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La politica riscopre la cultura

Cultura nelle sue forme più estemporanee? Senza sostegno statale è ormai impensabile Keystone

Da anni si aspetta la ridefinizione della politica culturale svizzera. Il botto, provocato dal caso Hirschorn, ha rianimato il dibattito, evidenziando visioni divergenti.

I toni sono pesanti: la destra conservatrice vuole che lo Stato si ritiri dal finanziamento della cultura. Questo rinsalda la coalizione di centro sinistra che si barcamena fra termini minimi e ideali.

In Svizzera la cronaca culturale si fa anche politica: «Con il caso Hirschorn, anche la destra si è accorta della necessità di avere una politica culturale», spiega a swissinfo la deputata socialista Vreni Müller-Hemmi.

La mareggiata, dovuta ad un’esposizione dell’artista polemico Thomas Hirschorn al Centro culturale svizzero di Parigi, sembra infatti aver smosso le acque. Lo conferma anche il portavoce dell’Unione democratica di centro (UDC), Roman Jäggi: «Non abbiamo ancora delle posizioni precise, ma è prevista una seduta la settimana prossima». Nel frattempo i suoi esponenti si esprimono nei termini più disparati.

Dopo tre anni di temporeggiamenti, nel solo mese di febbraio, Pascal Couchepin – capo del Dipartimento degli interni e dunque responsabile della cultura – ha preso in mano le redini del discorso con ben quattro discorsi su principi e compiti dello Stato nella promozione artistica. La nuova rotta non è solo ispirata dall’alto: già l’anno scorso il parlamento aveva ripescato la legge sulle lingue, congelata da Couchepin per i costi aggiuntivi previsti.

È comunque raro che un ministro scenda in piazza con tanta veemenza per un dibattito che, fino all’altro ieri, non sembrava interessare nessuno. Adesso che il ministro rema, i tre testi di legge in sala d’attesa – negletti da un’agenda politica definita dall’economia che non tira, dal debito pubblico che cresce e da una forte destra conservatrice che vuole ridurre ai minimi termini la presenza dello Stato – hanno ritrovano la velocità di crociera.

Terreno da recuperare

La socialista Vreni Müller-Hemmi, unica parlamentare che si dichiara in primo luogo sostenitrice della politica culturale, reagisce con un po’ di amaro in bocca ai ritardi cumulati, ma non intende perdere l’occasione: «Couchepin ha definito i cardini; il suo partito non può più tirarsi in dietro; adesso spingiamo sull’acceleratore».

Due i criteri definiti: la libertà dell’arte è garantita e la Confederazione si impegna a sostenere la creatività nei vari settori. Il cinema e la conservazione della memoria (Biblioteca, Cineteca, Fonoteca e Musei nazionali) sono confermati come punti forti.

Per tutte le altre attività, la Confederazione delega i compiti ai cantoni e alla Fondazione Pro Helvetia, che promuove la produzione artistica e letteraria e gli scambi con l’estero. Il compromesso aggiorna il vecchio e confuso sistema del federalismo reale; i primi attori della cultura rimangono i comuni e i cantoni, ma le competenze sono più chiare.

Il contributo federale aumenterebbe di qualche decina di milioni, rispetto agli attuali 230. Grazie ad una migliore coordinazione, i soldi verrebbero inoltre impiegati in modo più mirato.

Destra dura contro il centrosinistra

L’iter parlamentare dovrebbe avanzare senza problemi, tagliando il traguardo entro la fine del 2006 con la legge quadro sulla promozione della cultura, la legge sulle lingue e quella su Pro Helvetia.

«I numeri ci sono», spiega Vreni Müller Hemmi: i socialisti e verdi sostengono a pieno titolo i progetti; se i liberali radicali stanno con il loro ministro Couchepin la maggioranza assoluta del Consiglio nazionale è garantita. Aggiungendo una manciata di democristiani si è già al margine del plebiscito.

Ma se il governo teme i costi supplementari, la destra conservatrice ha dichiarato battaglia alla cultura sostenuta dallo Stato: «Noi siamo contro nuovi compiti pubblici, ma favorevoli a più mercato e più concorrenza anche nella cultura. Gli artisti non possono più permettersi di fare quello che vogliono a spese dei contribuenti», spiega ancora il portavoce UDC Roman Jäggi. Ma tutti hanno capito: senza finanziamenti pubblici – i quattro quinti delle risorse impiegate oggi – non c’è cultura in Svizzera.

Quale politica culturale?

La destra non intende comunque sostenere molti dei compiti che le leggi in via di definizione vogliono attribuire alla cosa pubblica. «Nobili, certo, ma necessari?», chiede retoricamente Jäggi. Si combatteranno le nuove misure previste, fra cui una migliore comunicazione fra le regioni, una più marcata promozione delle minoranze linguistiche e il sostegno, come il riconoscimento sociale e senza condizioni dei liberi professionisti del mondo dell’arte.

Con quasi un quarto dei voti, l’UDC è il primo partito nazionale ed è latore di un modo di pensare diffuso: più che arte di punta e di prestigio internazionale, si preferisce il folklore, il fruibile e soprattutto quello che allo Stato non costa niente. Posizioni analoghe ci sono anche in altre formazioni politiche.

In aprile il Consiglio federale dovrebbe discutere i progetti definitivi. Seguirà la consultazione e poi il dibattito in aula. Con tanta carne al fuoco, non mancheranno i toni accesi. Il caso Thomas Hirschorn non è stato che l’inizio.

swissinfo, Daniele Papacella

In Svizzera, il 78% del sostegno alla cultura, pari a 1,8 miliardi di franchi, viene dagli enti pubblici
Il 50% dei contributi è assunto dai comuni, il 38% dai cantoni e il 12% (circa 230 milioni) dalla Confederazione.
Negli anni Novanta, mecenati e sponsor hanno continuamente perso importanza.

Sono tre i testi che definiscono la politica culturale ad essere finiti in frigorifero: la Legge quadro sulla promozione della cultura, la Legge sulle lingue e quella sulla Fondazione svizzera per la cultura Pro Helvetia, a cui la Confederazione delega tutta una serie di compiti di promozione culturale.

Alcuni passi sono invece stati fatti: con una larga alleanza politica è stata ridefinita la politica di sostegno al cinema. Grazie alla Legge sul trasferimento dei beni culturali, la Svizzera ha inoltre potuto firmare la convenzione dell’Unesco, risparmiando le critiche all’importante piazza di scambio di opere d’arte e d’antiquariato di Basilea.

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