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La Chine à l ONU

La Cina vuole esercitare tutto il suo peso all’ONU

Mettendo in evidenza il suo ruolo di grande potenza, la Cina si sta impegnando sempre più in un'Organizzazione delle Nazioni Unite indebolita dai colpi inferti dall'amministrazione Trump. I suoi contributi finanziari aumentano, così come il numero di responsabili a capo delle agenzie specializzate dell'ONU.

Durante la sua visita al Forum economico di Davos e in seguito alla sede ginevrina delle Nazioni Unite nel gennaio 2017, il presidente cinese Xi Jinping aveva fatto scalpore ponendosi quale garante dell’ordine internazionale e dell’ONU di fronte a un mondo scosso dall’arrivo, nello stesso periodo, del distruttivo Donald Trump alla Casa Bianca.

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Pechino approfitta da allora dell’ostilità del presidente americano nei confronti del sistema delle Nazioni Unite per rafforzare le sue posizioni all’interno dell’organizzazione. L’impatto del virus Sars-CoV-2 che si è propagato dalla megalopoli di Wuhan causando una pandemia mondiale frenerà lo slancio cinese nelle Nazioni Unite? Di certo, questa crisi sanitaria dall’impatto economico devastante alimenta la rivalità crescente tra Pechino e Washington.

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Seconda economia mondiale e prima piazza industriale del pianeta, la Cina afferma di essere stata all’origine del 30% della crescita mondiale fino al 2019. Sotto la guida di Xi Jinping, reclama con toni sempre più insistenti il posto che le spetterebbe in seno alle Nazioni Unite, approfittando del disimpegno graduale di Washington dal suo ruolo di gendarme del pianeta.

Nel 2019, la Cina è diventata il secondo contributore più importante – dietro agli Stati Uniti – delle operazioni ONU di mantenimento della pace (15,21% dei 6,5 miliardi di dollari di budget 2019-2020) e il decimo fornitore di Caschi blu (2’544 su 82’863). La Cina è anche il secondo contributore (337 milioni di dollari nel 2020) del budget ordinario dell’ONU, sempre dopo agli Stati Uniti (679 milioni).

Pechino ha ottenuto un numero sufficiente di voti per far eleggere un cinese alla testa di quattro delle 15 agenzie specializzate dell’ONU, ovvero l’Organizzazione dell’aviazione civile internazionale, l’Unione internazionale delle telecomunicazioni, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) e l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale.

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Questo contenuto è stato pubblicato al Mentre gli Stati Uniti si ritirano dal loro ruolo di leader nel sistema multilaterale, la Cina sembra colmare il vuoto. Con quali conseguenze?

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Riaffermando l’onnipotenza del partito comunista alla guida dell’ex Impero di mezzo, Xi Jinping si oppone apertamente al modello occidentale di democrazia liberale rispettosa delle libertà civili. Ciò che si traduce a Ginevra con una volontà di influenzare il lavoro del Consiglio dei diritti umani a detrimento dei difensori dei diritti fondamentali.

In occasione della 43° sessione del Consiglio dei diritti umani, la rappresentante speciale per i diritti umani del ministero degli affari esteri cinese, Liu Hua, ha ribadito molto chiaramente l’ideologia del suo governo: “La pratica della Cina mostra che non esiste un unico modello per la protezione dei diritti umani e che la modernizzazione non è un’occidentalizzazione. La protezione dei diritti umani deve iscriversi in una via di sviluppo che si adatta alle condizioni proprie di un Paese”.

Coloro che denunciano la repressione delle voci dissidenti fino a Hong Kong e il ferreo controllo dei musulmani nella provincia dello Xinjiang possono quindi rimangiarsi le loro critiche. Nello stesso comunicato del 26 febbraio 2020, Liu Hua assicura che “non ci sono né guerra, né sfollamenti, né paura sui 9,6 milioni di chilometri quadrati del territorio cinese e quasi 1,4 miliardi di persone vivono una vita pacifica, libera e felice – è il più grande progetto in materia di diritti umani ed è la miglior pratica in questo ambito”.

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Mostrandosi particolarmente intrattabile sulla questione dei diritti civili e politici, la Cina di Xi Jinping rafforza una linea che non era scomparsa con la morte di Mao Zedong nel 1976. La Svizzera ne aveva fatta la spiacevole esperienza nel 1999 durante la visita di Stato dell’allora presidente cinese Jiang Zemin, oltraggiato dalla manifestazione di militanti della causa tibetana al suo arrivo a Palazzo federale a Berna. “Avete perso un amico”, aveva detto a chi lo aveva accolto, tra cui la presidente della Confederazione Ruth Dreifuss.

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