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L’Ue mette la Svizzera con le spalle al muro

La fiscalità e segreto bancario rapprentano ormai da alcuni anni i principale tema di discordia tra Berna e Bruxelles imagepoint

A Berna prende avvio venerdì una nuova tornata di discussioni con l'Unione europea sulla fiscalità delle imprese. L'obbiettivo dei Ventisette è di convincere la Svizzera ad applicare un codice di condotta europeo, che prevede il graduale smantellamento dei regimi fiscali "troppo concorrenziali".

Il nuovo “dialogo” aperto dalla Commissione europea e dal Consiglio federale sullo spinoso dossier fiscale e sul codice di condotta europeo contro la concorrenza fiscale dannosa si svolge ad un livello diplomatico definito alto.

L’Ue sarà infatti rappresentata a Berna da Walter Deffaa, capo della direzione generale della fiscalità e dell’unione doganale dell’esecutivo dei Ventisette, mentre a riceverlo da parte elvetica sarà Michael Ambühl, segretario di Stato incaricato delle questioni finanziarie e fiscali internazionali.

L’apertura di questo nuovo fronte fa seguito ad una decisione adottata dai ministri delle finanze dell’Ue. Lo scorso 8 giugno avevano incaricato la Commissione europea di tastare il terreno in Svizzera e nel Liechtenstein, per verificare “in che misura questi due paesi accetteranno di sottoscrivere i principi di condotta in ambito di fiscalità delle imprese”, applicati dall’Ue dal 1997.

Nuovi impulsi

In base al programma di lavoro allestito dalla presidenza belga dell’Ue, la Commissione è chiamata a preparare un rapporto che sarà sottoposto il prossimo 7 dicembre all’esame del Consiglio dei ministri delle finanze.

In tal modo, Bruxelles intende imprimere nuovi impulsi alla lotta contro la “concorrenza fiscale dannosa” lanciata nel 2007 nei confronti della Svizzera e di altri paesi. “L’Ue deve continuare a condurre la sua campagna in favore di una buona gestione amministrativa a livello internazionale”, ha dichiarato recentemente il commissario europeo della fiscalità Algirdas Semeta, dinnanzi al Parlamento europeo.

Finora, i Ventisetti si erano concentrati soprattutto su alcuni regimi fiscali cantonali che, ai loro occhi, favoriscono in modo sleale l’insediamento di holding e altre società europee sul territorio elvetico. A detta di Bruxelles, questi sistemi fiscali violerebbero l’Accordo di libero scambio concluso nel 1972 tra la Svizzera e l’Unione europea.

Altri temi di discordia

La Confederazione si è detta disposta a rivedere la situazione nel quadro di una riforma autonoma delle regolamentazioni cantonali sulla fiscalità delle aziende. In cambio, il governo svizzero chiede all’Ue di decretare il “cessate il fuoco” nell’ambito di questa vertenza. L’Italia ha però già espresso la sua categorica opposizione.

La tassazione delle imprese non è d’altronde l’unico pomo di discordia tra Berna e Bruxelles. Nell’ambito del “dialogo” sul codice di condotta, i cui contenuti rimangono ancora da definire, nel mirino della Commissione vi è anche la nuova politica di promozione regionale varata dalla Confederazione.

Alcune misure in ambito fiscale, previste dal nuovo programma di aiuti alle regioni meno favorite della Svizzera, spingerebbero diverse aziende europee a delocalizzare le loro attività nei cantoni svizzeri di frontiera. La regione francese della Franche-Comté ha già protestato a più riprese a questo proposito.

Vantaggi fiscali discriminanti

La nuova politica regionale stabilita dalla Confederazione consente infatti alle società straniere di ottenere sgravi fiscali sugli utili per almeno una decina d’anni dopo il loro insediamento in Svizzera.

“Un accordo tra i cantoni stipula che tali vantaggi fiscali non vengono accordati alle aziende che delocalizzano le loro attività da un cantone all’altro, mentre vengono concessi alle aziende dei paesi europei”, deplora l’Ue in un rapporto pubblicato recentemente da Bruxelles.

Questa vertenza dovrebbe figurare tra i temi in discussione durante una visita a Bruxelles della ministra elvetica dell’economia Doris Leuthard. La consigliera federale sarà probabilmente accompagnata dal ministro elvetico delle finanze Hans-Rudolf Merz e dalla ministra degli affari esteri Micheline Calmy-Rey.

Tanguy Verhoosel , Bruxelles, siwissinfo.ch
(traduzione Armando Mombelli)

Il codice di buona condotta europeo contro la “concorrenza fiscale dannosa” è un testo giuridicamente non vincolante, che intende porre un freno agli incentivi fiscali volti a favorire la delocalizzazione di imprese.

Dall’adozione di questo documento nel 1997, la Commissione europea ha identificato un centinaio di norme che violano questo codice, di cui una sessantina nei “vecchi” membri dell’Ue, una trentina nei nuovi membri e una decina in altri paesi europei.

I ministri delle finanze dei Ventisette vogliono ora estendere la portata del codice anche a paesi europei che non fanno parte dell’Ue, a cominciare da Svizzera e Liechtenstein.

Nel mirino di Bruxelles vi sono in particolare i regimi fiscali di alcuni cantoni svizzeri, che offrono alla aziende comunitarie intenzionate ad installarsi sul loro territorio condizioni fiscali favorevoli, incentivando in tal modo l’emigrazione di imprese Ue.

La Confederazione ha preso atto del fatto che l’Ue vuole avviare un dialogo riguardo all’applicazione del codice. Per il governo svizzero rimane però prioritario il mantenimento della competitività della piazza economica elvetica.

Secondo le autorità svizzere, l’accordo bilaterale di libero scambio concluso nel 1972 con l’Ue non si applica alle agevolazioni fiscali accordate da alcuni cantoni alle società europee.

Questo concerne soltanto al commercio di alcuni beni (prodotti industriali e prodotti agricoli trasformati).

Berna sostiene inoltre che, al momento della firma dell’accordo, la Svizzera e la Comunità europea non prevedevano di armonizzare le loro legislazioni (né quelle in ambito di prodotti né quelle in ambito di concorrenza o di aiuti statali).

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