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L’occhio di Bosshard sull’India di Gandhi

Gandhi legge la corrispondenza di guerra.

Con la sua macchina fotografica ha tradotto in immagini e tramandato alla storia, il fermento di un mondo all'alba di un cambiamento epocale: l'India degli anni Trenta.

Lo svizzero Walter Bosshard (1892-1975), senza dubbio uno dei pionieri del fotogiornalismo su scala mondiale, ha avuto l’opportunità di incontrare Gandhi e fotografarne la vita privata.

Il Museo delle Culture di Lugano-Castagnola, situato ancora per poco nell’incantevole Villa Heleneum, regala al pubblico un’esposizione di fotografie di altissimo valore e straordinario interesse.

Le trentotto opere esposte sono state accuratamente selezionate dal museo. E per il visitatore il risultato è un intenso ed incantevole viaggio nel tempo che può percorrere fino al 30 marzo 2008.

Il direttore del Museo delle Culture Francesco Paolo Campione, non nasconde la sua soddisfazione: “Sulle 3 mila 500 fotografie di Walter Bosshard custodite negli archivi della Fotostiftung Schweiz di Winterthur, ne abbiamo scelte una quarantina – molte delle quali del tutto inedite – tra le 400 relative al viaggio in India. Le abbiamo riprodotte su carta baritica a partire dai negativi originali”.

La marcia del sale e il boicottaggio

Tutto inizia nel mese di marzo del 1930. Walter Bosshard viene inviato in India dall’agenzia berlinese “Dephot” (Deutscher Photodienst) di Berlino e dalla rivista “Münchener Illustrierte Press” per documentare la situazione di generale agitazione contro la presenza britannica.

Sono anche gli anni del nascente movimento d’indipendenza che si sta imponendo con tutta la sua forza dinnanzi all’opinione pubblica mondiale: un intero popolo in marcia da sempre, intraprende la marcia della libertà. La “marcia del sale”, protesta non violenta contro il monopolio inglese delle merci, è guidata dal Mahatma Gandhi.

È in quel contesto di grande fermento che Walter Bosshard incontra Gandhi, entra nella sua vita e ne fotografa la vita privata. Pulita, sobria, essenziale e rigorosa, la fotografia di Bosshard ha lo spessore dell’autorevolezza, della forza, dell’intensità. Coglie e restituisce la ieraticità di Gandhi creando un’immagine che entra per sempre nell’iconografia pubblica del Mahatma.

Consacrazione epocale

In quel celebre reportage che lo consacra fra i massimi fotografi dell’epoca, Bosshard scrive in immagini le pagine di storia di un grande paese sospeso, ieri come oggi, fra il retaggio di un passato ancora manifesto nelle architetture e nelle forme della cultura e un impegno civile che trasforma le grandi masse nel soggetto narrante degli immensi spazi del sub-continente indiano.

Il fachiro immobile sul suo letto di chiodi, un uomo seduto nella posizione del loto fra le rovine, bambini che imparano a tessere nastri di cotone, un brahmano che legge un libro sacro, poveri accovacciati sul suolo con occhi neri luminosi come diamanti, una venditrice con il paniere: istanti di una quotidianità spesso effimera a cui Bosshard regala una porzione di eternità.

E poi ci sono le fotografie della rivoluzione pacifica: i preparativi per la settimana del boicottaggio, l’arrivo di un gruppo di volontari al fiume, Gandhi che legge le “corrispondenze di guerra” e un articolo satirico sul “Times of India”. E poi, a conclusione del percorso espositivo, la splendida foto dello sceicco Abu Bacar con, sullo sfondo, i muri del vecchio forte di Purana Kila.

Quasi in presa diretta

Le immagini di Bosshard sono in effetti ritratti accurati, molto minuziosi, in cui il nitore della composizione trasmette, con grande immediatezza, i concetti che egli intende suggerire allo sguardo dell’osservatore.

“Attraverso gli occhi di Bosshard – spiegano i curatori – la realtà ci viene, per così dire, restituita quasi in presa diretta, contenendo – e qui sta la grandissima arte del fotografo svizzero – lo spazio dell’interpretazione ed esaltando il valore della testimonianza dell’altro. La fotografia di Bosshard risulta così scevra da simbolismi e priva di particolari riferimenti stilistici”.

La narrazione per immagini proposta dal fotografo svizzero privilegia, infatti, l’informazione, il significato, il contenuto. Proprio per questo lascia a chi osserva le sue opere la possibilità d’esprimere il proprio giudizio e alla storia l’occasione di manifestarsi con grande libertà.

Un’icona che attraversa il tempo

Nell’accurato catalogo che accompagna la mostra, trova spazio anche un manoscritto inedito di Walter Bosshard su “il problema indiano” (Dehli, 3 marzo 1930). “Non esiste un problema indiano – scrive il fotografo -, ma dieci, venti, cento casi che si intersecano fra di loro in modo inestricabile, come gli ingranaggi di una potente macchina”.

Il Gandhi creato da Bosshard – una nitida icona in cui convergono un’ estrema semplicità e un intenso legame con il proprio popolo – diventa l’immagine pubblica del Mahatma e della non violenza. Quell’icona, che per molti è diventata uno stile di vita o una forma di espressione di impegno civile e politico, ci accompagna ancora oggi. E viene riprodotta anche per scopi (specialmente commerciali) che poco hanno a che vedere con la storia di Gandhi.

swissinfo, Françoise Gehring, Lugano-Castagnola

Walter Bosshard nasce l’8 novembre 1892 a Samstagern, nel comune di Richterswil, a pochi chilometri da Zurigo. Studia pedagogia e storia dell’arte all’Università di Zurigo. Durante la mobilitazione della Prima guerra mondiale divide il servizio militare al Monte Ceneri con l’insegnamento in una scuola elementare vicino a Zurigo. Lavora poi come agente commerciale in Estremo Oriente.

La passione per la fotografia lo spinge a perfezionare le sue conoscenze tecniche verso la metà degli anni Venti. Fondamentale, nel 1925, il lavoro come assistente di Herbert Ruedi nel negozio di fotografia in Via Nassa a Lugano. Si suppone che proprio a Lugano Bosshard compra la sua prima Leica.

Nella sua ricca carriera di fotoreporter Bosshard realizza reportage in Afghanistan, Tibet, Cambogia, Vietnam, Indocina francese, Manciuria, India, Cina, Sudan e altri paesi ancora. Collabora per giornali (in particolare la Neue Zürcher Zeitung, come corrispondente di guerra) e riviste prestigiose.

Nel 1933 entra a fare parte di una delle agenzie fotografiche più importanti dell’epoca, la Black Star, fondata a New York da esuli ebrei tedeschi. Fra il 1933 e il 1939 Bosshard risiede in Cina, torna in Europa nel 1939 e nel 1942 si trasferisce negli Stati Uniti. Trascorre gli ultimi quindici anni della sua vita in Svizzera. Muore il 18 novembre 1975 a Torremolinos, in Spagna.

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