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La modernità di un architetto centenario

Il municipio di Uster, uno dei maggiori progetti di Bruno Giacometti Kläui-Bibliothek Uster

«Nel progettare un edificio bisogna partire dalla sua funzione»: ancora oggi è questo il credo dell'architetto Bruno Giacometti, fratello dello scultore Alberto, che ha compiuto 100 anni il 24 agosto.

Poco nota fra i non addetti ai lavori, la sua opera ha seguito con coerenza l’ideale di un’architettura sobria, non ossessionata dall’estetica e assolutamente moderna.

«Quando sono andato al politecnico di Zurigo, volevo studiare ingegneria navale. Poi ho visto quel che stava facendo un amico, studente in architettura. E ho capito che anche l’architettura poteva essere moderna».

Per Bruno Giacometti, cresciuto fra le montagne della Val Bregaglia, nei Grigioni, il fascino per l’architettura è sempre andato di pari passo con il fascino per la modernità. «A Stampa (il suo villaggio natale, NdR) c’erano quattro case e la strada, ma la mia passione fin da bambino era disegnare piani di città».

A Zurigo Giacometti diventa allievo di due figure chiave dell’architettura moderna in Svizzera, Otto Salvisberg e Karl Moser. In seguito entra nello studio di un’altra figura importante, Karl Egender, con il quale realizza i disegni per l’Hallenstadion di Zurigo.

Accettare la vita moderna

«Non sta a me giudicare se sono un erede di quella scuola, ma in ogni caso la mia ricerca si è sempre orientata verso l’architettura moderna», precisa.

«Oggi ci muoviamo con l’automobile, ascoltiamo la radio, guardiamo la televisione. Questa è la realtà in cui viviamo. Non sono mai riuscito a capire chi si sposta continuamente con l’aereo, fa affari grazie alla tecnologia moderna e poi vuole vivere in una casa all’antica».

L’abitazione di Bruno Giacometti a Zollikon, nel canton Zurigo, corrisponde perfettamente a questa concezione. Poco appariscente, lineare, formata da volumi rettangolari incastonati a varie altezze, non deve quasi nulla all’architettura del passato.

All’interno la casa appare confortevole, luminosa, le forme non si impongono, rimangono discrete. Lungo le pareti, mobili semplicissimi e funzionali sorreggono alcune sculture di Alberto. «I mobili li ho disegnati io. Per me l’architettura non si ferma alla facciata, ma deve funzionare come un insieme, di cui fanno parte anche i mobili».

Un padiglione al servizio dell’arte

Tra gli edifici più noti realizzati da Bruno Giacometti c’è il padiglione svizzero alla Biennale di Venezia, costruito nel 1952. «Quello è stato per me un incarico molto importante. È stato il primo grosso lavoro che ho ottenuto dopo la guerra, dopo gli oltre mille giorni di servizio nell’esercito», ricorda Giacometti.

«Fino ad allora i padiglioni a Venezia erano chiusi su se stessi, senza relazioni con la natura circostante. Io ho provato a fare un padiglione con un cortile, con spazi aperti e spazi coperti, un piccolo mondo a sé stante. E senza vista sul mare, per non distrarre i visitatori dalle opere d’arte».

A oltre cinquant’anni di distanza, l’edificio in mattoni e cemento armato continua a servire egregiamente da vetrina dell’arte contemporanea elvetica nella città sulla laguna. Anche se la maggior parte dei visitatori lo nota appena.

«Al giorno d’oggi si costruiscono tanti musei d’arte, ma la mia impressione è che in questi musei l’architettura venga prima dell’arte», osserva Bruno Giacometti. «Per me quando un visitatore esce da un museo, alla domanda: ‘Com’è l’architettura?’, dovrebbe rispondere ‘Non so, non l’ho vista’. Certo, esagero un po’, ma è questa la mia idea di un’architettura dove la funzione primeggia sulla forma».

La prima cosa è la funzione

Nella sua carriera di architetto, Bruno Giacometti ha realizzato anche numerosi edifici pubblici, in particolare municipi, scuole, ospedali nei Grigioni e nel canton Zurigo. E proprio nell’architettura ospedaliera, Giacometti ha trovato uno dei suoi ambiti privilegiati di intervento.

«Un ospedale va costruito pensando agli ammalati, ma anche a chi ci lavora. Bisogna creare un ambiente positivo. Per questo è fondamentale tener conto prima di tutto della funzione. L’ospedale è un edificio che deve funzionare. E poi, dal punto di vista umano, è un luogo molto interessante, dove vita e morte si incontrano».

Rispetto agli altri membri della sua famiglia, Bruno è rimasto piuttosto sconosciuto. Spesso è citato solo come fratello di Alberto. Eppure la sua opera «stupisce sia per la qualità che per la varietà», come ha scritto la storica dell’arte Irene Hochreutener in un articolo apparso nel 1999 nella rivista specialistica «Schweizer Ingenieur und Architekt».

Bruno Giacometti è probabilmente uno degli ultimi architetti viventi le cui radici affondano direttamente nel modernismo architettonico degli anni Trenta. L’epoca postmoderna sembra averlo dimenticato. Lui però non se ne duole troppo. «Ogni tanto qualcuno mi scrive, per dirmi che lavora in uno dei miei edifici e vi si trova bene. Questo per me è più importante che vedere il mio nome pubblicato in una rivista specializzata».

swissinfo, Andrea Tognina

Bruno Giacometti è nato a Stampa, in Val Bregaglia (Canton Grigioni), il 24 agosto 1907, ultimo dei quattro figli di Giovanni e Annetta Giacometti. Ha studiato architettura al Politecnico federale di Zurigo.

Nel 1930 è stato assunto nello studio di architettura di Karl Egender a Zurigo, dove ha lavorato per una decina d’anni, realizzando tra le altre cose i piani dell’Hallenstadion di Zurigo.

Nel 1935 si è sposato con Odette Duperret, che è stata al suo fianco fino alla morte, nel febbraio 2007.

Fra i progetti principali realizzati da Bruno Giacometti si possono ricordare il Padiglione svizzero alla Biennale di Venezia (1952), gli Istituti di igiene e farmacologia dell’Università di Zurigo (1960), il municipio di Uster (1965), il Museo di storia naturale di Coira (1982), gli insediamenti per gli impiegati dell’azienda idroelettrica a Vicosoprano e Castasegna (1956-1959), le scuole di Brusio (1962)

Molti edifici progettati da Bruno Giacometti, e in particolare quelli costruiti nelle valli dei Grigioni, sono caratterizzati dalla sapiente combinazione di forme moderne e materiali locali. In Bregaglia e in Val Poschiavo Giacometti ha fatto ricorso al legno e alla pietra, a Venezia ai mattoni fatti a mano.

In queste scelte ha forse influito il periodo di pratica svolto da Giacometti presso l’architetto grigionese Nicolaus Hartmann jun. di St. Moritz. L’opera di Hartmann è segnata dalla combinazione tra forme moderne e materiali e forme tradizionali.

«Hartmann traeva anche ispirazione formale dall’architettura locale», precisa Giacometti. «Io ho cercato di adattarmi ai luoghi attraverso il materiale, ma non nella forma. Ho fatto delle case per il nostro tempo».

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