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La conferenza di Cancún «partorisce un topolino»

A Cancún gli attivisti di Greenpeace hanno cercato di attirare l'attenzione sommergendo monumenti celebri Keystone

Dopo 12 giorni di negoziati, i rappresentanti di 194 paesi dell'ONU riuniti nella località balneare messicana hanno raggiunto sabato un accordo, di portata però limitata. Tutte le decisioni più importanti devono ancora essere prese, sottolinea lunedì la stampa svizzera.

Il testo approvato sabato a Cancún riconosce che sono necessarie «riduzioni importanti» delle emissioni di gas ad effetto serra, per limitare l’aumento della temperatura a un massimo di due gradi Celsius. Inoltre i delegati si sono accordati per la creazione di un fondo «verde» (100 miliardi di dollari all’anno dal 2020), destinato ad aiutare i paesi in via di sviluppo a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici.

Per quanto concerne il periodo post-Kyoto (l’unico trattato giuridicamente vincolante esistente giunge a scadenza alla fine del 2012), le discussioni sono state aggiornate al prossimo anno, in occasione della conferenza di Durban.

Per il direttore dell’Ufficio federale dell’ambiente Bruno Oberle, il compromesso ottenuto a Cancún costituisce «un buon risultato, prima di tutto perché vi è stato un risultato. Ritornare a casa senza nulla in mano sarebbe stato drammatico».

Passi in avanti, ma..

Il pacchetto sul quale ci si è messi d’accordo rappresenta «una base solida per gli sviluppi futuri». Secondo Oberle, a Cancún si è potuta dare una risposta a una questione fondamentale, ossia «chi è responsabile di cosa nell’ambito dell’attenuazione delle emissioni».

Altro punto da sottolineare è che in Messico è ritornata una certa «fiducia reciproca tra i paesi», ha osservato dal canto suo Philippe Roch, ex direttore dell’Ufficio federale dell’ambiente.

Patrick Hofstetter, rappresentante del WWF e dell’Alleanza per una politica climatica responsabile, si è anche detto relativamente soddisfatto: «Siamo felici che vi sia questo accordo, impensabile fino a 24 ore fa. Bisogna però essere onesti, si tratta solo di un passo importante».

«Sono stati compiuti dei progressi per quanto concerne il finanziamento, la deforestazione, in parte anche in materia di tecnologia e di sistemi di verifica». Per la maggior parte dei provvedimenti, però, non sono state fissate né scadenze né modalità chiare, ha sottolineato Hofstetter. In altre parole tutto rimane ancora da finalizzare.

Naufragio evitato

Sulla stampa svizzera, il vertice di Cancún è passato un po’ in secondo piano – i giornali ticinesi ad esempio non gli dedicano neppure una riga.

«La conferenza di Cancún ha partorito un topolino», titola Le Temps, secondo cui l’incontro «ha avuto per principale ambizione di mantenere in vita il processo di negoziazione lanciato ormai vent’anni fa». Partendo da questo presupposto ogni intesa era «buona da cogliere, ed è ciò che è successo».

Sulla stessa lunghezza d’onda anche 24 Heures: «A Cancún il mondo è riuscito a salvare la faccia, ma non il pianeta», titola il quotidiano vodese.

Per il Tages Anzeiger, in Messico si è riusciti per lo meno a ristabilire una certa fiducia dopo il disastro di Copenhagen. Il giornale zurighese annota anche che l’ONU non sempre è la sede più adatta per trovare delle risposte al problema dei cambiamenti climatici. A livello nazionale e locale ci si dimostra infatti spesso molto più dinamici. Ad esempio, «più di 140 città, tra cui Città del Messico, Copenhagen o Melbourne, hanno stipulato un patto per un programma climatico». Tuttavia le Nazioni Unite hanno ancora un ruolo fondamentale da svolgere: «Solo l’ONU può garantire che gli Stati più poveri possano utilizzare le tecnologie più recenti» e solo l’ONU può garantire un mercato delle quote di CO2 «credibile».

La Neue Zürcher Zeitung preferisce dal canto suo concentrarsi sugli aspetti positivi di questa «politica dei piccoli passi». È vero che in Messico non si sono registrati progressi fenomenali per quanto concerne la politica climatica, tuttavia «il tentativo di elaborare un complesso pacchetto di regole per diminuire gli effetti dei gas a effetto serra è il più ambizioso della storia della comunità internazionale».

Raggiungere un consenso per un nuovo accordo giuridicamente vincolante sarà estremamente difficile, sottolinea la NZZ, in particolare a causa delle reticenze di paesi come gli Stati Uniti e la Cina. «Questo handicap ostacolerà ancora a lungo i negoziati climatici». Tuttavia, la conferenza messicana ha mostrato «che la diplomazia non è condannata al naufragio».

Meno gas

Il testo sancisce l’esigenza di «riduzioni importanti» delle emissioni di gas a effetto serra per limitare l’aumento della temperatura globale a 2° rispetto ai livelli pre-industriali. I paesi industrializzati sono chiamati a diminuire le loro emissioni del 25-40% rispetto al 1990.

L’accordo prevede di rivalutare «periodicamente» gli obiettivi a lungo termine (limite di 2°). La prima analisi in questo senso incomincerà nel 2013 e dovrà essere terminata nel 2015.

E dopo Kyoto?

Il testo – oltre a non affermare chiaramente che vi sarà una continuazione dopo il 2012 – non chiede però ai paesi industrializzati di quantificare gli obiettivi post 2010.

I paesi in pieno sviluppo come la Cina e l’India presenteranno – in funzione delle loro capacità – un rapporto a scadenza biennale concernente l’inventario dei gas a effetto serra e le misure intraprese per diminuirli.

I rapporti in questione saranno sottoposti a un’analisi internazionale, che non sarà tuttavia «invasiva», «punitiva» e che avverrà nel rispetto della sovranità nazionale.

Paesi in via di sviluppo

Sarà creato un Fondo climatico per sostenere i progetti e i programmi politici nei paesi in via di sviluppo. Gli Stati industrializzati avevano promesso già a Copenaghen di fornire 100 miliardi di dollari l’anno a partire dal 2020, ma l’origine di tali fondi non è ancora stata individuata.

È stata inoltre decisa la creazione di un Centro tecnologico per il clima e di una rete di collaborazione scientifica per diffondere il know-how relativo alle nuove tecnologie ecologiche nei paesi in questione.

Foreste

Il testo stabilisce infine l’obiettivo di «rallentare, fermare e quindi invertire la tendenza» per quanto concerne la perdita di territorio forestale (fenomeno all’origine del 15%-20% delle emissioni globali di gas a effetto serra).

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