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La lingua italiana veicolo di una cultura unica

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Ricca partecipazione, compresa una delegazione elvetica, agli Stati Generali dell'idioma di Dante a Palazzo Vecchio a Firenze

Lo scenario è mozzafiato: il salone dei 500 a Palazzo Vecchio a Firenze. Alle pareti gli affreschi del Vasari che raccontano le grandi battaglie che hanno aperto l’epopea dei Medici. Un quadro ideale per ragionare sulla lingua e sulla cultura italiana. Sono Stati Generali, quelli del 2014, che devono riflettere su situazioni molto contraddittorie. L’italiano è la quinta lingua più studiata nel mondo, ma è anche la lingua più debitrice dell’inglese. Si dice ormai “question time” o “spending review” e si chiede quale è la “location” dell’evento. Si tratta forse di fare una battaglia alla francese, dove il computer è bandito a favore dell’ordinateur? Non proprio, ha detto, Dacia Maraini, bisogna però riconquistare l’orgoglio di suoni e parole che vanno nel profondo e che possono parlare davvero della cultura italiana al di là dei confini. Discorso complesso e sfaccettato, perché la storia recente ci dice che il confine tra difesa della lingua e nazionalismo spinto è labile.

Alla tribuna degli oratori c’era anche Renzo Arbore, fondatore del l’Orchestra italiana, che ha difeso la, a volte sottovalutata, cultura musicale pop (popolare), definendola un possibile veicolo di trasmissione di valori che non siano solo note e melodia. A Firenze c’era ovviamente anche la politica, in prima fila la ministra dell’istruzione Giannini e il sindaco di Firenze Nardella. Tutti e due sono stati molto concreti, in perfetto stile renziano. Pochi preamboli e proposte concrete, sperando che diventino realtà e non si fermino nello spettacolare scenario di Palazzo Vecchio. Stefania Giannini, linguista e rettrice dell’università di Perugia, è stata molto diretta: la grande stagione della cultura rinascimentale è nata dalla consapevolezza della classe al potere del valore assoluto della cultura come elemento di valorizzazione del proprio modo di governare. Bisogna, ha detto Giannini, che chi si occupa di cultura italiana lo faccia lontano dai palazzi del potere.

Il sindaco di Firenze Nardella si è spinto oltre, chiedendo al governo di assumere iniziative concrete come l’istituzione di un Erasmus per le arti (“ottima idea”, ha detto la Giannini), il raddoppio dei fondi per le tournée delle orchestre italiane, la creazione di una scuola di cinema legata agli istituti italiani all’estero. Un’ondata di entusiasmo per le arti popolari, che potrebbero essere le dighe con le quali frenare la marginalizzazione che l’Italia e l’italiano rischiano di subire se troppo succubi del dominio di valori puramente economici, di cui l’inglese dominante oggi – e magari il cinese domani – è l’espressione più evidente.

In questo concerto si è inserita con successo anche la Svizzera, da sempre esempio positivo della possibilità di affermazione della dignità di una lingua e di una cultura in un contesto di minoranza. Alla tribuna fiorentina è salita la cancelliera federale Corina Casanova, esempio vivente di plurilinguismo di successo, lei engadinese, che parla tutte le lingue nazionali e che ha imposto ai suoi due vice-cancellieri di migliorare nettamente la propria competenza in italiano. Non sono però solo rose e fiori in Svizzera, come dimostrano le non semplici battaglie per la difesa del l’insegnamento dell’italiano a nord delle Alpi oppure la necessità di sempre difendere la presenza italofona nell’amministrazione federale.

Ci sono quindi molte piste da seguire e gli Stati Generali le percorreranno attraverso gruppi di lavoro e tavole rotonde, ma forse le parole più efficaci le hanno già pronunciate Dacia Maraini e il ragazzo egiziano Ibinabo West.

“La lingua italiana ha delle regole, che vanno studiate e applicate. L’anarchia linguistica non è libertà, ma è il cedimento alla legge del più forte. Le regole sono faticose da seguire, ma sono l’unica salvaguardia per le fasce deboli della popolazione, nella lingua come nella società.” Un richiamo insomma alla serietà e il rifiuto della superficialità, che a volte ci fa dire: “non importa se è corretto, basta che si capisca”.

Ibinabo West è un ragazzo egiziano, che ha costruito un’identità e una nuova vita in Italia attraverso l’italiano. Ha chiuso il racconto della propria esperienza in dialetto trentino. Un applauso scrosciante lo ha salutato, a dimostrazione che il multilinguismo è vita vissuta prima che speculazione teorica.

Maurizio Canetta

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