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La Colombia baratta la verità con l’impunità

Un gruppo di paramilitari del "Bloque central Bolivar" consegnano le armi dopo l'entrata in vigore della Legge giustizia e pace. Keystone

Aveva promesso giustizia e pace. Eppure, a sei anni di distanza, la smobilitazione dei gruppi paramilitari in Colombia ha portato con sé una nuova forma di impunità e violenza. Bilancio di una legge controversa.

L’accordo era chiaro: i paramilitari che sceglievano di deporre le armi avrebbero dovuto riconoscere i crimini commessi, consegnare i beni confiscati con la violenza e informare le autorità su eventuali complici. In cambio avrebbero ottenuto un sostanziale sconto della pena, fino a un massimo di otto anni per tutti i reati commessi, e la possibilità di una reintegrazione nella società civile.

Dal 2005 al 2010, sono quasi 32’000 i paramilitari che hanno scelto di far capo alla legge giustizia e pace (975) e approfittare dei benefici di questa giustizia transizionale. In 32’000 hanno deposto le armi, ma soltanto in tre sono stati condannati. Eppure le testimonianze raccolte durante questo processo giuridico parlano di 318’056 vittime dirette: 170’458 persone assassinate, 30’710 desaparecidos, 70’002 sfollati…

Dagli anni Novanta, i paramilitari hanno seminato terrore e sangue con il pretesto di sradicare la guerriglia. Autodefensas Unidas de Colombia (AUC): così si facevano chiamare questi miliziani di estrema destra, al servizio dei latifondisti, dei narcotrafficanti e dello stesso stato. Erano “gruppi armati a margine della legge”, secondo la definizione del governo Uribe. “Carnefici senza scrupoli”, secondo il movimento delle vittime.

Un accordo tra pari

«La legge giustizia e pace è stata concepita in un contesto di conflitto interno, segnato da un lato dalla politica dura di Alvaro Uribe nei confronti dei guerriglieri, attraverso la strategia denominata sicurezza democratica, e dall’altro dai  tentativi di accordi di pace parziali con i gruppi armati illegali», ci spiega Mô Bleeker che da anni si occupa del trattamento della memoria storica in America latina, presso il Dipartimento federale degli affari esteri.

Fin dalla sua elaborazione, la legge 975 ha sollevato molte critiche da parte della comunità internazionale e dei movimenti sociali per la scarsa attenzione rivolta alle vittime e i privilegi garantiti ai membri dell’AUC. Per Diego Pérez – membro del Programma svizzero per la promozione della pace in Colombia (Suippcol) – «si è trattato fondamentalmente un accordo politico tra pari e non di una normativa giudiziaria a servizio della popolazione civile».

«La legge è stata abbozzata dagli stessi avvocati dei gruppi paramilitari che all’epoca controllavano quasi il 40% del congresso», sottolinea Diego Pérez. «Questo accordo permetteva al presidente Uribe di far bella mostra di sé di fronte alla comunità internazionale che chiedeva chiarezza sui vincoli tra paramilitari e stato». Allo stesso tempo assicurava ad Uribe il sostegno politico necessario alla sua rielezione. «I paramilitari controllavano infatti vaste zone del paese e con la loro influenza potevano far eleggere le persone giuste al posto giusto e garantirgli così un secondo mandato».

Bacrim, nuovo nome, vecchio stile

La smobilitazione dell’AUC non ha significato però la fine del paramilitarismo in Colombia. Dalle carceri questi miliziani hanno continuato a controllare le stesse zone, ad ordinare gli stessi crimini, a minacciare le stesse vittime. Quelle che oggi vengono chiamate Bacrim – bande armate emergenti – per i difensori dei diritti umani non sono altro che un rimpasto dei vecchi gruppi paramilitari, con gerarchie e obiettivi diversi, ma modalità simili.

«Le strutture di questi nuovi gruppi armati sono molto più fragili, cambiano rapidamente, si trasformano, si uniscono e si dissolvono con grande facilità», ci spiega Mô Bleeker. A differenza dei membri dell’AUC, questi miliziani non portano segni distintivi. Riconoscerli e identificarli non è facile, combatterli ancora meno.

La Commissione nazionale di riparazione e riconciliazione (CNRR) parla di 6’000 effettivi vincolati in sei strutture principali, mentre per  Human Rights Watch vi sarebbero almeno 10’000 uomini attivi in 24 dei 32 dipartimenti del paese. La loro  occupazione  principale sembra essere il narcotraffico e per  la  popolazione  civile  queste bande rappresentano un pericolo tanto reale quanto quello paramilitare.

Verità, giustizia e riparazione

Oltre alla smobilitazione dei membri dell’AUC, la legge giustizia e pace avrebbe dovuto garantire alle vittime del conflitto armato il diritto alla verità, alla giustizia e alla riparazione. «Per la prima volta le vittime hanno potuto raccontare la loro storia e rendere visibile il loro dramma», ci spiega Mô Bleeker. «Grazie a questa legge la correlazione tra sicurezza e silenzio è cambiata. Parlo perché la mia testimonianza permetterà di porre fine alla guerra e parlo perché come me saranno in tantissimi altri a farlo…».

In migliaia hanno assistito alle audizioni dei paramilitari con la speranza di ottenere risposta alle loro domande: dove sono sepolti i nostri figli? Chi ha bruciato le nostre case? Che ne sarà della nostra terra? «Lo stato ha promesso alle vittime la verità, le ha convinte a testimoniare, ma non ha garantito loro nessuna forma di protezione», ci spiega dal canto suo Diego Pérez. «E con gli stessi carnefici a piede libero è stato fin troppo facile tornare a seminare morte e paura».

Anche per quanto riguarda la riparazione, il bilancio della legge giustizia e pace è tutt’altro che positivo. « I paramilitari consegnarono soltanto una fetta insignificante dei loro beni allo stato. Cedettero la maggior parte delle terre a terzi ed ora espropriarle risulta difficile», prosegue Diego Pérez. «La legge 975 non prevede un meccanismo per contrastare questo giochetto sporco e così le vittime sono rimaste a mani vuote, vittime non solo della violenza dei paramilitari ma anche della fragilità di uno stato corrotto».

Aveva promesso giustizia e pace, ma la legge 975 sarà ricordata come la strategia dell’impunità.  Un’impunità che ha permesso ai dirigenti dell’AUC di continuare indisturbati a controllare ampie zone del paese. Un’impunità che ha violato il diritto delle migliaia di vittime del conflitto armato alla verità, alla giustizia e alla riparazione.

Secondo i dati delle autorità giudiziali, dal 2005 al febbraio 2011 erano 318’056 le vittime dirette  registrate nel processo giustizia e pace.

Omicidio: 170’458

Sparizione forzata: 30’710

Sfollamento forzato: 79’002

Sequestro: 3’720

Reclutamento di minori: 716

Violenza sessuale: 708

(Fonte: Comité Interinstitucional de Justicia y Paz, Matriz, Febbraio 2011)

Nel suo rapporto 2011, Amnesty International rileva che «il processo di giustizia e pace ha continuato a non rispettare gli standard internazionali sui diritti a verità, giustizia e riparazione delle vittime, sebbene siano emerse alcune verità sulle violazioni dei diritti umani».

 «I gruppi paramilitari hanno continuato a uccidere civili, a minacciare e uccidere difensori dei diritti umani e leader della società civile, a reclutare bambini, e a effettuare azioni di “pulizia sociale”».

(Fonte: Amnesty International, Rapporto 2011)

Dall’entrata in vigore della legge giustizia e pace, nel 2005, la Svizzera ha partecipato all’elaborazione e allo sviluppo di una strategia per la ricostruzione della memoria delle vittime del conflitto armato.

La Divisione politica IV ha così promosso il lavoro del Gruppo memoria storica (GMH), incaricato recuperare e narrare storie di violenze e soprusi, dando voce in primo luogo alle vittime.

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