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La parità dei sessi esiste soltanto sulla carta

Allo sciopero del 1991 ha partecipato mezzo milione di persone. Keystone

A 20 anni di distanza dallo sciopero generale del 1991, le donne scendono oggi nuovamente nelle strade per protestare contro il perdurare delle disparità. Nonostante alcune conquiste, sottolinea la stampa elvetica, le donne continuano a guadagnare meno degli uomini.

Il 14 giugno 1991 la Svizzera si tingeva di color fucsia. In quello che è stato il più grande sciopero nazionale dal 1918, mezzo milione di donne si sono mobilitate nelle principali città elvetiche per chiedere maggiore parità tra i sessi.

Ad aver condotto allo sciopero del 1991, spiega la Neue Zürcher Zeitung (NZZ), è stata una serie di circostanze storiche. Una concomitanza tra le azioni spontanee del movimento femminista e il lavoro dei sindacati.

Il 1991, rammenta il quotidiano di Zurigo, era in effetti l’anniversario di diversi avvenimenti significativi: i 700 anni della Confederazione, i 20 anni del diritto di voto per le donne e i 10 anni dell’articolo costituzionale sull’uguaglianza. Un momento quindi «perfetto» per segnare un’ulteriore tappa nella «lunga storia delle discriminazioni in Svizzera», commenta la NZZ.

Disuguaglianze nel lavoro

A vent’anni dal giorno che diede maggiore visibilità al ruolo delle donne nella società, constata la Tribune de Genève, diverse rivendicazioni continuano a essere di attualità.

Raccogliendo alcune testimonianze e aneddoti di «sessismo ordinario», il giornale romando evidenzia che l’uguaglianza salariale «esiste giuridicamente, ma non nei fatti».

Per lo stesso tipo di lavoro, osserva il Blick, le donne guadagnano in media il 20% in meno degli uomini. Nell’arco di una carriera lavorativa, stima il giornale, la perdita di guadagno dovuta al sesso è di circa 380’000 franchi.

Per L’Express, a essere particolarmente inquietante è la proporzione di donne attive a tempo parziale: oltre la metà lavora a tempo parziale, mentre per gli uomini la proporzione è del 9%. Si tratta di uno dei «principali fattori discriminanti» poiché frena l’ascensione salariale e sociale delle donne, ritiene L’Express.

A sedere nella “stanza dei bottoni” e ad avere la possibilità di procedere a cambiamenti, anche in Parlamento, continuano ad essere gli uomini, aggiunge la NZZ.

«Non ci siamo»

Alle disuguaglianze a livello salariale, indica la Tribune de Genève, si aggiungono le lacune nella protezione contro le molestie sessuali sul posto di lavoro, i pregiudizi sessisti nel mondo professionale e dell’educazione e la suddivisione sproporzionata dei lavori domestici.

Nonostante i testi di legge, la presunta buona volontà dei responsabili aziendali, la pressione costante dei sindacati, la lotta delle associazioni femministe e la creazione di un ufficio dell’uguaglianza, «ancora non ci siamo», insiste un commento su Le Matin.

Per questa ragione, prosegue il giornale di Losanna, è importante che anche oggi venga organizzata una giornata di azione nazionale. Anche se la nuova generazione di donne non deve più battersi per i propri diritti, afferma sulla NZZ Tanja Walliser, segretaria di Unia, «l’equiparazione non è ancora radicata in tutte le teste della popolazione».

Lotta più difficile

Con lo slogan “Donne in movimento – la parità assolutamente!”, una cinquantina di organizzazioni, sindacati e partiti rivendicano martedì una parità salariale più concreta e la possibilità di meglio conciliare lavoro e famiglia.

Oltre alle dimostrazioni partite alle 14.06 (in riferimento al 14.6.1991) al suono di migliaia di fischietti, nelle città principali della Svizzera sono previste azioni di vario genere. A Ginevra il Jet d’eau è stato colorato di viola, mentre a Berna è stato piantato un “tiglio delle donne”. A Lugano sono invece stati stesi in piazza “i panni sporchi della discriminazione”.

Gli organizzatori si attendono a una partecipazione vicina alle 100’000 persone. Oggigiorno, osserva un commento sulla Tribune de Genève, «è più difficile lottare rispetto al 1991». «La mondializzazione e il neoliberalismo finanziario si sono imposti ovunque nel mondo e hanno provocato crisi», si legge sul quotidiano romando, per il quale «le donne sono le prime a essere colpite dalla precarietà».

“Dilemma” in Parlamento

Lo sciopero delle donne pone le deputate di sinistra di fronte a una difficile decisione. Se da una parte c’è il desiderio di partecipare alla protesta simbolica di martedì, dall’altra vi sono gli impegni assunti in seno alle due camere del Parlamento, attualmente in sessione.

A prendere parte allo sciopero sarà così una minoranza delle rappresentanti del Partito socialista e dei Verdi, tra i sostenitori ufficiali della commemorazione. «Ci sono motivi per non scioperare, ma i motivi per farlo sono più numerosi», ha dichiarato la socialista Margaret Kiener Nellen, la quale si è presentata in Consiglio nazionale (camera del popolo) soltanto per l’ora delle domande.

Diversa l’opinione della consigliera nazionale ecologista Adèle Thorens Goumaz, secondo cui è inconcepibile rinunciare al voto in Parlamento. «Abbiamo combattuto a lungo per i nostri diritti politici e ora voglio poterli utilizzare».

Salario: Le donne guadagnano mediamente il 20% in meno rispetto agli uomini. L’Ufficio federale dell’uguaglianza fra donna e uomo (UFU) rileva che una buona parte di questa disparità è dovuta a una discriminazione. Le donne con funzioni dirigenziali guadagnano fino al 30% in meno degli uomini.

Tempo parziale: L’UFU aggiunge che il mercato del lavoro è sempre più diviso tra professioni “maschili” e “femminili”, meno retribuite. Nel campo degli impieghi, sei donne su dieci lavorano a tempo parziale. Per gli uomini, tale proporzione si aggira attorno al 10%.

Aziende: Le donne sono poco rappresentate a livello manageriale. Tra le aziende svizzere registrate si conta soltanto il 3% di direttrici e il 4% di amministratrici.

Politica: Le donne sono in minoranza anche nelle due camere del parlamento svizzero. Nella Camera del popolo sono 60 su 200 (30%), nella Camera degli Stati 9 su 46 (19,6%). Le donne sono al contrario maggioritarie nel governo nazionale: 4 su 7.

Europa: La Svizzera non è un caso isolato. Uno studio condotto dalla società di consulenza Mercer, pubblicato il 3 marzo, rivela che i due terzi delle aziende europee interrogate non possiedeno alcuna strategia per incoraggiare le donne a occupare funzioni dirigenziali.

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