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La Svizzera di nuovo nel mirino degli Stati uniti

Lo Stretto di Hormuz, luogo di transito di buona parte del petrolio iraniano verso i mercati internazionali Keystone

Da qualche tempo, la Svizzera e la sua piazza finanziaria devono costantemente sottostare alle pressioni degli Stati uniti. Ora anche le aziende elvetiche attive nel commercio di petrolio si trovano nel mirino degli americani, in relazione all’embargo imposto contro l’Iran.

La Svizzera ha esitato a lungo prima di partecipare alle sanzioni economiche applicate dalla comunità internazionale contro l’Iran. Berna ha, tra l’altro, cercato di evitare tensioni con Teheran per non compromettere il suo ruolo di mediatrice. La Confederazione rappresenta infatti già da oltre tre decenni gli interessi diplomatici degli Stati uniti in Iran e negli ultimi anni ha tentato a livello informale di assumere un ruolo di mediazione anche nella vertenza sul programma nucleare iraniano.

Un anno fa la Svizzera ha però deciso di applicare sanzioni economiche contro l’Iran di portata equivalente a quelle già imposte dall’Unione europea (UE) e dagli Stati Uniti. Una decisione che ha fatto seguito alle crescenti pressioni internazionali.

Ora la Confederazione si vede di nuovo costretta ad agire. Lo scorso 23 gennaio, l’UE ha resto noto di voler ulteriormente inasprire le sanzioni contro Teheran a partire dalla metà di quest’anno. Misure più dure sono già state annunciate anche dagli Stati uniti. In seguito alla vertenza sul nucleare, il presidente americano Barack Obama ha ordinato il blocco dei beni e dei patrimoni della banca centrale e del governo iraniani negli Stati uniti.

Già dal 2006 la Svizzera ha cessato gli acquisti di petrolio e importa solo pochi beni dall’Iran. Le importazioni ammontavano a 41 milioni di euro nel 2010. Molto più importanti le esportazioni, soprattutto di prodotti farmaceutici e macchinari, che hanno raggiunto 700 milioni lo stesso anno.

Informazioni di Wikileaks

Secondo i dati pubblicati l’anno scorso da Wikileaks, rappresentanti dell’ambasciata americana a Berna hanno tentato più volte di premere sull’organo di controllo delle esportazioni della Segreteria di Stato dell’economia (Seco) per spingere la Svizzera a rinunciare alla fornitura di merci “sensibili” all’Iran. La Seco avrebbe molto spesso accettato le imposizioni americane.

La viceresponsabile della comunicazione presso la Seco, Marie Avet, non vuole però né commentare, né smentire le informazioni trasmesse da Wikileaks. “Non posso purtroppo dire niente di più”.

Nel caso di Wikileaks bisogna sempre essere consapevoli del fatto che i documenti pubblicati erano originariamente destinati ad usi interni, ossia nell’ambito dell’amministrazione americana, fa notare la deputata liberale radicale Christa Markwalder.

“Non si deve sopravvalutare Wikileaks. In fin dei conti, la Svizzera è uno Stato sovrano con una propria politica estera e ha assunto un mandato di rappresentazione degli interessi diplomatici americani a Teheran. Svolgiamo quindi un ruolo particolare in tal senso per gli Stati Uniti”, dichiara la parlamentare elvetica, che fa parte della Commissione di politica estera della Camera del popolo.

Rappresentante americano a Berna

Il responsabile dell’attuazione delle sanzioni contro l’Iran presso il Dipartimento americano delle finanze, David S. Cohen, ha avuto a inizio febbraio diversi colloqui a Berna con rappresentanti del Dipartimento federale degli affari esteri, tra cui della Seco, ha indicato recentemente la Neue Zürcher Zeitung (NZZ).

Anche se questo, la Seco preferisce non esprimersi. Lo abbiamo letto sulla NZZ, ma non possiamo dire nulla, ripete Marie Avet. “Mi dispiace, ma non posso dire di più”.

Il portavoce e addetto culturale dell’ambasciata americana a Berna, Alexander N. Daniels, conferma invece a swissinfo.ch che David S. Cohen era recentemente a Berna per spiegare al Dipartimento federale degli affari esteri e alla Seco le nuove sanzioni adottate alla fine dell’anno scorso dal Congresso americano, che entreranno in vigore il 1° luglio.

Le misure includono il boicottaggio della Banca centrale iraniana, che negli ultimi tempi aveva assunto spesso il ruolo di intermediario finanziario per le transazioni petrolifere. L’istituto di emissione iraniano è inoltre sospettato di finanziare una gran parte delle importazioni destinate al controverso programma nucleare iraniano.

Cohen ha inoltre condotto una missione analoga in Inghilterra e Germania, , aggiunge il portavoce e addetto culturale dell’ambasciata americana  a Berna.

Piattaforma mondiale

Se la Svizzera non importa più petrolio iraniano dal 2006, continua però ad essere un’importante piattaforma per il commercio internazionale di “oro nero”. Le cinque principali aziende svizzere nel settore delle materie prime – Glencore, Gunvor, Vitol, Trafigura e Mercuria – coprono circa un terzo del mercato globale di petrolio.

Anche queste cinque imprese dovranno sottostare alle nuove sanzioni imposte contro l’Iran. Attualmente non sappiamo ancora in che modo l’UE vorrà applicare concretamente le nuove misure, indica la portavoce della Seco. “Pertanto non possiamo ancora fornire ulteriori informazioni. Ma è chiaro che bisognerà rispettare le sanzioni nel commercio con i paesi che le hanno introdotte”.

“La Svizzera è un importante centro per il commercio di materie prime, tra cui petrolio greggio, e vi hanno sede diverse aziende che svolgono un ruolo di primo piano su questo mercato”, rileva Christa Markwalder. “Rientra sicuramente nell’interesse di queste aziende di conformarsi alle misure internazionali, altrimenti rischiano di perdere l’accesso e le licenze per il mercato americano”.

Ruolo speciale

ll governo svizzero dovrà ora esaminare le reazioni all’inasprimento delle sanzioni adottate l’anno scorso contro l’Iran e rispondere alle pressioni esercitate attualmente dagli Stati Uniti. Per fare questo, il Consiglio federale intende basarsi in particolare sulle valutazioni della Seco.

“Abbiamo discusso l’anno scorso delle sanzioni decise dall’UE, prima ancora che il governo decidesse di aderirvi. Anche questa volta ci chineremo sulle nuove misure volute da Washington”, sottolinea Christa Markwalder.

“La Svizzera avrebbe bisogno di argomenti molto buoni per rimanere in disparte e non seguire l’UE e gli Stati uniti. Svolgiamo un ruolo speciale quale paese mediatore tra Stati uniti ed Iran, ma non possiamo permetterci di diventare una piattaforma destinata ad aggirare le sanzioni”, aggiunge la deputata liberale radicale.

1917: l’Iran apre un’ambasciata a Berna.

1919: la Svizzera apre un consolato generale a Teheran.

1936: il consolato diventa un’ambasciata.

1979: nel pieno della rivoluzione islamica – che ha trasformato la monarchia persiana in una Repubblica islamica – studenti iraniani invadono l’ambasciata americana a Teheran, tenendo in ostaggio il personale per 444 giorni.

1979: gli Stati uniti interrompono le relazioni diplomatiche con l’Iran.

1980: la Svizzera rappresenta gli interessi americani e assicura il servizio consolare ai cittadini e alle cittadine americani.

2008: la ministra degli esteri elvetica Micheline Calmy-Rey si reca in Iran per assistere – tra le altre cose – alla firma di un contratto per la fornitura di gas tra l’azienda zurighese EGL e le autorità iraniane. Questa visita solleva aspre critiche in Svizzera e all’estero.

18 agosto 2010: la Svizzera adotta le sanzioni prese dal Consiglio di sicurezza dell’Onu contro l’Iran che ha rifiutato si sospendere il programma nucleare.

19 gennaio 2011: il governo elvetico decide di adeguare le sanzioni contro l’Iran applicate dai principali partner commerciali della Svizzera, segnatamente gli Stati uniti e l’Unione europea.

Il volume degli scambi con l’Iran ammontava nel 2010 a circa 741 milioni di franchi.

La Svizzera ha esportato beni per circa 700 milioni di franchi, mente le importazioni dall’Iran hanno raggiunto un totale di 41 milioni di franchi.

Rispetto al 2009 il volume degli scambi si è ridotto di circa 63 milioni di franchi.

I principali beni d’esportazione della Svizzera sono i prodotti farmaceutici, i macchinari e i prodotti agricoli.

Traduzione di Armando Mombelli

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