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La rivoluzione verde della chimica

La chimica è anche la scienza dei gusti e dei colori AFP

Discariche tossiche, catastrofi e inquinamento non hanno certo giovato all'immagine di questa disciplina scientifica. Ciononostante, già da tempo nei laboratori e nell'industria chimica si cerca di lavorare rispettando i principi ecologici.

La chimica, scienza della trasformazione della materia, permette di fabbricare nuove molecole. Queste sono alla base dei nostri medicamenti, dei nostri vestiti, dei nostri oggetti e di tante altre cose diventate ormai banali.

Fabbricare una nuova molecola significa “incollare” assieme degli atomi. Ma questo processo non è sempre il medesimo: se, per esempio, si vogliono unire il carbone, l’idrogeno, l’azoto, il fosforo e l’ossigeno, sarà necessario eseguire un’operazione per ciascun elemento che si vuole aggiungere all’insieme.

Chiamate reazioni, queste operazioni sono possibili unicamente a condizioni di pressione, temperatura ed energia ben definite. Esse si svolgono prevalentemente in ambiente liquido, in un’amalgama di prodotti non necessariamente ideali per gli organismi viventi e l’ambiente. Questo perché la chimica non ha altra scelta. O meglio: non ancora…

Questione di buon senso

«Oggigiorno siamo capaci di sintetizzare praticamente qualsiasi molecola. Quindi, invece di adagiarci sugli allori, è il momento di migliorare la qualità: cerchiamo di produrre le molecole nel modo più pulito possibile», spiega Christian Bochet, professore di chimica all’Università di Friburgo.

Questo esperto dei composti di carbonio – categoria che comprende numerosi medicamenti – è specializzato nell’utilizzazione della luce per fabbricare molecole. La tecnica in questione viene denominata fotochimica organica: alcuni suoi procedimenti sono già utilizzati in ambito industriale per produrre il nylon, l’ossido di rosa o certi erbicidi.

Per i loro esperimenti Christian Bochet e i suoi colleghi cercano di utilizzare direttamente la luce del sole e non quella delle lampade, che consumano un’energia essenzialmente non rinnovabile. Secondo il professore questa è una scelta unicamente «dettata dal buon senso: non si può continuare a danneggiare l’ambiente».

Inevitabile

Un buon senso che i fabbricanti dei prodotti chimici sembrano ormai condividere. «Nel settore industriale si parla ormai da tempo di “chimica verde”, anche se noi preferiamo parlare di “chimica sostenibile”, una denominazione che si applica sia ai prodotti che ai processi di produzione», sottolinea Richard Gamma, vice direttore della Società svizzera dell’industria chimica e farmaceutica (SGCI).

Christian Bochet conferma questo cambiamento di rotta adottato un ventennio or sono da un settore la cui reputazione non era delle migliori. «Si tratta di una tendenza che ora è inevitabile. Rispettare l’ambiente è una necessità ovvia, ma costituisce pure un vantaggio dal profilo economico: basti pensare al risparmio sui costi di smaltimento dei rifiuti e al beneficio per l’immagine».

Senza chimica non c’è vita

Resta il fatto che la chimica continua a fare paura: «Per chi si oppone di principio ai prodotti chimici, questi ultimi non potranno mai essere considerati “verdi”», riassume Richard Gamma.

Anche secondo Bochet, «spesso si ritiene che tutto quanto proviene dalla natura è buono, mentre qualsiasi prodotto chimico è nocivo. Ciononostante, gli esempi contrari sono numerosi». Il professore di chimica cita a questo proposito i funghi velenosi e la tossina botulinica, uno dei più potenti veleni naturali del mondo, prodotta da un batterio.

Anche schierarsi «contro la chimica», rileva il professore, non ha semplicemente senso. Infatti tutto ciò che ci circonda – dalla terra all’aria, passando per il nostro corpo e il nostro sangue – sono il risultato della trasformazione della materia, dunque della chimica.

Invece, aggiunge, «si può essere contrari alla sua utilizzazione industriale abusiva. Ovviamente parecchie industrie hanno sfruttato la chimica a scopi prettamente economici, anche esportando certi processi notoriamente pericolosi nei paesi in cui vigono norme meno severe. Queste pratiche devono essere assolutamente soppresse».

Bochet è fiducioso ma rimane comunque realista: un’industria chimica completamente ecologica rimane possibile, «ma forse tra qualche secolo».

Partita dagli Stati Uniti all’inizio degli anni Novanta, la chimica “verde” mira – secondo l’Agenzia americana per la protezione dell’ambiente – a «elaborare prodotti e processi chimici che permettono di ridurre o eliminare l’uso e la sintesi di sostanze pericolose».

La chimica “verde” si basa su 12 principi, tra i quali figurano la prevenzione, il risparmio di materie prime rare, il miglioramento del rendimento energetico, la riduzione della quantità di rifiuti e la creazione di sostanze biodegradabili.

Nata in Canada nel 1987, l’iniziativa Responsible Care (sorveglianza responsabile) è un codice di buona condotta dell’industria chimica più severo delle norme imposte dagli Stati.

L’ex segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan lo considerava «un promettente modello di autoregolazione, che altri settori industriali dovrebbero seguire».

Il documento che enuncia i principi del Responsible Care è stato firmato dalle associazioni e dalle aziende chimiche di 53 paesi, equivalenti al 90% della produzione chimica mondiale.

Chi aderisce al Responsible Care s’impegna a rispettare i principi dello sviluppo sostenibile, segnatamente a migliorare costantemente gli standard in materia di sicurezza, salute, ambiente, a utilizzare le risorse in modo efficiente, a minimizzare gli sprechi e i rifiuti.

traduzione e adattamento: Andrea Clementi

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