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La forza lavoro riposa

Nemmeno il vino rosso manca in tavola. swissinfo.ch

In Svizzera, la popolazione migrante anziana continua a crescere. In alcune città, le case di riposo hanno aperto dei reparti su misura per accogliere la prima generazione di immigranti giunti nel nostro paese nel XX secolo. Una di queste si trova a Berna. Reportage.

Dieci signore italiane vivono nel reparto mediterraneo della casa di riposo Schwabgut. È un grattacielo fra grattacieli nel quartiere di Bümpliz, nella periferia di Berna. L’ascensore, in nove secondi, uno per piano, ti catapulta nel loro piccolo micromondo fatto di frasi sussurrate, di gesti lenti, di silenzi imbarazzanti.

Al nono piano si parla italiano, si mangiano lasagne e pane bianco e la televisione è sintonizzata sul primo canale della RAI. Sullo sfondo, ci sono immagini di un’Italia lontana: Roma, Venezia, Firenze, in un angolo la madonnina e nella libreria una bella raccolta di volumi di scrittori italiani. In primo piano si intrecciano invece storie di emigrazione.

Le dieci donne anziane nel reparto mediterraneo sono figlie della grande immigrazione italiana in Svizzera degli anni Cinquanta e Sessanta. Sono rimaste anche dopo il pensionamento perché qui vivono i loro figli, perché nella loro patria d’origine non si ritrovano più o per altre innumerevoli ragioni. È un epilogo che non credevano di dover mai scrivere. Invece, stando al Rapporto 2008 sugli stranieri in Svizzera, sono circa 53’000 gli italiani a condividerne le sorti (vedi dettagli a fianco).

Storie di emigrazione

Elisa R. ha 89 anni e ha lasciato Venezia nel 1950 per fuggire un destino segnato dalla tubercolosi e dalla guerra e per farsi una famiglia. Berna, con il passare del tempo, è diventata la sua città, anche se nemmeno oggi sa ancora perdonare chi la chiamava Tschingg – espressione spregiativa con la quale gli svizzero tedeschi designavano gli italiani. «Sono una persona tranquilla, ma questo soprannome mi faceva andare su tutte le furie», ricorda triste Elisa.

Si è trasferita da poco nel reparto mediterraneo e per il momento la sua camera è ancora un po’ in disordine. Tuttavia, le immagini dei suoi cari sono già appese alle pareti e due caffettiere Bialetti, icone del caffè all’italiana, fanno capolino da uno scaffale. «Sono rimasta sola. Mio marito è passato a miglior vita tredici anni fa ed io non me la sentivo di rimanere più a lungo a casa».

Dal salotto ci arriva il cicaleggio di un talk show di tarda mattinata. La televisione è accesa. Una signora, elegantemente vestita, segue le immagini trasmesse dalla RAI. È Luisa M. Ha lasciato Torre Annunziata, in provincia di Napoli, 34 anni fa. Aveva un contratto di lavoro in mano e tanta voglia di libertà. In Svizzera ha trovato marito e ha formato una famiglia.

Ha cresciuto tre figlie ed è rimasta a casa per buona parte della sua vita. Così, i contatti con il resto del mondo sono stati estremamente sporadici. «Il tedesco non l’ho mai imparato anche perché le figlie e mio marito lo sapevano molto bene», si rammarica Luisa, sottolineando che si trova bene in questa casa di riposo, malgrado a volte senta la mancanza delle familiari mura di casa.

Integrarsi a 65 anni

Nel reparto mediterraneo, il tedesco non le serve. Infatti, il personale curante parla italiano. «Si sentono a casa perché non esistono barriere linguistiche, perché possono definire il menu e l’arredamento. Inoltre, l’assenza di un orario di visita permette a parenti e amici di venirle a trovare in qualsiasi momento della giornata», spiega a swissinfo.ch il direttore della casa per anziani Schwabgut di Berna, Hans-Jörg Surber.

Malgrado sia un’unità a sé stante, il reparto italiano non ghettizza perché tutta la casa di riposo è strutturata secondo questo concetto e l’interazione fra i reparti è assicurata. «La casa di riposo è strutturata in undici piccole comunità. Ognuna dispone di una cucina, di un salotto e di camere singole o matrimoniali. Il nono piano si differenzia però dagli altri non solo perché è abitato da signore di lingua italiana, ma soprattutto per l’atmosfera allegra e l’accoglienza calorosa», sottolinea Surber.

Il reparto mediterraneo, aperto nel 2008, risponde al desiderio espresso in un’inchiesta svolta nel 2002 e pubblicata nel 2003 fra gli italiani di sessant’anni e oltre di Berna. Il sondaggio realizzato della Commissione anzianità e migrazione ha indicato infatti che il 95% degli anziani intendeva trascorrere l’età senile in Svizzera e che si sarebbe trasferito in caso di necessità in una casa di riposo, preferibilmente in un reparto che rispettasse la loro lingua e cultura.

«Gli immigrati italiani di Berna non hanno mai manifestato il bisogno di avere una casa di riposo tutta per loro. Non volevano infatti isolarsi dalle altre persone anziane di lingua e cultura diversa e la soluzione trovata allo Schwabgut soddisfa pienamente questo bisogno», rammenta Lorenzo Calabria, operatore presso la parrocchia di Sant’Antonio di Berna e coautore dell’indagine.

Un modello tagliato su misura

Negli ultimi anni, nelle case di riposo svizzere si sono sviluppati vari modelli di integrazione delle persone anziane. Al Falkenstein di Basilea è stato realizzato, così come a Berna, un reparto mediterraneo per soli italiani. All’Erlenhof di Zurigo, invece, un reparto accoglie tutti gli immigrati del Sud Europa: spagnoli, portoghesi e italiani.

«Sono dei progetti pionieristici di assistenza alla popolazione migrante anziana giunta in Svizzera nel primo dopo guerra. Si tratta però di modelli difficilmente applicabili alle generazioni future di pensionati stranieri. in futuro, infatti, la varietà linguistica, religiosa, sociale sarà maggiore e non credo sarà possibile creare per ogni nazionalità un reparto specifico», ricorda Hildegard Hungerbühler, vicepresidente del Forum nazionale anzianità e migrazione.

«La cura della popolazione migrante anziana – conclude Hungerbühler – assumerà sempre maggiore importanza nella politica della vecchiaia nella Confederazione anche perché quest’ultima è in continuo aumento».

Luca Beti, Berna, swissinfo.ch

Circa 30 milioni di italiani sono emigrati all’estero a partire dal 1800.

L’inizio dell’immigrazione italiana in Svizzera è collegato allo sviluppo della rete ferroviaria nella seconda metà del XIX secolo. Dopo la Seconda guerra mondiale, oltre agli operai, sono giunte anche molte persone attive nel settore alberghiero e della ristorazione.

Nel 1970 vivevano 500’000 cittadini italiani sul territorio svizzero.

Con la recessione del 1973-74 oltre 200’000 immigrati hanno lasciato il paese.

Stando ai dati del Rapporto 2008 sugli stranieri in Svizzera, quella italiana è la comunità straniera più grande della Svizzera, con 290’000 persone. Inoltre, nel 2007 sono stati circa 10’000 gli immigrati italiani nella Confederazione.

Alla fine del 2008, quasi il 17% della popolazione svizzera aveva più di 65 anni.

In cento anni, il rapporto fra persone «dipendenti» (bambini, giovani e anziani) e persone in età lavorativa si è modificato sostanzialmente. Il numero di anziani è aumentato costantemente e quello dei giovani al di sotto dei 20 anni è diminuito.

Ad inizio XX secolo, erano 76 i giovani (meno di 20 anni) e 11 i pensionati (più di 64 anni) ogni 100 persone di età compresa tra 20 e 64 anni. Nel 2008, si contavano 34 giovani e 26 pensionati.

Secondo i dati dell’Ufficio federale di statistica (UFS) più recenti (2007), in Svizzera le persone straniere con più di 65 anni sono circa 115’000.

Questa cifra non tiene in considerazione le persone naturalizzate che spesso vivono nella Confederazione da oltre 20 anni.

Un terzo degli immigrati dopo il pensionamento continua a vivere in Svizzera, un altro terzo torna nel Paese di origine e l’altro terzo fa la spola tra Svizzera e Paese di origine.

Stando alle previsioni dell’UFS del 2008, nel 2050 il numero degli immigrati ultra sessantacinquenne residente in Svizzera passerà a 277’730.

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