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L’arte tra museo e manicomio

Disegno di Heinrich Anton Müller. Heinrich Anton Müller / Kunstmuseum Berna

«Il museo di psichiatria incontra il museo d'arte»: è il titolo di una mostra del Kunstmuseum di Berna, dedicata alle relazioni tra arte e psichiatria, tra avanguardia e art brut. Un percorso lungo i confini che suggerisce prudenza nel porre steccati.

L’arte occidentale non è nuova alla frequentazione di esperienze artistiche esterne ai cancelli dell’accademia. Fin dall’inizio del secolo scorso, le avanguardie, allontanandosi dai canoni classici, presero a cercare impulsi e ispirazione altrove. E li trovarono nell’arte extraeuropea e popolare, nei disegni infantili e nelle opere dei malati di mente.

Nel mondo della psichiatria, già nel corso del XIX secolo si era sviluppato un interesse per l’attività figurativa dei pazienti. Ma inizialmente con fini puramente diagnostici. Solo nei primi decenni del nuovo secolo, in un clima di rinnovamento culturale, psichiatria e arte s’incontrarono in un dialogo che permise di guardare alle opere dei malati di mente anche sotto un profilo artistico.

In quest’evoluzione, Berna ebbe un ruolo di primo piano. Nella clinica psichiatrica del Waldau operò, tra il 1907 e il 1919, un medico con spiccati interessi artistici, Walter Morgenthaler. A lui si devono il sostegno dato all’attività artistica dei pazienti, ed in particolare di Adolf Wölfli, e la creazione di una grande collezione di opere figurative realizzate da malati di mente, sia del Waldau, sia di altri istituti di cura.

L’opera di Morgenthaler ebbe grande importanza per risvegliare negli ambienti artistici l’interesse per il lavoro dei malati di mente. Ma perché questo interesse sfociasse in una circolazione delle loro opere al di fuori degli istituti psichiatrici si dovettero attendere gli anni successivi alla seconda guerra mondiale. Fra i personaggi che s’impegnarono in questo senso, vi fu l’artista Jean Dubuffet, che nel 1945 visitò il Waldau e altri istituti e che in seguito diede avvio alla collezione sfociata nel 1976 nella creazione del museo dell’art brut a Losanna.

Altre mostre, tra cui la documenta 5 a Kassel nel 1972, contribuirono a far vedere l’arte dei malati di mente nel contesto dell’arte contemporanea. E a liberarla, almeno parzialmente, dalla tutela di un giudizio che tendeva a confinarla in uno spazio comunque a sé stante.

Ora il museo d’arte di Berna, che tra l’altro dal 1975 custodisce il lascito Wölfli, torna sull’argomento, cercando di far dialogare opere tratte dalla sua collezione con quelle provenienti dallo Psychiatrie-Museum, istituito al Waldau con la raccolta Morgenthaler.

L’intento, evidentemente, è quello di invitare il visitatore a confrontarsi con la domanda sui confini dell’arte. E per molti versi, è un intento coronato da successo. Come non cogliere le affinità – naturalmente ricercate nella scelta dei pezzi da esporre – tra l’acribico lavoro a matita di Adolf Wölfli e le minute architetture immaginarie di Johannes Gachnang? O tra l’inquietante ritmica del segno di Louise Bourgeois e quella di Martin Ramirez?

Ciò non toglie che le opere provenienti dallo Psychatrie-Museum siano segnate da una loro specificità, che si riconosce in una ricerca ossessiva dell’ordine (ad esempio nei disegni di A. Köchli), nella rielaborazione disorientante di iconografie quotidiane (Karl Schneeberger), nell’utilizzo ripetuto di simbologie religiose o mistiche (Ernst Bollin, Paul Schild). Una specificità che non è pero esclusività.

Tra l’arte riconosciuta e l’arte dei malati di mente non corre una linea di divisione netta. Le relazioni sono molteplici. Il lavoro condotto sull’immagine, anche se scaturito presumibilmente da motivazioni diverse, conduce a soluzioni simili. E che si arricchiscono a vicenda, in un dialogo che è anche riflessione sulla complessità – irriducibile a categorie semplicistiche – della mente e della creatività umane.

Andrea Tognina

La mostra rimarrà aperta fino al 1° luglio.

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