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La Scala di Milano e l’impronta di Mario Botta

Il cantiere della Scala swissinfo.ch

“Mario Botta darà a Milano il più bel teatro del mondo”: parole del maestro Riccardo Muti.

Per adesso, il Teatro alla Scala è un cantiere aperto, avvolto da ponteggi e teloni. In attesa della sua inaugurazione a dicembre, l’architetto ticinese ne ha parlato questa settimana a Milano, davanti a una platea di imprenditori.

Al termine di una giornata di bilanci e prospettive economiche, immersi in un mare di cifre sugli scambi commerciali fra Italia e Svizzera, i partecipanti all’assemblea annuale della Camera di commercio Svizzera in Italia (CCSI) si sono concessi con Mario Botta una riflessione su alcuni valori culturali fondamentali della nostra società.

Valori che il mondo degli affari non può ignorare, ha ricordato il presidente della CCSI Fabrizio Rindi. “È impossibile avere un’architettura bella in una società cattiva”, gli ha subito fatto eco Mario Botta.

Il senso del sacro


Ed ecco dunque che l’architetto ticinese inizia il suo intervento martellando che “la nostra collettività ha smarrito il senso del sacro”. Un senso da non confondere con il “senso clericale”, precisa subito. “Il senso del sacro è oggi perso nelle pieghe della società, ma è immediatamente riconosciuto non appena riemerge. L’architettura riesce a parlare di questo bisogno primordiale insediato nella natura dell’uomo.”

Le prime diapositive scelte da Botta per parlare agli imprenditori riguardano tutte la dimensione del sacro: una sinagoga costruita in Israele, una cappella di un cimitero cattolico, la chiesta di Seriate (Bergamo) “capace di riorganizzare uno spazio collettivo in una società che ha perso i punti di riferimento”, un altro nuovo progetto per una chiesa.

Soltanto in un secondo tempo, Botta presenta alcuni esempi di sue costruzioni profane: la casa di Dürrenmatt a Neuchâtel, due imponenti torri a Seul, la cantina per il vino a Suvereto, il museo Bodmer a Ginevra o la stessa Scala di Milano.

Ma anche la Scala, inaugurata nel 1778, sorge laddove prima si trovava la chiesa di Santa Maria la Scala. “Una decisone coraggiosa e visionaria quella dell’aristocrazia milanese di allora, che decide di mettere il teatro al centro della città.”

La complessità del restauro della Scala

Senza entrare nei dettagli dei restauri, Botta ha parlato dei vari interventi compiuti già a partire dal 1814 dai suoi predecessori, per adeguare la Scala alle esigenze dei tempi. Non bisogna dimenticare che all’inizio le rappresentazioni avvenivano al lume di candela, poi con le lampade a olio e solo successivamente con le lampade a gas e infine con l’elettricità all’inizio del ‘900.

Le successive trasformazioni hanno lasciato segni profondi nel teatro lirico milanese, con una complessa e incoerente stratificazione: nei retropalchi è stato trovato il marmorino originale sotto ben 14 strati di intonaco!

Nel 2001, all’inizio dei lavori, il teatro era diventato inagibile. “O lo si trasformava radicalmente o lo si radeva al suolo.”

Benvengano le critiche

L’intervento dell’architetto svizzero ha però anche suscitato critiche. E Mario Botta non ha per niente apprezzato le polemiche create in funzione di lotte ideologiche e partitiche. “Ma, se escludiamo questo aspetto, di per sé il fatto che il cittadino parli dei suoi valori abitativi all’interno della città è positivo.”

Il teatro lirico è una struttura simbolica che segna la storia e l’evoluzione della metropoli lombarda. I milanesi, ma certamente non solo loro, attendono con impazienza l’inaugurazione della nuova Scala, a inizio dicembre.

swissinfo, Mariano Masserini, Milano

Restauro iniziato nel 2002.
Oltre 200 le persone che lavorano giorno e notte.
56 milioni di euro il costo dell’opera.
Inaugurazione il 7.12.2004.

“Architettura e cultura: il Teatro alla Scala e altri progetti”. L’architetto svizzero Mario Botta ha evocato mercoledì a Milano il suo concetto di architettura, che chiama in causa la responsabilità del cittadino e della classe dirigente.

“Se la città fisica non è bella o se non corrisponde ai canoni ai quali non aspiriamo è perché la città sociale, che la esprime, non è bella, è carica di violenza, è una forma di ghettizzazione.”

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