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La Colombia promette alle vittime riparazione e giustizia

Le madri di Soacha chiedono giustizia. Luca Zanetti

Dopo anni di negazione, la Colombia ha riconosciuto l’esistenza di un conflitto interno e la necessità di garantire giustizia. Definita storica dalla comunità internazionale, la legge sulle vittime si scontra però con una realtà di corruzione e violenza che rischia di trasformarla in un nuovo strumento di guerra.

Mezzo secolo di violenze, sei milioni di sfollati, centinaia di migliaia di desaparecidos, morti e feriti. Vittime di una guerra senza regole né schemi, dove gli interessi della guerriglia e dei paramilitari si intrecciano con quelli della mafia, di autorità corrotte e multinazionali senza scrupoli.

In Colombia la guerra ha lasciato dietro di sé una scia di sangue e dolore, violazioni spesso rimaste nel limbo dell’impunità. Il governo di Alvaro Uribe ha sempre negato l’esistenza di un conflitto interno, accusando i guerriglieri di terrorismo, sminuendo il dramma delle vittime e disconoscendo le norme del diritto internazionale umanitario (DIH).

Con la nuova legge sulle vittime – approvata a fine giugno – il governo di Juan Manuel Santos ha voltato pagina, almeno simbolicamente. Il congresso ha infatti riconosciuto la necessità di garantire verità, giustizia e riparazione alle oltre 4 milioni di vittime del conflitto interno, che dopo tanti anni sono tornate a dominare il dibattito politico colombiano. Il testo riconosce il dramma umano della guerra e pone la questione della terra quale strumento principale di riparazione. 

Definita storica dalla comunità internazionale, questa normativa è considerata da molti un primo passo verso la pace e la riconciliazione. Riconoscerne il carattere eccezionale non significa però negarne i limiti e i rischi considerevoli che la sua applicazione comporta, sottolinea Diego Perez, membro del Programma svizzero per la promozione della pace (Suippcol). «Diversamente da quanto accaduto in Argentina, Guatemala o Ruanda, questa legge è stata approvata in un contesto di conflitto e se le condizioni restano quelle attuali applicarla non sarà facile».

L’universo discriminante delle vittime

Uno degli aspetti più controversi della legge rimane senza dubbio la definizione dell’universo delle vittime. Soltanto coloro che hanno subito delle violazioni ai sensi del DIH a partire dal 1° gennaio 1985 sono soggette a riparazione economica e soltanto coloro che sono stati cacciati dalle loro terre dopo il 1° gennaio del 1991 potranno rivendicare il diritto alla restituzione.

«Si tratta di una legge discriminatoria, contraria al diritto internazionale», sottolinea Jairo Ramirez, politologo e membro di Movice, la più grande istituzione colombiana a difesa delle vittime. «La maggior parte delle vittime avrà diritto soltanto a una riparazione parziale. Coloro che sceglieranno una compensazione in denaro, per via amministrativa, dovranno infatti rinunciare a ricorrere alla via giudiziale, a un processo e a una condanna; in altre parole, a che giustizia sia fatta».

Anche l’Alto commissariato ONU per i diritti umani ha espresso qualche critica riguardo alla definizione dell’universo delle vittime. Il testo, ha deplorato l’agenzia internazionale, non garantisce una protezione adeguata ai bambini, agli adolescenti e alle donne; non riconosce come vittime i guerriglieri, contrariamente a quanto prevede il DIH, e nega ogni tipo di protezione alle vittime delle nuove bande criminali, dette Bacrim, perché associate alla delinquenza comune e quindi non riconosciute come attori di un conflitto.

Restituire la terra, un sogno possibile?

La legge sulle vittime non prevede soltanto una riparazione economica e morale, ma anche la possibilità di restituire la terra agli sfollati. La Colombia è uno dei paesi al mondo con il tasso più alto di rifugiati interni. Soltanto nel 2010 si contavano 280’041 sfollati, con una media di  778 al giorno.

Il governo colombiano si è impegnato a restituire almeno 2 milioni di ettari di terra sui 6,5 milioni espropriati con la violenza. «La legge non prevede però delle misure di protezione per le comunità che intendono ritornare, per i difensori dei diritti umani che li accompagnano o per i giudici che ne difendono la causa», continua Diego Perez.

Di fatto, questa legge non è una vera riforma agraria e non va ad incidere direttamente sulle cause della guerra. «Per le comunità coinvolte rappresenta più un atto simbolico che uno strumento di riparazione, anche perché in un paese in cui ogni giorno viene alla luce un nuovo scandalo di corruzione non è certo facile aver ancora fiducia nelle istituzioni», afferma  Fabio Lozano, membro di Codhes, un centro di consulenza per i diritti umani e lo sfollamento.

«In quanti avranno il coraggio di ritornare alla propria terra quando questo significa guardare negli occhi i propri carnefici? In quanti potranno accettare di lavorare fianco a fianco con i produttori di palma e le industrie minerarie, barattando la povertà con la schiavitù?»

La pace non passa dalla guerra

Con la nuova legge sulle vittime, la Colombia si è dotata di uno strumento ambizioso che da solo, però, potrà difficilmente sanare le ferite di un conflitto che dura ormai da oltre 50 anni. Già nel 1997 era stata approvata una legge sugli sfollati, ma la sua applicazione è rimasta un miraggio, così come è successo nel 2005 con la legge giustizia e pace che avrebbe dovuto garantire una riparazione minima alle vittime dei paramilitari.

«Invece di continuare a elaborare leggi difficilmente applicabili, dobbiamo concentrare i nostri sforzi per costruire la pace», conclude Fabio Lozano. «Dobbiamo finalmente capire che la soluzione del conflitto in Colombia non passa attraverso una vittoria armata. Dobbiamo avere il coraggio di cambiare rotta e investire tutte le risorse finora dedicate alla guerra in modo costruttivo, unendo i nostri sforzi per cambiare la dinamica di questo paese e iniziare un cammino verso la riconciliazione».

Nonostante le carenze evidenziate, e i rischi che la sua applicazione comporta, in molte comunità questa legge è stata accolta con speranza e fiducia. Resta da vedere se questo paese avrà la forza e i mezzi necessari per rispettare gli impegni presi. Se ci riuscirà, potrà rappresentare davvero un piccolo passo verso la pace. Se fallirà, rischierà soltanto di aggiungere un nuovo strumento di guerra e ampliare il fossato tra la società civile e uno stato che da anni, ormai, ha smesso di rappresentarla.

La legge considera come vittime tutte le persone che – a partire dal 1° gennaio 1985 – hanno subito le conseguenze delle violazioni delle norme del diritto internazionale umanitario o dei diritti umani.

Si calcola che tra i 4 e i 5 milioni di colombiani potranno far capo a questa legge, che avrà una validità di 10 anni.

Le vittime avranno diritto a due tipi di riparazione, pecuniaria e morale.

La legge riconosce inoltre il diritto delle vittime a ritornare alla propria terra in condizioni di sicurezza e dignità e prevede dei meccanismi giuridici straordinari per restituire la terra alle migliaia di persone sfollate a partire dal 1° gennaio del 1991.

Il governo si è impegnato a restituire due milioni di ettari di terra sui 6,5 sottratti con la violenza.

La Colombia è uno dei paesi con il maggior numero di rifugiati interni al mondo: dal 1980 sono circa sei milioni le persone costrette a lasciare la propria terra, 280’041 soltanto nel 2010.

La legge sulle vittime è stata approvata in un contesto di recrudescenza delle violenze contro i difensori dei diritti umani in Colombia.

– Dal 2002 sono stati uccisi una cinquantina di rappresentanti delle comunità di sfollati; tra questi, almeno 11 sono stati assassinati durante il governo Santos (agosto del 2010).

– Nel 2010 sono stati assassinati 26 sindacalisti e un giornalista.

(Fonte: Alto commissariato ONU per i diritti umani e Codhes)

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