesi spesso finiti nel mirino delle ONG per violazioni dei diritti umani. È il caso, per esempio, del Pakistan, ma anche dell’Oman, dell’Arabia Saudita, del Bahrein, del Brunei, del Qatar.

Islamabad ha infatti importato l’anno scorso 20’785’860 franchi in armamenti così suddivisi: oltre 13 milioni in armi di vario calibro (escluse fucili e pistole individuali), 7,6 milioni in materiale per la direzione del tiro e meno di 2’000 franchi in pistole e fucili. Ryad, implicata a pieno titolo nel conflitto in Yemen e indirettamente anche in quello nella vicina Siria, ha invece importato poco meno di 5,8 milioni in materiali rossocrociati, tra armi di vario calibro (3,9 milioni) e strumenti per la direzioni del tiro (1, 9 milioni), oltre ad una manciata di armi da fuoco portatili e armi corte (fucili e pistole, insomma, per un valore di meno di 10’000 franchi).

Secondo le autorità competenti, tuttavia, non c’è pericolo che questo materiale venga usato contro la popolazione civile o impiegato nei vari conflitti aperti.

Tutte le richieste di esportazione (49 l’anno scorso) vengono vagliate dalla SECO. Nel 2015, si legge sul sito della Segreteria di Stato per l’economiaCollegamento esterno, 15 domande hanno ricevuto una risposta negativa. Esse, spiega la SECO, “riguardavano Paesi in Asia, Africa, Europa orientale, Medio Oriente e nei Caraibi. Tra i fattori che hanno portato al rifiuto vi sono il mantenimento della pace, della sicurezza internazionale e della stabilità regionale, la situazione interna del Paese destinatario, gli sforzi della Svizzera nell’ambito della cooperazione allo sviluppo e il rischio che le armi da esportare fossero utilizzate contro la popolazione civile o trasferite a un destinatario finale indesiderato”.

Materiale Dual-use

Se paragonato all’anno precedente, il commercio estero di armi e materiale bellico nel 2015 è sceso del 21%. Ad aumentare, tuttavia, sono state le vendite del cosiddetto materiale “dual-use”, ovvero le tecnologie che possono essere usate per scopi civili ma anche militari: droni d’esplorazione, visori notturni, veicoli terrestri, granate fumogene, sistemi antimissili ma anche arei militari d’allenamento non armati, come i velivoli Pilatus venduti regolarmente alla casa reale saudita.

Secondo una recente inchiesta pubblicata sul sito web della Radiotelevisione svizzera di lingua francese (RTSCollegamento esterno), l’ammontare delle vendite di questi beni a duplice impiego (questa la definizione ufficiale inclusa nella speciale legge federale a riguardoCollegamento esterno), è passato infatti da 887,6 milioni nel 2014 a 1,165 miliardi nel 2015.

PLACEHOLDER Esportazioni in Italia

Gli scambi commerciali tra Berna e Roma funzionano anche in questo particolare settore. L’anno scorso infatti l’Italia è stato il quinto paese in ordine di importanza a rifornirsi in Svizzera, con un totale delle commesse superiore ai 25 milioni di franchi (24’430’342, per l’esattezza). Qui sono finiti: materiale per la direzione del tiro (quasi 13 milioni di franchi), armi da fuoco di diverso calibro (esclusi fucili e pistole) per un valore di oltre cinque milioni, munizioni varie (4,6 milioni circa), esplosivi e combustibili militari (poco meno di 1 milione di franchi), fucili e pistole (quasi 700’000 franchi), ma anche materiale per fonderie e altri prodotti non finiti (70’000 franchi circa) e parti per aeromobili (5’000 franchi circa).

Industria mondiale del materiale militare

A livello mondiale, con un totale di circa 360 milioni di franchi in media, la Confederazione elvetica figura al 14 posto fra gli esportatori di materiale militare in generale, immediatamente preceduta dal Canada e seguita dalla Corea del Sud. I dati si riferiscono al periodo 2011-2015 e sono stati elaborati dall’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma (SIPRICollegamento esterno).

In cima alla classifica troviamo gli Stati Uniti (circa 10,5 miliardi), la Federazione russa (6,1 miliardi) e la Cina, con i suoi circa 2 miliardi di esportazioni.

Roma, dal canto suo, ha esportato nel periodo in questione materiale militare per 763 milioni, attestandosi così alla nona posizione, dopo Spagna e prima dell’Ucraina.

Ludovico Camposampiero

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