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La brexit e il futuro dell’Unione Europea

La brexit e il futuro dell’Unione Europea tvsvizzera

di Dario Fabbri

Oltre a stabilire cosa ne sarà del Regno Unito all’indomani della Brexit, può essere maggiormente rilevante comprendere cosa potrebbe accadere adesso all’Unione Europea. Progetto spurio, la costruzione comunitaria è estranea alla grammatica geopolitica e dunque insostenibile nella sua natura attuale. La secessione britannica la costringe ora ad affrontare il proprio destino. Con tre opzioni all’orizzonte, di cui due non attuabili. Oltre alla definitiva implosione.

Pensata dagli americani quale area di libero scambio per legare tra loro i paesi occidentali in funzione anti-sovietica, compreso il successivo allargamento verso Oriente, negli anni l’integrazione europea si è trasformata in un ibrido a metà tra mercato comune e spazio politico. Con tanto di propria moneta, sebbene non adottata da tutti gli Stati membri. Quanto basta per renderla impraticabile. Ad oggi in geopolitica esistono due sole costruzioni dotate di propria personalità e profondità strategica: lo Stato-nazione e l’Impero. Tertium non datur.

Priva di opinione pubblica, di un reale parlamento e di un sentimento condiviso, l’Unione Europea non è Stato-nazione. Priva di un egemone consapevole, dell’abilità di congiungere centro e periferia e di una propaganda che ne magnifichi l’essenzialità, non è Impero. Dopo l’addio di Londra, l’architettura comunitaria pare incapace di evolvere verso una delle due forme, con il concreto rischio di scadere nuovamente a mera area di libero scambio.

Come dimostrato dagli scontri registrati in seguito alla crisi finanziaria del 2008, alimentati da accuse reciproche e razzismi di ritorno, esistono gli Stati membri ma non una nazione europea. Non solo i cittadini non percepiscono reale appartenenza al continente, i paesi in cui vivono non hanno alcuna intenzione di cedere la propria sovranità ad un’entità “superiore”. Specie, ma non soltanto, gli ex satelliti di Mosca, oggi in piena fase risorgimentale. Analogamente e a dispetto degli slogan, la Germania è l’unico Stato che in potenza potrebbe assurgere al ruolo di egemone, ma non possiede caratteristiche e tradizione per creare l’Impero. Anzitutto perché in quanto esportatore netto non consegna benessere alla periferia ma drena liquidità, mentre il fulcro deve saper attirare a sé i paesi della periferia lasciandoli partecipare della propria ricchezza, così da frenarne le spinte centrifughe. Inoltre, convinta che la stirpe sia questione di “sangue” piuttosto che di cultura, non sa distillare un approccio universalistico cui possano adire i cittadini stranieri e che funga da soft power. Consegnandosi così al nefasto ruolo di perno disfunzionale.

Ne deriva che, in assenza di cambiamenti sostanziali, l’Unione Europea potrebbe presto tornare alle origini. Ovvero allo status di mercato comune, residuo cui la Germania non rinuncerebbe mai e a cui tengono perfino i britannici. Con le istituzioni brussellesi relegate ad un ruolo cerimoniale. Non a caso la retorica dell’Europa a molteplici velocità presuppone per tutti la sopravvivenza della sola area di libero scambio. Scenario che potrebbe essere salutato con sollievo. Giacché l’alternativa sarebbe la totale disintegrazione dello spazio comunitario, diviso in autistiche isole commerciali.

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