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La Svizzera a fianco delle donne e della pace

Anche in Svizzera sono ancora poche le donne coinvolte nelle missioni di mantenimento della pace Keystone

Gli svizzeri sono in prima linea nel sostenere la risoluzione dell’ONU che sottolinea il ruolo delle donne, troppo spesso dimenticato, nei conflitti e nei processi di pace.

Ma sulla fattibilità, sulla portata e sul successo di questa risoluzione, le valutazioni sono diverse, tanto in Svizzera, quanto all’estero.

La risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza dell’ONU sulle donne, la pace e la sicurezza, approvata il 31 ottobre del 2000, è la prima risoluzione mai emanata dall’organismo supremo dell’ONU che menziona esplicitamente l’impatto della guerra sulle donne e il contributo delle donne nella risoluzione dei conflitti e per una pace durevole.

Per queste ragioni, la risoluzione dell’ONU invita le donne stesse a una maggiore partecipazione nei processi di pace.

La Svizzera, che ha aderito alla risoluzione, ha inoltre elaborato un Piano di azione nazionale, come espressamente raccomandato dall’ONU. Con questa iniziativa la Svizzera è uno dei pochi paesi ad aver dato seguito alle richieste dell’ONU.

Un passo che s’inserisce naturalmente nel solco della politica estera svizzera, ha sottolineato Thomas Greminger, responsabile della Divisione degli affari politici e della sicurezza umana presso il Dipartimento federale degli affari esteri.

“La Svizzera fa parte di quei paesi – conferma Greminger a swissinfo – che negli ultimi anni sono stati maggiormente attivi nella risoluzione dei conflitti e nella promozione di processi di pace ai quattro angoli della terra”.

L’ambasciatore ha illustrato il Piano svizzero, un documento di una ventina di pagine disponibile dallo scorso mese di marzo, nel corso di una conferenza ministeriale, affinché sia maggiormente diffuso, specialmente nella società civile.

Le proposte elvetiche

Per Thomas Greminger l’incoraggiamento della partecipazione femminile nei processi di pace non interessa soltanto le zone di conflitto, ma può tranquillamente essere applicato anche in Svizzera, dove le zone coinvolte nelle missioni di mantenimento della pace sono ancora poche

Circa il 40 per cento degli specialisti nei processi di pace ufficiali sono donne, ma solo poche sono attive in settori sensibili come la polizia civile e la mediazione. Bisogna aumentare la formazione e il reclutamento delle donne.

Il diplomatico elvetico spera che il Piano di azione possa fungere da catalizzatore per la risoluzione dell’ONU. “Se non c’è nessun obbligo di prestare attenzione all’implementazione – spiega – questo documento rimarrà lettera morta. Un pezzo di carta e basta”.

Sul piano interno gli avversari di questa iniziativa ricorrono ai soliti argomenti, secondo cui la Svizzera fa già abbastanza, spendendo molti soldi nell’aiuto allo sviluppo. Ulrich Schlüer, deputato dell’Unione democratica di centro (destra nazionalista) ed esperto in materia di sicurezza, contesta i motivi a monte della risoluzione.

“I sostenitori parlano di implementazione della pace. Ma il vero obiettivo – assicura Schlüer – è il rafforzamento del potere, in altre parole: acquistare maggior peso e minare il tradizionale ruolo dell’esercito svizzero”.

Successo o fallimento?

I partecipanti alla conferenza internazionale, che si è svolta alla fine di agosto, hanno assunto posizioni divergenti sulla risoluzione 1325 dell’ONU per quanto riguarda l’impegno nella promozione delle donne e della pace nelle zone in conflitto.

Rita Thapa, una femminista del Nepal, ha spiegato a swissinfo che da molti punti di vista la risoluzione non fa che semplicemente sancire la continuazione di un lavoro che era già in corso. “La vera novità – sottolinea – è che l’ONU prevede la possibilità di esercitare una pressione reale sui governi e sui responsabili delle agenzie governative”.

Secondo Safaa Elagib Adam, una pacifista sudanese esperta in politica gender, la proposta ha invece un valore inestimabile. Le ha permesso di partecipare ai negoziati di pace del Darfur in qualità di esperta in questioni gender. Ha contribuito a ricordare che le donne, in maggior parte vittime della guerra, vengono spesso dimenticate nei negoziati di pace.

Ma Rachel Amram ha spiegato perché la sua organizzazione non governativa (ONG) “Isha L’Isha” attiva in Israele, ha deciso ad un certo punto di cessare la collaborazione con il governo dello stato ebraico nell’intento di implementare la risoluzione: ha avuto l’impressione che le autorità ostacolassero, in realtà, tale processo.

Un’affermazione contestata dall’ambasciatore israeliano in Svizzera Ilan Elgar, il quale ha semplicemente replicato che le valutazioni di Amram non sono totalmente rappresentative e che il progetto ha bisogno di più tempo. I commenti del diplomatico israeliano ben rappresentano, secondo la responsabile della ONG, le difficoltà che lei ha realmente incontrato.

swissinfo, Isobel Leybold-Johnson e Urs Geiser
(traduzione e adattamento dall’inglese Françoise Gehring)

Dall’8 marzo 2007 la Svizzera dispone di un piano d’azione nazionale per l’attuazione degli obiettivi della risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza dell’ONU su donne, pace e sicurezza. Dalla sua adesione all’ONU, la Svizzera partecipa alla rete informale “Group of Friends of the Resolution 1325”.

Quest’ultima si impegna a favore dell’attuazione della risoluzione 1325. anche il “Human Security Network”, di cui anche la Svizzera è membro attivo, si impegna a favore delle pari opportunità nella promozione della pace.

Le donne sono attrici dal grande potenziale nella promozione della pace se sono organizzate come parte della società civile. Troppo spesso esse vengono invece percepite esclusivamente come vittime della violenza dei conflitti.

La politica svizzera nel campo delle pari opportunità e della promozione della pace si basa sulla risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite «Donne, pace e sicurezza». Questa risoluzione contiene in particolare tre indirizzi:

1: partecipazione intensificata delle donne nei processi decisionali di promozione della pace

2: prevenzione della violenza specifica di genere e salvaguardia delle esigenze e dei diritti delle ragazze e delle donne durante e dopo i conflitti violenti

3: integrazione di un’ottica sensibile alla parità in tutti i progetti e programmi di promozione della pace.

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