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La 5a Svizzera difende la libera circolazione

Un coro di voci si è levato dal Consiglio degli svizzeri all'estero per sostenere la libera circolazione Philipp Zinniker

Alla vigilia delle elezioni federali di ottobre, gli svizzeri all'estero irrompono nella campagna con un messaggio forte ai partiti. Vogliono che s'impegnino per la libera circolazione delle persone fra la Confederazione e l'UE.

Il risultato è chiarissimo: con 65 voti a favore, 3 contrari e 5 astenuti, il Consiglio degli svizzeri all’estero (CSE) – il cosiddetto parlamento della Quinta Svizzera – ha approvato venerdì a Lugano una risoluzione che definisce “indispensabile” la libera circolazione delle persone. Nel testo ci si appella esplicitamente alla “responsabilità” dei partiti, affinché agiscano in favore della sua salvaguardia e della sua estensione.

“La libera circolazione non è a senso unico, anche gli svizzeri che espatriano nell’Unione europea (UE) ne approfittano”, si sottolinea nella risoluzione. Un concetto ribadito da diversi delegati nel dibattito che ha preceduto il voto.

Non bisogna dimenticare che sui quasi 700mila svizzeri che risiedono all’estero, ben 420mila vivono nell’UE, si puntualizza nel testo. Il loro numero d’altronde cresce in continuazione, proprio perché l’accordo di libera circolazione fra Berna e Bruxelles apre le porte di 27 paesi ai cittadini elvetici, si osserva nel testo.

Basandosi sulle proprie esperienze, alcuni delegati hanno testimoniato quante agevolazioni godono oggi gli svizzeri nei paesi dell’UE rispetto al passato e in confronto ai connazionali che risiedono in paesi extra comunitari.

Interessi prevalenti

Che peso può avere qualche procedura burocratica supplementare a fronte degli interessi della sicurezza della Svizzera?, ha replicato un oppositore alla libera circolazione. Quest’ultima – a suo avviso e secondo altri due delegati – ha fatto aumentare la criminalità nella Confederazione.

Una tesi contro la quale è insorto il deputato nazionale Carlo Sommaruga. La criminalità è un problema grave che va affrontato, ma è anteriore alla libera circolazione, non una sua conseguenza, ha affermato il parlamentare socialista ginevrino.

Più voci si sono levate anche per rammentare il contributo degli stranieri allo sviluppo e alla prosperità della Svizzera. Un apporto fornito a tutti i livelli, dai lavoratori, agli studenti e ai professori universitari. Un apporto del quale la Svizzera non può fare a meno, ha convenuto la stragrande maggioranza del CSE.

Oltre che per gli espatriati nell’UE, la libera circolazione è dunque “una necessità”, sia per l’economia, sia per la scienza, la ricerca e la cultura elvetiche, si afferma nella risoluzione. La disdetta di questo accordo avrebbe effetti disastrosi sia per la Confederazione sia per la sua diaspora nell’UE, hanno messo in guardia alcuni delegati.

Ciò comporterebbe il rischio di un effetto domino, ha avvertito il presidente dell’Organizzazione degli svizzeri all’estero (OSE) Jacques Simon Eggly. Se Berna denunciasse quello sulla libera circolazione, infatti, Bruxelles potrebbe far valere la cosiddetta “clausola ghigliottina” e disdire tutti gli altri accordi bilaterali fra la Svizzera e l’UE.

Non promesse, ma prova dei fatti

Nel mirino della presa di posizione del “parlamento” della Quinta Svizzera c’è l’iniziativa popolare “Contro l’immigrazione di massa”, lanciata dall’Unione democratica di centro (UDC). Questa chiede l’introduzione di tetti massimi e contingenti per i permessi per stranieri, “stabiliti in funzione degli interessi globali dell’economia svizzera e nel rispetto del principio di preferenza agli svizzeri”. Il testo prevede di rinegoziare i trattati internazionali che non rispettano queste nuove disposizioni.

La tematica è al centro delle discussioni in atto nella campagna per le elezioni federali del 23 ottobre. La risoluzione del CSE suona come un segnale d’avvertimento ai partiti, rivelatore di una presa di coscienza del proprio peso politico da parte della diaspora.

“Quest’anno i grandi partiti politici si preoccupano molto di più dell’elettorato all’estero”, ha sottolineato Eggly in apertura dei lavori del CSE. Il presidente dell’OSE ha rammentato che con 81 candidati, il numero di svizzeri domiciliati all’estero in corsa per un seggio nel parlamento elvetico non sono mai stati così numerosi.

Pur rallegrandosi del nuovo record di liste e di candidati della Quinta Svizzera, Eggly ha tuttavia invitato a valutare attentamente se “lo zelo dei partiti si applica anche agli interessi” degli espatriati. Ha quindi esortato a “non lasciarsi accecare dall’aspetto quantitativo. Quel che è decisivo è l’aspetto qualitativo, vale a dire i programmi elettorali dei partiti e, ancora di più, il lavoro politico svolto finora”.

I partiti sono perciò avvertiti. I loro rappresentanti presenti venerdì a Lugano lo riferiranno sicuramente ai vertici.

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L’Organizzazione degli svizzeri all’estero (OSE) rappresenta in Svizzera gli interessi degli espatriati ed è riconosciuta dalle autorità come portavoce della Quinta Svizzera.

Il Consiglio degli svizzeri all’estero (CSE) è considerato il parlamento della Quinta Svizzera. Tiene due sedute all’anno: una in primavera, l’altra in estate in occasione del Congresso annuale degli svizzeri all’estero. Quest’ultimo quest’anno si svolge a Lugano dal 26 al 28 agosto.

Il governo federale ha riconosciuto nel giugno 2010 la necessità di una politica più coerente riguardo alla Quinta Svizzera. Per attuarla occorre elaborare una base legale unica e affidare le competenze a un solo dipartimento.

Affinché ciò sia concretizzato, il senatore Filippo Lombardi ha depositato un’iniziativa parlamentare che chiede una legge sugli svizzeri all’estero e pone una serie di esigenze per tutelare gli interessi della diaspora.

Si tratta del primo atto. La procedura parlamentare richiederà tempo, ma è il segnale tangibile che la causa della Quinta Svizzera avanza, ha rilevato il presidente dell’OSE Jacques Simon Eggly, venerdì al Consiglio degli svizzeri all’estero.

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