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La Svizzera, uno Stato plurilingue per caso

Prima del 1999, nella Costituzione non figurava il termine "minoranza linguistica" swissinfo.ch

Il plurilinguismo è un elemento chiave della Svizzera, probabilmente tra quelli che maggiormente caratterizzano il paese all’estero. Ma un concetto di tale importanza è sufficientemente valorizzato?

È legittimo dubitarne. Lo afferma una ricerca che si sofferma sulla questione linguistica dal 1848 ad oggi.

Si pensi soltanto all’attuale dibattito sull’insegnamento della seconda lingua nelle scuole e al fatto che, ormai, la maggioranza dei cantoni di lingua tedesca preferisca privilegiare l’inglese e non più una seconda lingua nazionale.

Anche la recente decisione del Governo federale di rinunciare, viste le “ristrettezze finanziarie”, alla tanto attesa Legge federale sulle lingue nazionali e la comprensione tra le comunità linguistiche è la dimostrazione di una certa reticenza nei confronti di una vera valorizzazione del plurilinguismo.

I precedenti non mancano

Il fatto che al plurilinguismo non venga data l’importanza che merita non è nuovo. Già al momento della creazione dello Stato federale la questione linguistica era praticamente assente dai dibattiti politici ed è stato quasi per caso che nella Costituzione federale del 1848 il tedesco, il francese e l’italiano fossero dichiarati “lingue nazionali”.

È questa una delle conclusioni di una recente ricerca in cui è stata analizzata la questione linguistica a partire dal 1848 e fino alla revisione dell’articolo costituzionale sulle lingue, intrapresa negli anni 1980 (Jean Widmer, Renata Coray, Dunya Acklin Muji & Eric Godel. Die Schweizer Sprachenvielfalt im öffentlichen Diskurs. La diversité des langues en Suisse dans le débat public. Berna: Peter Lang. 2004).

Minoranza linguistica: un concetto recente

Lo studio mette in rilievo come il concetto di “comunità linguistica” oppure quello di “minoranza”, che oggigiorno appartengono al linguaggio comune, fossero praticamente inesistenti non solo nell’Ottocento ma ancora negli anni ’30, quando si trattava di riconoscere il romancio quale lingua nazionale.

Oggi invece la nozione di “minoranza linguistica” si trova addirittura nella nuova Costituzione del 1999. Il che non rallegra gli autori del volume. “Non ci risulta che durante le discussioni parlamentari sia stata fatta una riflessione sul significato di questa decisione, afferma l’etnologa Renata Coray.

Il concetto di “minoranza” è infatti assai ambiguo e rischia di essere fuorviante nel contesto svizzero. Chi sono le minoranze e chi la maggioranza? La risposta a questa domanda non è semplice poiché non può dipendere solo da considerazioni puramente numeriche. D’altronde nel 1937, nel messaggio governativo volto a riconoscere il romancio quale lingua nazionale, veniva esplicitamente sottolineato come il termine “minoranza” fosse estraneo al diritto svizzero che riconosce solo l’uguaglianza delle lingue.

Una lingua, un’etnia?

Un altro punto problematico del modo in cui viene vissuta e interpretata la pluralità linguistica della Svizzera è la cosiddetta “etnicizzazione della politica”. È una tendenza che preoccupa gli autori del volume poiché sempre più spesso decisioni politiche che non hanno niente a che vedere con l’appartenenza a questo o quel gruppo linguistico vengono interpretate esclusivamente in chiave etnolinguistica.

Basti pensare alle elezioni del Consiglio federale, dove l’appartenenza etnolinguistica dei candidati svolge un ruolo sempre più importante. Ad esempio, l’elezione di Micheline Calmy-Rey in Consiglio federale, nel 2002, è stata accompagnata da un aspro dibattito sull’appartenenza “etnica” della sua principale concorrente, Ruth Lüthi. I media e i politici francofoni le rimproveravano di non essere una vera “romanda”, malgrado parlasse correntemente il francese e che si esprimesse in questa lingua nella maggior parte del suo tempo. Taluni media della Svizzera tedesca non hanno allora esitato a parlare di “razzismo”. Questi comportamenti rischiano di irrigidire i confini linguistici, creando dei blocchi monolitici analoghi a quelli del Belgio.

Ecco perché il principale auspicio dei ricercatori è che ci sia una maggiore valorizzazione del plurilinguismo in tutte le sue forme. Ma anche loro sono coscienti delle difficoltà a realizzare tale scopo. “Le misure concrete della politica linguistica sembrano poco urgenti vista la priorità che viene data alle questioni materiali o finanziarie. La politica nazionale delle lingue non sembra essere nell’interesse generale e attira l’attenzione soprattutto dei politici”, affermano gli autori del volume. Vista la recente rinuncia alla Legge sulle lingue, queste frasi acquisiscono un valore profetico.

swissinfo, Nenad Stojanovic

1848: il tedesco, il francese e l’italiano vengono iscritti quasi per caso nella Costituzione federale quali “lingue nazionali”.
1937: il concetto di “minoranza linguistica” è ritenuto “estraneo” al diritto svizzero.
1999: il termine “minoranza linguistica” entra nella nuova Costituzione federale.

Il plurilinguismo viene ancora poco valorizzato. Lo dimostra uno studio recente che ha analizzato l’evoluzione della questione linguistica dal 1848 ai nostri giorni (Jean Widmer, Renata Coray, Dunya Acklin Muji & Eric Godel. Die Schweizer Sprachenvielfalt im öffentlichen Diskurs. La diversité des langues en Suisse dans le débat public. Berna: Peter Lang. 2004).

L’impiego di concetti come “minoranza” o “comunità linguistica” è piuttosto recente e non privo di ambiguità. Si osserva inoltre la tendenza ad un’etnicizzazione della politica, che rischia di irrigidire i confini linguistici e a creare dei blocchi monolitici analoghi a quelli del Belgio.

Le misure concrete a favore della comprensione fra le comunità linguistiche vengono spesso sacrificate a causa delle “ristrettezze finanziarie”. Vedi la recente rinuncia del Consiglio federale alla Legge sulle lingue.

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