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La marea nera approda in tribunale

Due anni dopo la tragedia, gli operai continuano a raccogliere pezzi di petrolio portati dal mare. swissinfo.ch

Si apre il 27 febbraio a New Orleans il processo relativo all'esplosione della piattaforma petrolifera nel Golfo del Messico. La multinazionale svizzero-americana Transocean, e le altre compagnie coinvolte, rischiano pesanti pene finanziarie. Un accordo extragiudiziale non sembra però escluso.

Sono trascorsi quasi due anni dalla più grande catastrofe petrolifera della storia americana e le squadre di bonifica sono tuttora all’opera sulle spiagge del Golfo del Messico. Nell’ovest della Florida, il mare continua a restituire frammenti di petrolio, grandi fino a quattro centimetri.

Retino in mano, due operai rastrellano le coste da cima a fondo. «Troviamo pezzi di greggio ogni giorno», ci dicono in forma anonima questi impiegati della British Petroleum, che ha vietato esplicitamente ai propri dipendenti di parlare con la stampa.

Più vicino al luogo in cui è esplosa la piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, di proprietà della società svizzera Transocean e gestita dalla BP, incontriamo il pescatore George Barisich. «Su 25 specie di pesci, soltanto nove sono in buona salute, mentre quattro sono ormai estinte», ci dice questo cittadino della Luisiana. «La regione è ancora fortemente inquinata, soprattutto la cittadina di Grand Isle, dove c’è ancora molto greggio».

Nel processo che si apre a New Orleans, il giudice federale Carl Barbier dovrà stabilire prima di tutto l’ammontare dei danni provocati dall’esplosione del 2010, valutare la situazione attuale e le possibili ripercussioni future. In seguito sarà chiamato a determinare la causa del disastro ecologico e a ripartire le responsabilità tra la BP, la Transocean e le altre società implicate.

Definire le responsabilità

Interrogate da swissinfo.ch, la BP e la Transocean hanno rifiutato di prendere posizione «Non rilasciamo interviste», ha dichiarato lapidario Guy Cantwell, responsabile della comunicazione per la multinazionale con sede a Zugo.

Una fonte anonima vicina alla Transocean afferma tuttavia che, secondo il contratto stilato con la BP, la ditta svizzero-americana sarebbe responsabile “soltanto” della morte e il ferimento degli impiegati sulla piattaforma. La fuoriuscita di petrolio dai pozzi sarebbe invece imputabile alla BP.

Durante la procedura preliminare, la Transocean ha sostenuto dal canto suo di dover rispondere unicamente per il valore della sua piattaforma, ossia 23 milioni di dollari. Ma per Aaron Viles, portavoce del Gulf Restoration Network, coalizione di associazioni ecologiste del litorale, «la Transocean è chiaramente colpevole, assieme alla BP».

Ed Sherman, professore di diritto all’università Tulane di New Orleans, precisa che la legge adottata dopo la marea nera provocata dalla petroliera della Exxon Valdez in Alaska, «rende la BP responsabile per l’ammontare totale dei danni legati alla fuoriuscita del petrolio». Se il magistrato dovesse stabilire che una «colpa grave collettiva» è all’origine del dramma, «la Transocean dovrà pagare ben oltre i 23 milioni previsti».

Un mostro con più teste

Quello contro la BP e la Transocean è il processo più importante della storia del diritto ambientale negli Stati Uniti. «È un mostro con più teste», commenta Jane Barrett, specialista della questione all’Università del Maryland.

«Si tratta di un processo ancora più importate di quello avviato contro la Exxon Valdez. Prima di tutto perché l’impatto della marea nera è stato più grande nel Golfo del Messico, l’esplosione ha provocato delle vittime, e in gioco vi sono diverse multinazionali. Inoltre, dopo il dramma in Alaska, le pene e i risarcimenti che i responsabili sono costretti a pagare sono stati aumentati», spiega Jane Barrett.

La giurista e il suo collega dell’università Tulane sono convinti che il processo durerà «diversi mesi o perfino degli anni», se si dovesse ricorrere in appello. «Un accordo extragiudiziale, possibile in qualsiasi momento secondo il diritto americano, è dunque molto probabile».

Secondo la fonte anonima vicina a Transocean, la BP farebbe meglio a raggiungere un accordo extragiudiziale prima del processo. «Viste le valutazioni pubblicate dal giudice nella fase preliminare, la BP rischia di essere accusata di una “colpa grave”  durante il processo e questo potrebbe indebolire la sua posizione in caso di future negoziazioni.

Cosciente che le pene potrebbero quadruplicare se il giudice dovesse condannarla per “colpa grave”, la BP ha già annunciato che potrebbe concludere un accordo amichevole.

Indennizzo sicuro?

Alle vittime della marea nera, un accordo di questo tipo permetterebbe di ricevere un indennizzo sicuro e non sottomesso ad appello, indica il professor Sherman. «L’inconveniente, sottolinea tuttavia, è che in questo tipo di intesa nessuno ammette la propria colpevolezza».

In Florida, Matthew Villmer, che rappresenta un centinaio di vittime, preferirebbe che la BP fosse condannata da un giudice per i danni commessi. «Se la Transocean sarà riconosciuta responsabile all’80%, temo che dichiarerà fallimento perché non ha a disposizione le decine di miliardi necessarie a coprire gli indennizzi. La BP invece sarebbe costretta a pagare».

Matthew Villmer sottolinea poi che «la gente della costa è irritata con la BP e la Transocean perché le nostre spiagge sono tuttora inquinate».  

Il 20 aprile 2010 si è verificata un’esplosione sulla piattaforma petrolifera Deepwater Horizon gestita dalla British Petroleum

(BP) e di proprietà della società svizzero-americana Transocean.

Il bilancio della tragedia è stato di 11 morti e 17 feriti.

La rottura delle tubature ha riversato in mare grossi quantitativi di petrolio.

La macchia di petrolio formatasi nel Golfo del Messico, al largo delle coste della Louisiana e del Mississippi, minaccia decine di specie animali, tra cui delfini, capidogli, pesci e uccelli.

Secondo un rapporto della commissione presidenziale americana istituita da Barack Obama, la BP e la Transeocean sono accusate di «negligenza» in un disastro naturale che avrebbe potuto essere «evitato».

Il processo prende avvio il 27 febbraio a New Orleans davanti al giudice federale Carl Barbier.

Determinerà  la parte di responsabilità della BP, della Transocean e delle altre società implicate e fisserà l’ammontare degli indennizzi.

Si è costituita come parte civile il governo federale americano, le autorità politiche dei quattro stati coinvolti nel dramma e centinaia di migliaia di vittime (individui e imprese).

La Transocean è leader mondiale nella trivellazione in alto mare e proprietaria  della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon.

Fondata negli USA, dal 2008 ha la sua sede principale a Zugo.

Conta circa 18’000 impiegati in una ventina di paesi.

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