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La curva, vista da dentro

La curva, non solo massa di giovani violenti, bensì anche potenziale creativo enorme. Keystone

La violenza all'esterno degli stadi è un problema irrisolto. Per Thomas Gander, segretario generale del "Lavoro sociale con i tifosi in Svizzera", la soluzione sta nel dialogo e nelle misure concordate localmente.

«Oggi, in città c’è una certa euforia. Ieri, il Basilea ha vinto», fa notare Thomas Gander, mentre osserva il via vai sulla piazza di fronte alla stazione ferroviaria.

Thomas Gander conosce molto bene la realtà calcistica della città renana. Da sette anni segue i suoi tifosi, in casa e in trasferta. Ne conosce gli umori, i meccanismi, i valori. Ne sente pulsare il cuore, quello che fa vibrare la curva Muttenz. Il suo sguardo sulla scena delle tifoserie in Svizzera è soggettivo e disincantato.

swissinfo.ch: Lei conosce come pochi la realtà dei tifosi in Svizzera. Il diavolo è davvero così brutto come lo si dipinge?

Thomas Gander: Credo che il dibattito politico e pubblico si sia allontanato dalla realtà. Sembra quasi che gli scontri tra tifoserie o con la polizia siano all’ordine del giorno, quando, invece, nella maggior parte delle partite non succede nulla.

I media prestano attenzione soltanto ai pochi gravi casi di violenza, uno o due all’anno per il Basilea, mai sulla preziosa e creativa cultura della curva, in cui si incontrano le diverse scene giovanili – hip hop, sprayer, techno – della città. L’immagine trasmessa è quella di una tifoseria spesso rissosa.

Se di solito, l’argomento appariva saltuariamente sulle prime pagine dei giornali, in questo momento elettorale, ho notato che i candidati ai seggi in parlamento se ne servono per profilarsi, esercitando così un’enorme pressione sui fans.

swissinfo.ch: La violenza tuttavia esiste…

T.G.: Sì, certo. La partita di calcio vive di confronto, di rivalità e quindi può fungere da miccia per accendere lo scontro tra le tifoserie. È una realtà che non possiamo nascondere. Ambire all’assenza totale della violenza dentro e fuori dagli stadi è illusorio. Va ricordato, comunque, che in Svizzera gli stadi sono sicuri. Tutti – famiglie, donne, bambini – possono assistere a un incontro di calcio senza il timore di essere coinvolti in tafferugli.

swissinfo.ch: Fuori dagli stadi, però, la situazione cambia. Perché?

T.G.: Fino a dieci anni fa, il nocciolo duro della tifoseria era formato da uno sparuto gruppo. Oggi sono in migliaia. Sono giovani dai 15 ai 25 anni che seguono la squadra del cuore anche in trasferta. E non lo fanno con lo spirito dell’uscita scolastica.

È una situazione che genera dei rischi e che mette a dura prova la tolleranza delle persone responsabili della sicurezza. Per questo motivo, è importante che gli attori coinvolti – polizia, autorità, società – individuino le zone, in cui si potrebbero sviluppare disordini.

Non stiamo tuttavia parlando di una nuova dimensione della violenza, ma di un’evoluzione iniziata anni fa con l’aumento del numero di tifosi in curva. È la violenza latente di questa massa di gente la vera sfida, il fulcro della questione.

swissinfo.ch: Ma che cos’è la curva?

T.G.: È una massa di giovani molto eterogenea, apolitica e senza distinzione sociale. Ad unire questa moltitudine di persone è l’identificazione nella squadra.

È composta da studenti come da operai, da varie scene giovanili della città, come quella hip hop, techno, spreyer che unite hanno un potenziale creativo enorme. Quella del tifoso grezzo, primitivo, pronto solo allo scontro è un’immagine passata.

All’interno della curva vigono regole e valori specifici, quali la solidarietà, il senso di appartenenza, l’identificazione. La tifoseria si descrive come una subcultura, che vuole distinguersi dalla collettività con atteggiamenti e comportamenti al limite o al di là della legalità. Non è un gruppo normale e quindi il problema della violenza va affrontato in maniera diversa dal solito.

swissinfo.ch: Qual è allora la via da seguire?

T.G.: È importante capire che questa scena si muove secondo dinamiche proprie. La cosa peggiore che può succedere alla curva è l’espulsione dallo stadio, perché le impedirebbe di sostenere la squadra, l’unica sua vera ragione d’esistere. Quando la curva corre questo rischio, innesca un meccanismo di autoregolazione. Attraverso incontri, discussioni, volantinaggi e l’elaborazione di nuove regole tenta di rientrare nei limiti.

Se non si prendono in considerazione questi fattori, si corre il pericolo di adottare delle misure controproducenti che potrebbero peggiorare la situazione.

swissinfo.ch: Quali misure si devono quindi adottare?

T.G.: Prima di tutto va applicata la normativa in vigore: sanzionare chi non rispetta le regole, registrare gli hooligans nella banca dati, vietare l’accesso allo stadio ai tifosi violenti.

Inoltre, invece del confronto, si dovrebbe favorire il dialogo, grazie al quale è possibile, come avviene a Basilea, individuare le situazioni a rischio e trovare soluzioni per evitare qualsiasi tipo di escalation.

È nel dialogo tra fans, polizia, autorità, società sportiva e non in un pacchetto di misure repressive che risiede il potenziale per limitare la violenza.

swissinfo.ch: Non tutti sono pronti a fare questo passo, specialmente i tifosi più facinorosi.

T.G.: Credo, invece, che sia possibile instaurare con tutti questo atteggiamento aperto. Certo, con alcuni fans è più difficile e con loro l’obiettivo va visto a lungo termine.

È importante contattare i tifosi che hanno un ruolo di capo branco all’interno della curva. Il loro ascendente sugli altri fa da moltiplicatore e grazie a loro si riesce a far passare i messaggi.

Naturalmente c’è sempre il tifoso che segue la squadra solo durante le partite a rischio e che fa della violenza una valvola di sfogo. In questi casi, noi educatori sociali siamo assolutamente impotenti. Sono altre istanze a dover intervenire e prendere dei provvedimenti.

swissinfo.ch: La tavola rotonda istituita prima degli Europei di calcio svolti in Svizzera e Austria e che riuniva associazioni sportive, Confederazione e cantoni con l’obiettivo di accrescere la sicurezza negli stadi è stata abolita. È stata sostituita da tavole regionali. Significa che a livello nazionale non è possibile trovare una soluzione al problema?

T.G.: Durante questi incontri nazionali ci siamo resi conto che la situazione muta notevolmente da città a città: la tifoseria funziona secondo dinamiche diverse, la polizia non si comporta ovunque in maniera uguale di fronte a una situazione a rischio, le società hanno punti di vista diversi su come affrontare il problema del tifo violento.

Credo quindi che i gruppi di lavoro regionali possano raggiungere risultati migliori rispetto alla tavola rotonda nazionale, che ha prodotto, a volte, misure lontane dalla realtà.

Thomas Gander è il segretario generale dell’organizzazione “Lavoro sociale con i tifosi in Svizzera” (Fanarbeit Schweiz) e co-responsabile del lavoro sociale con i tifosi della squadra del Basilea ( Fanarbeit Basel).

Fanarbeit funge da ponte tra tifosi, società sportiva e autorità. Il suo compito principale è quello di instaurare un rapporto di fiducia con la curva dei fans e di capirne i meccanismi.

Per Fanarbeit Schweiz la prevenzione passa soprattutto attraverso la valorizzazione del potenziale creativo della curva e non attraverso dei pacchetti di misure repressive.

Per questo motivo, uno dei compiti principali dell’organizzazione di categoria con i tifosi in Svizzera è quello di presentare il problema della violenza a margine delle partite di calcio dal punto di vista dei tifosi e di favorire il dialogo.

Le tifoserie violente sono apparse all’inizio degli anni ’80, essenzialmente nell’ambito del calcio e dell’hockey, che sono fra gli sport più seguiti in Svizzera.

Nella lotta contro questo fenomeno non c’è una vera azione congiunta di club, Associazione svizzera di calcio, “Lavoro sociale con i tifosi in Svizzera”, autorità federali, cantonali e comunali e società di trasporti pubblici.

Le disposizioni adottate finora si sono rivelate insufficienti. Anche il Concordato anti-hooligan, cui hanno aderito tutti i cantoni, sta dimostrando di essere inefficace, così come le misure dei club negli e attorno gli stadi.

La parola hooligans definsice i tifosi più violenti delle squadre di calcio, specialmente inglesi. La parola sembra derivi dal nome di una famiglia irlandese di facinorosi famosa nella Londra di fine Ottocento.

Stando a Thomas Gander, è un fenomeno presente anche a Basilea, che non associa tuttavia alla partita e alla violenza.

La parola ultrà indica, specialmente in Italia, il tifoso fanatico di una squadra di calcio, spesso appartenente a gruppi organizzati, autore di atti di vandalismo.

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