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La difficile lotta alle metastasi della guerra

Funerali a Marisol Canis, in Guatemala, dopo l'assassinio di 4 giovani e di una ragazza incinta Keystone

Traffici di droga, corruzione e decine di omicidi ogni giorno: oltre 10 anni dopo la fine della guerra civile, il Guatemala vive in un clima di violenza alimentata da bande criminali che approfittano della debolezza dello Stato. In prima fila a combatterla vi è il giudice Carlos Castresana, sostenuto dall'ONU e dalla Svizzera.

Le cifre sulla criminalità disponibili danno il quadro della drammatica situazione in Guatemala: trentamila omicidi all’anno, con un tasso di impunità dei reati del 98%. Come dire che chi decide di commettere un delitto, ha quasi la sicurezza matematica di farla franca.

All’origine di questa violenza senza argini, il dissesto politico, economico e sociale lasciato dalla guerra civile che ha insanguinato il paese centroamericano per oltre 30 anni. Dopo gli accordi di pace del 1996, che hanno posto fine ai combattimenti tra le truppe governative e le forze di guerriglia, il Guatemala non è riuscito a ricostruire le proprie istituzioni.

Un apparato statale inefficiente, un sistema giudiziario quasi inesistente, esercito e polizia corrotti ad ogni livello. A farla da padroni sono così gruppi criminali, che non esitano a togliere dalla circolazione coloro che si trovano sulla loro strada, politici, giudici, avvocati, giornalisti.

Recrudescenza della violenza

“Questi gruppi sono in buona parte le metastasi prodotte dallo stesso Stato durante la guerra civile: corpi speciali di lotta all’insurrezione e d’intelligenza militare, creati per combattere la guerriglia. Con la firma degli accordi di pace si è era stabilito di smantellarli, ma ciò non è avvenuto”, spiega a swissinfo Carlos Castresana, capo della Commissione internazionale contro l’impunità in Guatemala (CICIG), che ha partecipato recentemente a Berna ad una conferenza del Dipartimento federale degli affari esteri sulla politica svizzera di promozione della pace.

La CICIG è stato istituita due anni fa per volontà del segretario generale dell’ONU Ban Ki Moon, che aveva voluto dare un preciso segnale per rilanciare la difficile ricostruzione delle istituzioni in Guatemala. Quale segno di riconoscimento per il lavoro svolto finora e visto che l’opera è ancora lungi dall’essere terminata, poche settimane fa le Nazioni unite hanno rinnovato il mandato a Castresana di altri due anni.

Nel primo biennio d’attività il magistrato spagnolo ha dovuto assistere ad una recrudescenza del clima di violenza, alimentato ulteriormente dai cartelli della droga provenienti dal Messico e dalla Colombia, che approfittano della debolezza della giustizia locale per insediare i loro traffici in Guatemala.

Tentativi falliti

Un compito alquanto improbo e pericoloso quello della CICIG. La commissione ha ricevuto il mandato di indagare sulle infiltrazioni dei gruppi criminali nelle istituzioni, offrire assistenza tecnica alla disastrata giustizia locale per lottare contro la delinquenza e processare i membri delle organizzazioni illegali.

“Con la firma degli accordi di pace si era stabilito di smantellare queste organizzazioni criminali. Ma è chiaro che non si sarebbero dissolte spontaneamente o con le buone parole. I tentativi intrapresi dall’inizio sono falliti e ora questo compito è diventato molto più difficile”, costata Carlos Castresana.

“Da parte nostra cerchiamo di impiegare procedure d’inchiesta che potrebbero essere definite normali in molti altri paesi, come la Svizzera, ma che sono tuttora eccezionali in Guatemala. Svolgiamo le nostre inchieste senza alcun pregiudizio, escludendo nessuna ipotesi, neppure la responsabilità di alti rappresentanti dello Stato e, se fosse il caso, del presidente”, aggiunge il giudice spagnolo, costretto a vivere nel paese centroamericano sotto la protezione di una folta scorta di agenti.

Contributo elvetico

Nei suoi primi due anni di attività in Guatemala, Castresana ha formato una squadra internazionale di inquirenti, di cui fa parte anche una magistrata elvetica. Tramite aiuti tecnici e finanziari, la Svizzera figura tra i paesi che si impegnano maggiormente per sostenere il processo di pace in Guatemala e le attività della CICIG, sottolinea il giudice spagnolo.

“Negli ultimi anni, in collaborazione con le autorità e la società civile guatemalteche, ci siamo adoperati in particolare per promuovere gli sforzi di rielaborazione del passato e la lotta all’impunità in Guatemala”, precisa Georg Farago portavoce del Dipartimento federale degli affari esteri.

Un’opera che richiederà ancora molto tempo. Il clima di violenza e la giustizia “fai da te” hanno contagiato ormai anche la società civile. Negli ultimi anni, anche migliaia di donne sono state assassinate. In oltre i due terzi dei casi il crimine è compiuto dal marito, indica Carlos Castresana.

Cambiare la mentalità

Tra la popolazione e la giustizia si è eretto uno steccato pressoché invalicabile. “La gente non ha più fiducia nelle forze dell’ordine”, osserva il giudice spagnolo. “Per raggiungere dei progressi non basta ormai più una riforma delle istituzioni ed un’epurazione degli organi di giustizia e polizia”.

“È necessario un cambiamento radicale di mentalità, affinché la gente riesca a capire che la vita di donne e uomini rappresenta un bene giuridico da proteggere per i suoi valori umani. Questo cambiamento deve iniziare già nelle scuole, ma non possiamo aspettare una generazione, perché altrimenti migliaia e migliaia di persone verrebbero ancora uccise in questo paese”.

Armando Mombelli, swissinfo.ch
(con la collaborazione di Marcela Águila Rubín)

La coesistenza pacifica tra i popoli figura tra gli obbiettivi principali della politica estera svizzera.

Per perseguire questo obbiettivo, il governo svizzero si impegna a livello bilaterale e multilaterale in favore della prevenzione della violenza armata, della regolamentazione dei conflitti e del consolidamento della pace.

Finanziata tramite un importo di circa 50 milioni di franchi all’anno, la politica di pace della Confederazione viene attuata in particolare tramite numerose iniziative promosse dal Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE):

– programmi di gestione civile dei conflitti in diverse regioni di crisi del mondo (Balcani, Medio Oriente, Grandi Laghi, Colombia, Nepal, Sri Lanka, Sudan)

– invio di osservatori incaricati di sorvegliare la regolarità di elezioni e di esperti che collaborano alla costruzione di una società civile

– iniziative diplomatiche e partenariati strategici per promuovere la risoluzione dei conflitti

– mediazione tra Stati in caso di crisi o tra le parti in conflitto.

Le autorità del Guatemala non hanno finora compiuto sforzi decisivi per tradurre in giustizia i responsabili delle violazioni dei diritti umani e dei genocidio compiuti durante la guerra civile del 1960-1996.

Le organizzazioni per i diritti umani ritengono che il 90% dei crimini perpetrati nel corso del conflitto armato stati da addebitare ad esponenti delle forze armate e della polizia.

La maggior parte delle vittime e dei superstiti non hanno ricevuto finora nessuno tipo di risarcimento, né morale, né in denaro.

Con una media di 47 omicidi ogni 100’000 abitanti, il Guatemala occupa ancora oggi il terzo posto nella classifica dei paesi più violenti dell’America latina dopo il Salvador e l’Honduras.

Il numero di criminali condannati è estremamente basso: solo il 2% circa degli omicidi non rimangono impuniti.

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