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L’arte di catturare i dati

Indagini dove non c'è un risvolto informatico sono sempre più rare Keystone

Per molte indagini di polizia, saper scrutare nei meandri di computer e altri supporti informatici è diventato indispensabile. Gli inquirenti possono contare su un nuovo centro di investigazione digitale e di crittologia.

Forse i tempi dei «pizzini» alla Bernardo Provenzano non sono ancora superati. Del resto, pare che anche Osama Bin Laden utilizzasse questo sistema per trasmettere ordini ai suoi. Comunque sia, ai tempi di Internet la maggior parte delle informazioni – anche in ambito criminale – circolano su supporti informatici.

«Ci sono sempre meno casi giudiziari dove non c’è anche un risvolto per così dire informatico», sottolinea Romain Roubaty, responsabile del Centro di investigazione digitale e di crittologia (CINC) dell’Istituto di lotta contro la criminalità economica di Neuchâtel. Inaugurato a metà maggio, il CINC è l’unico centro in Europa a permettere agli specialisti del settore di ottenere un Certificate in Advanced Studies in investigazione digitale.

In sostanza, spiega Roubaty, l’investigazione digitale «è l’arte di catturare i dati». Un’arte resa famosa negli ultimi anni da diverse serie televisive, in primis CSI Scena del crimine. Serie che «veicolano molte idee, la maggior parte delle quali false», osserva divertito Roubaty.

Alla ricerca delle prove

Di vero vi è l’importanza che hanno assunto computer, telefonini, penne USB e così via nel lavoro quotidiano degli investigatori. «Per esempio, ogni giorno in Svizzera la polizia sequestra un numero impressionante di cellulari», sottolinea il responsabile del CINC.

Una cosa però è sequestrarli, un’altra poterli utilizzare per le indagini. Ad esempio, la memoria di un moderno smartphone può essere facilmente cancellata a distanza. Perciò è indispensabile proteggere immediatamente il telefono inserendolo in una tasca speciale che lo isola completamente dalla rete.

Per estrarre e catturare i dati, anche quelli soppressi, gli investigatori hanno a disposizione diverse apparecchiature, facilmente trasportabili per ovvie ragioni. La caratteristica principale di tutti questi congegni è soprattutto quella di «preservare la prova». In altre parole devono permettere di leggere i dati presenti su un disco rigido senza alterarne il contenuto.

Un lavoro spesso lungo, viste anche le capacità di stoccaggio enormi delle memorie attuali. Ma che può rivelarsi decisivo in tribunale: «Le prove digitali sono generalmente quelle meno discusse davanti a una corte», sottolinea Roubaty.

Crittologia

Prima di potere accedere a queste prove, l’inquirente deve però a volte riuscire a ‘entrare’ nel computer.

«Se il computer è protetto da una password e la persona sospettata non collabora, bisogna decifrare il codice. È quella che viene chiamata la scienza della crittologia», spiega Roubaty.

Competenze – queste – che pochi hanno. «La tendenza è di avere in questo settore dei poliziotti ultraspecializzati. In Svizzera da questo punto di vista non abbiamo troppi problemi. Il livello di formazione è elevato ed essendo un paese ricco, abbiamo un buon materiale di investigazione».

Anche gli agenti ‘ordinari’, sono però sempre più spesso confrontati a indagini per le quali è necessario avere una certa padronanza dell’investigazione digitale. Per questa ragione il CINC dovrebbe organizzare nei prossimi mesi i primi corsi destinati a non specialisti.

Il problema delle frontiere

A rendere arduo il lavoro degli specialisti di investigazione digitale sono soprattutto le frontiere.

«Paragono spesso Internet alla foresta medievale. Allora i banditi si nascondevano dietro agli alberi per tendere degli agguati ai viandanti. Oggi si nascondono in rete, con il vantaggio che possono agire dove vogliono standosene comodamente seduti, magari a migliaia di chilometri di distanza», osserva Roubaty. L’ultimo clamoroso caso riguarda il furto di dati – nomi, indirizzi, e-mail, date di nascita, numeri di telefono e in alcuni casi numero di carta di credito e di conto bancario – di oltre 100 milioni di clienti del gruppo giapponese Sony.

Chi vuole evitare che poliziotti troppo curiosi rovistino nella memoria del computer, ha poi la possibilità di smistare il contenuto del disco rigido su server all’estero. «Basta suddividerlo su alcuni server in paesi differenti per causare agli inquirenti problemi giuridici enormi», sottolinea il responsabile del CINC, che conclude: «Nonostante tutti gli sforzi e i passi in avanti che compiamo, temo che i criminali abbiano ancora dei bei giorni davanti a loro».

Che consigli darebbe Romain Roubaty a un ‘normale’ utente di un computer per evitare problemi?

«Semplicemente di agire nel mondo virtuale come agirebbe nel mondo reale. Ad esempio se mi trovo in una determinata città eviterei certi quartieri». Lo stesso vale per certi siti internet.

«Inoltre se devo effettuare delle transazioni che comportano il trasferimento di somme importanti eviterei di impiegare lo stesso computer che utilizzo per navigare su certi siti».

Secondo Roubaty, gli utenti di Internet dovrebbero in generale essere disposti a rinunciare almeno in parte all’anonimato garantito dalla rete, con eventualmente l’introduzione di una sorta di carta d’identità digitale. «Da quando sulle uniformi dei soldati svizzeri sono visibili nome e cognome, vi sono meno problemi. Lo stesso può valere per internet».

Il Centro di investigazione digitale e di crittologia di Neuchâtel non si occupa solo della formazione di esperti delle autorità pubbliche.

Possono infatti rivolgersi al CINC anche aziende o privati cittadini, ad esempio per recuperare file scomparsi o ritrovare delle password dimenticate.

«Recentemente una ditta si è rivolta a noi perché nessuno si ricordava più la password per aprire il registro concernente le informazioni sui salari», spiega Roubaty.

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