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La scienza di fronte ai capricci di sole e vento

La produzione di energia eolica e solare varia in funzione della stagione e dell'ora del giorno. Keystone

Per promuovere le energie rinnovabili non basta costruire centrali solari o eoliche. È pure necessario sviluppare sistemi efficaci di immagazzinamento dell'elettricità, dalle classiche batterie a soluzioni più innovative.

Sole e vento hanno un difetto: sono spesso imprevedibili. Succede così che queste due fonti rinnovabili vengono a mancare proprio quando la domanda di corrente elettrica è ai livelli più alti.

La promozione di queste due fonti rinnovabili è quindi difficilmente concepibile, se non si dispongono di sistemi capaci di conservare, in modo efficiente, l’elettricità prodotta durante le giornate favorevoli.

Su questo punto, tuttavia, lo sviluppo sostenibile si scontra con le leggi della fisica e della chimica, come fa notare Kostantinos Boulouchos, esperto di energia al Politecnico federale di Zurigo.

«La limitata capacità di conservare l’energia solare ed eolica è un grosso ostacolo sulla strada dell’approvvigionamento rigenerativo», afferma sulle pagine della SonntagsZeitung.

Per far fronte a questa sfida si sono delineate diverse soluzioni. Accanto allo sviluppo delle tradizionali batterie si punta sull’immagazzinamento a lungo termine di grandi quantitativi energetici.

“Batterie” alpine

«Il principale sistema di stoccaggio dell’energia elettrica in Svizzera – afferma Michael Moser della sezione Ricerca Energetica dell’Ufficio federale dell’energia – è l’impianto di pompaggio-turbinaggio delle centrali idroelettriche».

Durante i momenti di consumo limitato (o di sovrapproduzione elettrica), l’elettricità è utilizzata per alimentare le pompe che fanno risalire l’acqua nei bacini di accumulazione. Quando il fabbisogno elettrico aumenta, l’acqua viene poi fatta scorrere nelle turbine per la produzione di corrente idroelettrica.

Un sistema sulla carta ineccepibile, in particolare per un paese montagnoso e denso di impianti idroelettrici come la Svizzera. Il rendimento è di circa il 75%, ovvero si recuperano i tre quarti dell’energia utilizzata per pompare l’acqua nei bacini superiori.

«Se il pompaggio venisse effettuato esclusivamente con la produzione in eccesso del solare o dell’eolico – osserva tuttavia Jürg Buri, direttore della Fondazione svizzera dell’energia – sarebbe perfetto. Ma non è affatto così».

«Il problema è che le pompe svizzere sono alimentate per il 90% dai mix energetici importati dalle centrali nucleari e a carbone dell’Europa».

Aumentare il volume dei bacini alpini come si vorrebbe ad esempio fare sul Grimsel (Oberland bernese) o a Nant de Drance in Vallese, ritiene Buri, significa quindi accrescere la domanda di energia non rinnovabile a basso costo. Senza contare il fatto che l’innalzamento delle dighe comporta pure ripercussioni a livello ecologico.

Lo svantaggio principale del sistema di pompaggio-turbinaggio è legato alla capacità della rete elettrica. Secondo diversi avvisi, per portare l’energia eolica prodotta nel nord dell’Europa fino ai motori che azionano le pompe elvetiche è necessario ampliare la rete attuale. In Svizzera come all’estero.

Aria compressa

Nel campo dello stoccaggio di quantitativi limitati di elettricità, ci spiega Alfred Rufer del Laboratorio di industria elettronica al Politecnico federale di Losanna (EPFL), parte della ricerca si concentra sul perfezionamento delle batterie.

Oggigiorno ne esistono di diversi tipi, da quelle classiche al piombo a quelle più moderne al litio o al vanadio-redox. «Il problema degli accumulatori elettrochimici – osserva il professore – è la durata di vita: il numero di cicli di carica-scarica è limitato a circa un migliaio».

Il Politecnico di Losanna ha così deciso di seguire un’altra direzione: quella della fisica reversibile. Tra i progetti di ricerca di Alfred Rufer vi è un sistema innovativo ad aria compressa in cui l’elettricità è utilizzata per pompare l’aria in speciali bombole. Nei momenti di maggior richiesta, quest’aria ad alta pressione può essere riconvertita in corrente elettrica attraverso le turbine.

La novità di questo concetto, spiega Rufer, risiede nel’impiego di un pistone “liquido”, il quale permette di recuperare il calore (l’aria si scalda quando viene compressa) migliorando così il rendimento.

L’aumento della pressione crea un potenziale di energia «paragonabile all’innalzamento dell’acqua in un bacino idroelettrico», sottolinea Sylvain Lemofouet, ingegnere dell’EPFL all’origine del primo prototipo.

Immagazzinare l’elettricità nelle auto

Altre piste esplorate dal mondo scientifico fanno ricorso all’estrazione dell’idrogeno dall’acqua (pile a combustibile, vedi a fianco) e alla forza di inerzia. Alcuni modelli prevedono invece di “depositare” temporaneamente il calore del sole in serbatoi contenenti sabbia o ghiaia.

Nel prototipo costruito a Biasca, in Ticino, l’aria calda della centrale a energia solare (che può raggiungere i 600 gradi) viene fatta passare tra le pietre, che in questo modo si scaldano. Di notte o in assenza del sole, il calore della ghiaia viene a sua volta utilizzato per riscaldare dell’aria fredda, ciò che mantiene in moto il circuito del vapore.

«Il potenziale di una determinata tecnica dipende dal tipo di applicazione», precisa Alfred Rufer. In campo automobilistico, prosegue, si punta ad esempio sui supercondensatori. Questi particolari accumulatori consentono di recuperare l’energia di frenata e hanno il vantaggio di poter liberare, in pochissimo tempo, energia ad elevata potenza.

Ed è proprio nel settore della mobilità che alcuni ingegneri vedono un grosso potenziale. «Un’automobile elettrica è ferma per il 98% del tempo e quindi non si sfrutta la sua batteria, che peraltro è la parte più costosa», annota Davide Rivola della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (SUPSI).

«L’idea è di “trasformare” il parco veicoli in un magazzino di elettricità». Questo concetto, puntualizza, rientra in una visione più ampia. «Per sfruttare il potenziale delle auto elettriche è indispensabile disporre di una rete intelligente (smart grid) capace di ottimizzare la distribuzione di elettricità».

Il Politecnico federale di Zurigo (ETHZ) ha messo a punto un nuovo tipo di pila a idrogeno che potrebbe contribuire a risolvere il problema dello stoccaggio dell’elettricità.

Il principio è semplice e si rifà a scoperte di metà Ottocento: la corrente elettrica è utilizzata per decomporre l’acqua in ossigeno e idrogeno (elettrolisi); al momento della loro ricombinazione, l’energia chimica dei due componenti viene rilasciata sottoforma di elettricità.

La novità dei ricercatori dell’ETHZ, guidati da Hansjörg Grützmacher, risiede nello sviluppo di elettrodi “organometallici“, composti di idrocarburi e di un solo atomo di metallo (rodio) per molecola.

Immersi in una soluzione contenete zuccheri e alcool, questi elettrodi permettono di ricomporre l’ossigeno e l’idrogeno con un’efficienza molto elevata.

Al momento, il principale difetto della pila è il tipo di metallo. Il rodio è in effetti poco meno costoso del platino utilizzato sugli elettrodi tradizionali.

I ricercatori stanno cercando alternative con il cobalto, il nichel, il ferro o il manganese.

L’aumento del numero di produttori di corrente elettrica a partire da fonti rinnovabili, associato alle oscillazioni della produzione di energia solare ed eolica, costituiscono una nuova sfida per le reti di distribuzione dell’energia.

In Svizzera si sta così diffondendo il concetto delle reti intelligenti (Smart Grid). Questi sistemi consentono di ottimizzare il trasporto e la distribuzione dell’elettricità evitando gli sprechi e i picchi di consumo.

Un progetto pilota è condotto dalla Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (SUPSI) nel comune di Mendrisio.

L’idea è di equipaggiare una ventina di case con pannelli fotovoltaici e batterie e di gestirle attraverso uno speciale algoritmo capace di percepire lo stato in cui si trova la rete.

Sensori e contatori intelligenti consentiranno ad esempio di attivare, o disattivare, i magazzini di corrente elettrica.

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