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La Corea del Nord ha ancora fame

Uno dei villaggi a nord di Pyongyang - qui la fame è uno spettro difficile da scacciare Reuters

La situazione alimentare non è grave come durante la carestia del 1995, ma alcuni segnali lasciano presagire una nuova crisi. Lo ha affermato a New York Katharina Zellweger, responsabile del programma della DSC in Corea del Nord.

Katharina Zellweger vive a Pyongyang dal 2006. Nella capitale della Corea del Nord dirige l’ufficio permanente della Direzione svizzera dello sviluppo e della cooperazione (DSC), da dove parte spesso per visitare le altre regioni del paese. Nelle scorse settimane, ha constatato che sempre più persone soffrono a causa di un’alimentazione carente.

Nel corso degli ultimi anni, gli aiuti alimentari internazionali sono costantemente diminuiti. Molti paesi donatori hanno ridotto o cancellato i loro contributi perché non vogliono offrire un sostegno al regime di Pyongyang.

«Si vedono sempre più persone alla ricerca di cibo», ha spiegato Zellweger il 27 giugno a New York, nel corso di colloqui al palazzo delle Nazioni unite. «Scavano per trovare delle radici, cercano piante commestibili. Oppure abbattono degli alberi e sui terreni così ottenuti cercano di coltivare patate o mais».

Fossato tra città e campagna

La situazione, se si esclude Pyongyang, è grave soprattutto nelle città. «Lì la vita è particolarmente difficile, perché non ci sono superfici per la coltivazione di generi alimentari».

«Camminando per le strade», ha aggiunto Katharina Zellweger, «non si ha ancora l’impressione che la fame sia un problema evidente», per constatare la sua presenza occorre un occhio allenato. L’ultimo inverno, estremamente rigido, ha fatto precipitare la situazione. La poca neve caduta sui campi non è riuscita a proteggere dal gelo i germogli, e il raccolto primaverile è stato così compromesso.

Il settore agricolo soffre anche per la mancanza di concimi, soprattutto da quando la Corea del Sud ha stralciato questo tipo di aiuti. A mandare concimi e carburanti in Corea del Nord è rimasta solo la Cina.

Progetti svizzeri

Insieme all’Italia, la Svizzera è l’unico paese europeo che ha in corso dei progetti di aiuto su base bilaterale. Accanto all’aiuto umanitario, la Svizzera collabora con i coreani in ambito agricolo e per quanto riguarda programmi di studio e formazione all’estero. «Questo tipo di attività ci permette di strappare in qualche modo le persone al loro isolamento e di metterle in contatto con nuove idee».

Attualmente, un gruppo di nordcoreani si trova all’Università di Basilea, dove studia i vari aspetti dell’integrazione europea. Il programma comprende anche visite a Strasburgo, Bruxelles e a Ginevra (ONU e Comitato internazionale della Croce rossa).

Seminare, aspettare, raccogliere

È probabile che le persone che partecipano ai corsi non riescano ad applicare in modo immediato le conoscenze acquisite, «ma pensiamo che il contatto con cose nuove e sconosciute lasci delle tracce. A lungo termine questo può aiutare ad aprire nuovi orizzonti».

Oltre ad offrire corsi di formazione all’estero, la Svizzera ha aperto a Pyongyang una piccola business school. «Offriamo una specie di mini master in amministrazione aziendale», spiega Katharina Zellweger. Alla fine degli studi, i partecipanti devono sostenere un esame e svolgere un lavoro di gruppo.

Fame e politica

In Corea del Nord c’è molto da fare e molte cose andrebbero migliorate. «Prima o poi succederà. In ogni caso è importante che la spinta al cambiamento arrivi dall’interno». Ci vorrà molto tempo e molta pazienza, sottolinea Katharina Zellweger.

La tensioni politiche tra il regime di Pyongyang e la comunità internazionale rendono difficile il lavoro dei cooperanti. Per Katharina Zellweger le tensioni non devono però far dimenticare che «un bambino che ha fame non conosce politica». Per questo gli aiuti devono proseguire.

È difficile prevedere ora se nei prossimi mesi la Corea del Nord si troverà confrontata ad una crisi alimentare, anche perché il passaggio da una situazione di sottalimentazione cronica ad una acuta non è puntuale, ma graduale. Certo è che ultimamente le razioni di cibo distribuite alle fasce più fragili della popolazione sono state diminuite e non raggiungono più il livello necessario alla copertura del fabbisogno quotidiano.

Piccoli segnali di cambiamento

Katharina Zellweger non constata però soltanto un nuovo inasprirsi della situazione alimentare. Ci sono anche piccoli segnali di cambiamento. «Sono qui da anni e lo vedo. Il cambiamento c’è, ma è molto lento. Non basta vivere un anno in Corea del Nord per rendersene conto».

A Pyongyang, comunque, è più facile osservare il cambiamento. «Oggi si vedono più automobili e la gente porta sempre più spesso vestiti colorati». Inoltre, aggiunge la responsabile dell’ufficio di cooperazione elvetico, sono tornati i mercati in piazza e c’è chi ha un po’ di denaro da spendere.

A ciò si aggiungono i telefoni cellulari, che hanno reso più semplice la comunicazione tra le persone. Tuttavia resta una forma di comunicazione limitata, perché i nordcoreani non possono telefonare all’estero e informarsi, ad esempio, su cosa succede nel mondo. Stando a Katharina Zellweger, la stampa ufficiale ha parlato una sola volta e molto brevemente delle rivolte popolari che stanno cambiando i paesi nordafricani.

Progetti agricoli

Al centro dei programmi svizzeri destinati al settore agricolo c’è la lotta biologica ai parassiti, soprattutto nelle coltivazioni di mais e cavolo. Un altro ambito d’intervento è la stabilizzazione dei pendii che, a causa del disboscamento, sono in balia dell’erosione.

Grazie al sostegno svizzero, la popolazione locale impara come stabilizzare il terreno e renderlo coltivabile. Le persone sono motivate a partecipare a questo progetto, perché ciò che viene coltivato su questi terreni resta a loro, può essere consumato direttamente, venduto al mercato o impiegato come merce di scambio.

L’impegno della Svizzera in Corea del Nord è cominciato nel 1995 con un sostegno umanitario per alleviare una grave carestia.

Nel 1997, la DSC ha aperto un ufficio permanente a Pyongyang. Da allora, la Svizzera cerca di offrire un contributo per un’agricoltura più efficiente, un contributo all’apertura verso l’esterno e un miglioramento dell’accesso a organizzazioni internazionali.

Nel 2010, il budget per i programmi bilaterali in Corea del Nord era di 8,63 milioni di franchi (3,66 milioni per la cooperazione allo sviluppo, 4,97 milioni per l’aiuto umanitario). Per il 2011, c’è un budget di 5,3 milioni.

Il parlamento ha deciso di chiudere il programma speciale della DSC per la Corea del Nord a fine 2011. Entro la fine di quest’anno i progetti di aiuto allo sviluppo dovrebbero essere affidati a partner internazionali o locali.

L’ufficio della DSC a Pyongyang rimarrà aperto, ma non è ancora chiaro che budget avrà e quante persone vi lavoreranno. Oggi, oltre alla direttrice Zellweger, vi lavorano due svizzeri e sette impiegati locali.

A causa dei versamenti sempre meno generosi dei paesi donatori, negli ultimi anni, il Programma alimentare mondiale ha costantemente ridotto la quantità di aiuti distribuiti alle fasce più fragili della popolazione nordcoreana.

(Cifre arrotondate)

2008: 136’000 tonnellate

2009: 65’000 t

2010: 55’000 t

2011 (fino a giugno): 11 t

Guida l’ufficio di cooperazione svizzero a Pyongyang dal 2006. È arrivata in Corea del Nord per la prima volta nel 1995, come inviata della Caritas.

Per il suo lavoro ha ricevuto il Premio per la giustizia e la pace della fondazione sudcoreana Tji Hak-soon e il titolo di Dama di San Gregorio Magno (la più alta onorificenza assegnata dal Vaticano ai laici).

La prestigiosa università Stanford le ha assegnato una borsa di ricerca di un anno nel programma di studi coreani. A novembre del 2011, Katharina Zellweger lascerà Pyongyang alla volta della California.

Traduzione, Doris Lucini

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