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La Svizzera è troppo stretta per UBS?

Oswald Grübel guarda lontano Keystone

La banca elvetica – che martedì ha annunciato di aver realizzato nel 2010 un utile netto di 7,2 miliardi di franchi – sta valutando l'ipotesi di spostare parte delle sue attività fuori dalla Confederazione, a causa delle nuove regole giudicate eccessive.

Proprio nel momento in cui – per la prima volta dopo il 2006 – UBS può nuovamente annunciare risultati positivi, l’istituto ha ventilato la possibilità di trasferire le attività legate all’investment banking in un contesto sottoposto a una minore regolamentazione.

Martedì, infatti, il CEO di UBS Oswald Grübel ha fatto presente che in futuro vi saranno probabilmente differenze internazionali rilevanti per quanto concerne le regole imposte al sistema bancario.

Parecchi paesi stanno infatti mettendo in atto le proprie strategie per evitare che si ripetano altri cataclismi finanziari. In quest’ottica, la Confederazione sta istituendo le disposizioni più esigenti.

A titolo di esempio, una delle ultime proposte per limitare i rischi prevede di imporre a UBS e Credit Suisse di garantire riserve di capitale tre volte superiori agli standard internazionali. Di fronte a questa prospettiva, Grübel ha fatto presente che la banca potrebbe quindi spostare altrove parte della propria struttura.

Questione di regole

«Se in altri Stati le esigenze per le riserve di capitale sono la metà di quelle svizzere, e se vogliamo continuare a essere competitivi, sarà forse opportuno svolgere le nostre operazioni a partire da uno di questi paesi», ha affermato Grübel in occasione della conferenza stampa di presentazione dei risultati.

Secondo il CEO di UBS, se – per esempio nel settore della gestione patrimoniale – sussiste una richiesta da parte dei clienti, certi prodotti finanziari giudicati rischiosi potranno essere offerti altrove, per esempio in Gran Bretagna o negli Stati Uniti.

In ogni caso, Grübel ha ricordato che saranno necessari ancora parecchi mesi prima di conoscere l’entità precisa delle nuove regolamentazioni. E anche per quanto concerne i dettagli di un eventuale spostamento all’estero della divisione investment banking sarà necessario attendere ancora.

Cifre nere

Parallelamente a queste considerazioni, dopo tre anni chiusi in rosso, l’UBS ha annunciato di aver realizzato nel 2010 un utile netto di 7,2 miliardi. I conti 2009 erano terminati con una perdita di 2,74 miliardi. La fiducia della clientela sembra essere ritornata: nel quarto trimestre la banca ha registrato un afflusso netto di fondi di 7,1 miliardi di franchi, contro 1,2 miliardi tra luglio e settembre.

«Tutte le attività di raccolta hanno registrato afflussi», ha precisato l’istituto. Per l’intero anno risultano uscite nette per 14,3 miliardi, a fronte di oltre 147 miliardi l’anno prima. Gli analisti interrogati dall’agenzia Reuters avevano pronosticato in media un utile netto di 7,43 miliardi di franchi.

Il ritorno agli utili riflette principalmente il miglioramento dell’investment banking. L’unità ha infatti fatto registrare nell’intero esercizio un utile ante imposte di 2,17 miliardi di franchi, contro una perdita di 6,08 miliardi nel 2009.

«Nonostante i chiari progressi compiuti nel 2010 siamo perfettamente consapevoli di dover proseguire nell’azione di miglioramento dei nostri risultati», ha commentato Oswald Grübel.

Per soddisfare i requisiti patrimoniali la banca continuerà a trattenere gli utili. Di conseguenza non verrà corrisposto un dividendo per il 2010. L’UBS ha pure annunciato che verserà 4,32 miliardi di franchi in bonus per il 2010. Ciò rappresenta una diminuzione del 10% rispetto allo scorso anno (4,78 miliardi). Una quota di 1,55 miliardi sarà pagata solo nei prossimi anni. Non si conosce tuttavia in che misura siano stati aumentati gli stipendi fissi.

“Fastidi” legali

Gli Stati Uniti potrebbero dunque costituire una soluzione interessante per UBS in ragione di una regolamentazione meno severa, ma gli avvocati americani non sono comunque disposti a fare concessioni alle banca elvetica. Infatti lo scorso anno l’istituto ha accantonato 230 milioni di franchi per spese legali, di cui buona parte negli Stati Uniti.

In particolare, va ricordato che UBS – in un accordo raggiunto nel febbraio 2009 – ha accettato di versare una multa di 780 milioni di dollari per aver violato la legislazione americana, aiutando alcuni facoltosi clienti ad evadere il fisco. Da parte sua, l’Autorità svizzera di vigilanza sui mercati finanziari ha autorizzato la consegna a Washington di informazioni riguardanti i clienti sospettati di aver frodato l’erario americano.

Nell’agosto successivo, anche in seguito a fortissime pressioni da parte americana (era stata evocata persino la revoca della licenza bancaria di UBS da parte di Washington), gli Stati Uniti e la Confederazione avevano raggiunto un accordo, in base al quale Berna si è impegnata a fornire nel giro di un anno i nominativi di altri 4’450 titolari di conti UBS.

Nel mese di ottobre del 2010, in una lettera al giudice del tribunale di Miami (Florida) – che si occupa del caso UBS – il vice procuratore incaricato degli affari fiscali ha indicato che la banca svizzera aveva ormai onorato «la totalità dei suoi obblighi».

Il 16 ottobre 2008 la Confederazione è stata costretta a correre in aiuto dell’UBS mediante un’azione congiunta condotta con la Banca nazionale (BNS).

Con un’operazione senza precedenti al fine di salvare l’istituto e proteggere l’intera economia nazionale, il governo ha accordato all’UBS un prestito di 6 miliardi di franchi obbligatoriamente convertibile in azioni e la BNS si è fatta carico di una grande quantità di titoli tossici.

Difendendo la decisione, l’allora ministro delle finanze Hans-Rudolf Merz aveva affermato: «Tra i clienti dell’UBS vi sono 130’000 piccole e medie aziende svizzere. I salari di centinaia di migliaia di svizzeri vengono versati sui suoi conti […]. Tenendo conto di tutto questo si può soltanto concludere che l’UBS ha un’importanza economica rilevante per la Svizzera. Stabilizzando la situazione finanziaria dell’UBS, si stabilizza anche tutta la piazza finanziaria».

L’ eccezionale operazione aveva alimentato il dibattito sulle banche too big to fail e sollevato numerose critiche: per molti contrari, il governo si era infatti piegato al principio della collettivizzazione delle perdite e della privatizzazione dei profitti.

Nel frattempo la Confederazione è uscita dall’UBS. Il giorno stesso della firma dell’accordo extragiudiziale con gli Stati Uniti sulle rivendicazioni del fisco americano nei confronti dell’UBS, il Dipartimento federale delle finanze ha infatti annunciato la conversione del prestito in azioni e la vendita della partecipazione.

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