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La cucina migrante

Con gli emigranti arrivò in Svizzera anche la cucina italiana. All’inizio era un modo per preservare i legami affettivi con la madrepatria. Oggi fa parte della cultura elvetica quanto la fondue e l’emmenthal.

In cent’anni, l’emigrazione italiana ha raggiunto i quattro angoli del globo, portando con sé speranze, nostalgie e una cultura gastronomica che avrebbe conquistato il pianeta, più di qualsiasi MacDonalds.

La Svizzera non ha fatto eccezione. Le pizzerie sono onnipresenti, la pasta fa parte del menu di tutti i giorni, a Ginevra come a Soletta, a Scuol come a Lugano.

Agli inizi di questa marcia trionfale, come ricorda Carlo Bernasconi in un saggio dedicato alla gastronomia italiana nel volume “Das Jahrhundert der Italiener” (il secolo degli italiani), c’era la cucina povera dei minatori del Gottardo.

Il cibo degli emigranti

Più che di pasta, i pasti degli operi ferroviari erano composti probabilmente di “polenta, pane ammuffito e pancetta rancida”. Ma l’apertura delle trasversali fece crescere le comunità d’italiani in Svizzera e con esse l’importazione di cibi dall’Italia.

Pian piano qualcuno cominciò a fare della vendita al dettaglio di vino e generi alimentari una professione. Come il muratore Carlo Vergani, che nel 1892 cominciò a vendere vino ai colleghi di lavoro e tre anni dopo aprì un negozio di alimentari a Zurigo.

La marcia trionfale dei ristoranti italiani

All’inizio del ventesimo secolo sorsero anche i primi ristoranti italiani, che si rivolgevano innanzitutto agli emigranti, offrendo pasti a prezzo contenuto e un legame gastronomico con la patria lontana.

Data la clientela, il menu si basava soprattutto su alimenti a base di carboidrati, poco costosi e ad alto valore nutritivo. La pasta, insomma.

Dai contatti tra operai italiani e svizzeri, la pasta arrivò anche sulle tavole elvetiche, soprattutto nei centri urbani. Un ruolo determinante lo ebbero in questa evoluzione alcuni leggendari ristoranti dell’emigrazione a Zurigo, come il Cooperativo.

Luogo di ritrovo dei socialisti a Zurigo, il Cooperativo ebbe tra i suoi ospiti Lenin, Pietro Nenni, Benito Mussolini e il sindaco della Zurigo rossa Emil Klöti.

Verso uno stile italiano globale

Nel secondo dopoguerra il numero di ristoranti italiani è cresciuto, espandendosi negli anni Settanta e Ottanta al di fuori dei tradizionali quartieri degli emigranti.

Ovunque sono sorte pizzerie e ristoranti che offrono una sorta di “canone” della cucina italiana, con poche varianti regionali. E che spesso non sono più in mano a proprietari italiani.

“L’acculturazione della cucina italiana in Svizzera”, scrive in conclusione Bernasconi, “ha condotto ad un livellamento e ad un’industrializzazione dell’offerta. L’esperienza gastronomica delle proprie origini da parte della seconda generazione di immigrati si riduce alla pizza e alla pasta.”

swissinfo, Andrea Tognina

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