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L’attentato contro i copti è un “caso” egiziano

Il volto del Cristo insanguinato nella chiesa copta d'Alessandria d'Egitto. Keystone

Se alla vigilia del Natale ortodosso i fedeli della chiesa copta in Svizzera temono per la loro sicurezza, sembra che il bagno di sangue di Capodanno ad Alessandria d'Egitto sia legato a un contesto tipicamente egiziano. Sguardi incrociati.

Come per la maggior parte dei cristiani d’Oriente, i copti celebrano il Natale la notte del 6 gennaio. Quest’anno, però, le festività sono offuscate da un velo di tristezza e paura. In seguito all’attentato di Alessandria d’Egitto, la comunità svizzera ha infatti deciso di chiedere la protezione della polizia, perché teme per la incolumità dei propri fedeli.

«La nostra chiesa, come una settantina di altre chiese copte nel mondo, figura sulla lista del sito islamista radicale al Mojahden», ha spiegato all’Agenzia telegrafica svizzera padre Mikhaïl Megally, a capo della comunità copta ortodossa della Svizzera romanda, che conta circa 200 famiglie.

Nella notte di Capodanno, 21 persone sono state uccise – e 93 ferite – in un attentato dinamitardo davanti a una chiesa copto-ortodossa ad Alessandria d’Egitto. Le autorità, che evocano la presenza di “elementi stranieri”, sembrano privilegiare la tesi di un kamikaze legato ad al Qaida.

L’atto terroristico – che non è ancora stato rivendicato – è stato condannato dalla comunità internazionale, dalle chiese e dai movimenti nazionalisti islamici come Hamas e Hezbollah.

«Santa ignoranza»

Georges Abi-Saab, professore all’Istituto di Alti studi internazionali di Ginevra, ritiene che i responsabili di questo massacro vogliano anzitutto «attaccare il regime egiziano, allineato sulle posizioni occidentali».

«Se sono dei fanatici come i militanti di al Qaida, l’obiettivo è anche quello di attaccare i cristiani,», prosegue il ricercatore di origine egiziana (ma non copto). «E questo dramma sopraggiunge proprio in un momento in cui il paese è in una fase che non definirei d’instabilità, ma di dinamismo: si sono appena svolte le elezioni parlamentari e tra nove mesi ci saranno le presidenziali».

Per Ahmed Benani, tuttavia, i conflitti politici non bastano a spiegare ciò che è accaduto nel paese. Il politologo e antropologo parla piuttosto di un conflitto politico-religioso, la cui chiave sarebbe la “santa ignoranza”, come viene chiamata da un altro specialista dell’Islam, il francese Olivier Roy.

«È la religione senza la cultura, spiega Ahmed Benani. Oggi coloro che si pretendono i veri credenti – nel senso stesso di una radicalità della credenza – sono degli ignoranti della propria religione. Invece di veicolare i messaggi di pace contenuti nei testi monoteisti, promuovono il rifiuto dei cristiani e degli ebrei e la pulizia etnica. Rivendicano una specie di ritorno all’ideale della città di Maometto. Siamo in questo tipo di utopia».

Conservatorismo

«In Egitto c’è un conservatorismo patologico e un ritorno all’identità che è davvero sorprendente», prosegue il politologo. Ma di quale identità si tratta? «Quella che si identifica nel purismo religioso, nell’essenzialismo, nel comunitarismo, nel trionfo del velo… in tutti questi orrori».

Nulla di rassicurante insomma. Tanto più che i copti, come sottolinea ancora Ahmed Benani, aderiscono a una religione che – contrariamente all’Islam – è ancora molto «territorializzata» e non riesce ad espandersi, per delle ragioni legate allo stesso territorio egiziano (culto dei santi, cultura locale). Vivono in un ambiente ostile, mentre i nuovi cristiani d’Oriente (evangelici americani) sono ben accetti sia dalle autorità che dalle popolazioni povere, principali beneficiari delle loro opere caritative.

Ma una volta usciti dall’Egitto, i copti possono dirsi al riparo dagli attacchi degli adepti della jihad? Nulla è più incerto. George Abi-Saab ricorda infatti che il terrorismo è la «cieca violenza di persone completamente folli che possono colpire in qualunque luogo».

Amici degli umili

Nell’attesa di far luce su questo ultimo massacro, l’Egitto si prepara a scegliere in settembre il suo nuovo presidente. Dopo 20 anni di regno, Hosni Mubarak dovrebbe infatti gettare la spugna, anche se da anni ormai sta spianando la strada al figlio Jamal.

«Quali siano i candidati in lizza, nessuno si allontanerà dall’idea che l’Egitto è terra musulmana», fa notare Ahmed Benani. Si entrerà dunque in un gioco di promesse e offerte, guidato dai Fratelli musulmani, una delle più importanti organizzazioni musulmane al mondo. Secondo il politologo, questo movimento partito dall’Egitto nel 1928 è l’unica «forza organizzata» del paese, assieme all’esercito da cui provengono i tre presidenti che hanno regnato dopo l’indipendenza.

I Fratelli musulmani propongono infatti «una filosofia completa, un’etica, delle soluzioni politiche e delle soluzioni economiche. Il tutto sulla base delle regole dell’Islam. E questo discorso semplicistico ha una grande popolarità tra i più umili», rileva Ahmed Benani.

Tollerati dalle autorità egiziane, i Fratelli musulmani si presenteranno alle elezioni con l’etichetta di partito indipendente. Se fino al novembre 2010 erano la prima forza di opposizione all’Assemblea del popolo, il movimento ha deciso di boicottare il secondo turno delle elezioni denunciando brogli e irregolarità. Attualmente non contano nessun rappresentante al Parlamento egiziano.

Perseguitati per secoli e vittime di discriminazioni, i copti costituiscono la comunità cristiana più popolosa del Medio Oriente.

Il numero di copti in Egitto oscilla tra i 6 milioni (cifra ufficiale) e gli 11 milioni, il 10-12% della popolazione.

La chiesa copta è stata fondata in Egitto nel Secolo I dall’Apostolo San Marco: ha un proprio patriarca, attualmente Shenuda III, che vive al Cairo.

Il Natale copto viene festeggiato il 7 gennaio.

La diaspora copta, formata soprattutto da emigrati degli anni Sessanta, conta all’incirca due milioni di persone, principalmente negli Stati Uniti, in Canada e in Australia.

In Svizzera vivono da 300 a 400 famiglie, in particolare a Zurigo, Ginevra, Losanna, Bienne e Yverdon.

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