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La Glencore accusata di gravi violazioni in Congo

Nelle miniere del Congo, le condizioni di lavoro sono spesso disumane. Reuters

La Repubblica democratica del Congo è uno dei paesi più ricchi di materie prime, ma anche il più povero al mondo. Queste risorse finiscono infatti nelle mani delle multinazionali come la Glencore, accusata dalle ONG di violazioni dei diritti umani. Critiche che il gigante svizzero respinge però al mittente.

Un telefonino su quattro venduto in Svizzera è realizzato con materie prime provenienti dalle miniere della Repubblica democratica del Congo (RDC). Grazie alle riserve di oro, rame, stagno e diamanti, questo paese dell’Africa centrale possiede uno dei sottosuoli più ricchi al mondo.

La sua popolazione però è tra le più povere al mondo e l’84% sopravvive con meno di due dollari al giorno. «Spesso le multinazionali attive nel settore minerario approfittano della corruzione e dell’assenza dello Stato per assicurarsi gran parte dei guadagni, sulla pelle dei lavoratori e della popolazione locale», spiega a swissinfo.ch Chantal Peyer, storica ed esperta di politica di sviluppo per l’ONG Pane per tutti.

Sotto accusa vi è in particolare la Glencore International AG, una multinazionale con sede nel canton Zugo e tra i maggiori fornitori di materie prime al mondo. Con un fatturato di 145 miliardi di dollari, nel 2010 si è confermata leader in Svizzera, superando perfino il gigante Nestlé. Poco conosciuta al grande pubblico, questa società punta a diventare, entro il 2015, il maggior produttore di cobalto al mondo e il più importante produttore di rame in Africa.

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Multinazionali: l’impunità passa anche dalla Svizzera

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Stando a uno studio realizzato dalle ONG  Sacrificio Quaresimale e Pane per Tutti, la Glencore International AG si è resa colpevole di violazione dei diritti umani, lavoro minorile, inquinamento ed evasione fiscale. Nulla di più falso, replica a swissinfo.ch il portavoce della multinazionale Simon Buerk, «amareggiata dalle numerose inesattezze contenute nel rapporto».

La febbre dell’oro

Nella provincia di Katanga, nel sud del paese, la terra custodisce il 34% delle riserve mondiali di cobalto e il 10% di quelle di rame. È qui che la Glencore ha acquistato – per 250 milioni di dollari – il 77% delle azioni della Katanga Mining LImited (KML). Oggi controlla sei giacimenti di rame e cobalto, ripartiti su una superficie di oltre 40km2.

La possibilità di mettere in tasca qualche soldo ha reso il lavoro in miniera molto più attrattivo della tradizionale agricoltura, facendo così diminuire l’offerta di prodotti alimentari sul mercato. E questo malgrado la fatica e i pericoli che il lavoro in miniera comporta. «Spesso nei cantieri della KML non vi sono misure di sicurezza, rileva  Chantal Peyer. I minatori non vengono protetti dalle radiazioni di uranio. Inoltre, sono in molti ad avere contratti a corto termine, sono meno formati e quindi il rischio di incidenti aumenta».

Il gruppo di ricercatori ha inoltre messo in evidenza l’impatto negativo di queste attività sulle comunità locali e sull’ambiente. «Nelle zone adiacenti le miniere, i corsi d’acqua contengono alti tassi di uranio, zolfo e resti di materiale esplosivo. Le case vengono danneggiate dalle esplosioni nelle miniere a cielo aperto, il suolo degradato e l’aria contaminata. Tutto ciò nella totale impunità».

Sorda agli appelli delle ONG, che l’hanno contattata prima e dopo la pubblicazione del rapporto, la Glencore ha sottolineato a swissinfo.ch la sua completa estraneità alle accuse. «Alcuni problemi ambientali rilevati dal  rapporto sono un’eredità dalla Gecamines, società attiva nella regione per oltre 50 anni», ricorda la portavoce. «Dal punto di vista sociale, inoltre, la Glencore ha messo in atto dei programmi che includono – tra l’altro – la ricostruzione di strade, case e ospedali e la purificazione delle acque». Dal 2008 sono stati spesi 23 milioni di dollari per progetti socio-ambientali, conclude Simon Buerk.

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A mani nude

Oltre a questi giacimenti industriali, nella regione vi sono anche diverse miniere artigianali. «Si tratta di cavità scavate a mani nude, talvolta profonde fino a 50 metri, dove da un minuto all’altro, in un giorno di pioggia, tutto può crollare», ci spiega Ferdinand Muhigirwa Rusembuka, direttore del Centro di studi per l’azione sociale nella RDC. Stando alle ONG, la Glencore acquisterebbe minerali anche da questi lavoratori artigianali, attraverso degli intermediari.

«È una situazione deplorevole», denuncia Chantal Peyer. «In queste miniere artigianali vengono impiegati anche dei bambini: lavano minerali, fanno piccole commissioni o trascinano sacchi pesanti». Di fronte alla crescente povertà, scolari e insegnanti marinano la scuola per andare a scavare: nella sola provincia del Katanga, su 9 milioni di abitanti, si contano almeno 30’000 bambini impiegati nelle cave.

Da parte sua, però, la multinazionale svizzera nega di avere relazioni commerciali con i minatori artigianali o con gli intermediari. «Quando era possibile, la KML ha perfino offerto dei posti di lavoro agli artigiani, prendendoli nei propri cantieri», precisa Simon Buerk.

Attiva nel commercio di materie prime e nella produzione di petrolio e carbone, la multinazionale Glencore International AG ha la sua sede principale nel canton Zugo.

Attualmente ha filiali in una quarantina di paesi e impiega oltre 2’700 collaboratori. Direttamente o indirettamente, gestisce inoltre attività di sfruttamento in una trentina di paesi, dando lavoro a 55’000 persone.

In Congo detiene il 77% delle azioni della KML, una multinazionale che possiede sei giacimenti di rame e di cobalto nella provincia di Katanga, ripartiti su una superficie di oltre 40 km2.

Nel 2009 la Glencore ha realizzato una cifra d’affari di 145 miliardi di dollari nel 2010, in crescita del 36,3%. Si tratta del risultato più alto realizzato in Svizzera, davanti a giganti come la Nestlé o la Novartis.

Possiede inoltre il 35% della Xstrata, multinazionale con sede a Zugo e tra le dieci più ricche della Svizzera nel 2010.

La Glencore non è quotata in borsa e le informazioni finanziarie divulgate dalla multinazionale sono molto sommarie.

Culto del segreto

Non è la prima volta però che la Glencore si trova nel mirino delle ONG svizzere. Accusata di violazioni dei diritti umani e danni ambientali in diversi paesi in via di sviluppo, nel 2008 ha ricevuto il Public eye award di Davos, l’oscar della vergogna.

Attualmente la multinazionale non è quotata in borsa e le informazioni finanziarie divulgate restano estremamente sommarie. «La Glencore ha una lunga tradizione di relazioni problematiche con il fisco, ricorda Chantal Peyer. A partire dal suo fondatore Marc Rich – perseguito dal fisco americano per frode fiscale – fino alle accuse di evasione per le attività svolte in Zambia». Oltre alla sua sede sociale nel canton Zugo, la Glencore possiede filiali in diversi paradisi fiscali, e «sebbene si appresti a diventare il più grande produttore di rame della RDC, tra il 2010 e il 2013 non pagherà che un miliardo di dollari annui».

Sul suo sito internet la Glencore afferma che le sue attività sono conformi a principi guida come il rispetto dei diritti umani, la sicurezza dei lavoratori e la protezione dell’ambiente. Dietro alle dichiarazioni di principio, però, sembrano non seguire i fatti, almeno secondo quanto rilevato dall’inchiesta. «Nel momento in cui la ditta svizzera sta esaminando un’entrata in borsa, sarebbe finalmente ora che la sua cultura aziendale evolva verso una maggiore trasparenza», conclude Chantal Peyer. Un auspicio formulato anche dalla stessa borsa di Londra, critica verso il culto del segreto, l’opacità delle operazioni e l’indebitamento di cui si sarebbe macchiata negli anni la Glencore International AG.

La Repubblica democratica del Congo (RDC) possiede uno dei sottosuoli più ricchi in minerali al mondo.

Una ricchezza di cui non beneficia però la popolazione: l’84% vive infatti con meno di due dollari al giorno e, nel 2009, il PIL era stimato a 300 dollari l’anno per abitante.

Nel 2010, l’RDC era al penultimo posto nella classifica ONU sull’indice di sviluppo umano.

Un bambino su cinque muore prima di aver raggiunto i cinque anni di età.

Il 76% della popolazione è sottoalimentata.

Le spese per la salute ammontano a 18 dollari l’anno per abitante.

(Fonte: Programma ONU per lo sviluppo, OMS, FAO e World Facts Book della CIA)

Nell’ambito della campagna 2011 consacrata allo sfruttamento minerario, le ONG Sacrificio Quaresimale e Pane per tutti hanno lanciato una petizione indirizzata al Governo svizzero per chiedere una politica estera ed economica più coerente.

Le ONG chiedono da un lato maggiore trasparenza nei flussi finanziari e dall’altro maggior responsabilità giuridica da parte degli organi di direzione delle imprese.

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