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L’arte che non sa il suo nome

12 inizi di canzoni di marcia (dettaglio): e il mondo eclettico di Wölfli lascia il manicomio. Collection de l'Art Brut, Lausanne

Artisti lontani dal mondo culturale, emarginati, esclusi o rinchiusi in ospedali psichiatrici: sono gli artefici, ignari di esserlo, dell’Art Brut. Un museo di Losanna li strappa all’anonimato.

Disegni, segni, sculture e parole in delirio.

«L’arte non dorme nei letti che sono stati preparati per lei, fugge appena si pronuncia il suo nome, ama l’incognito. I suoi momenti migliori sono quando si dimentica come si chiama». Così Jean Dubuffet (1901-1985), pittore francese, pensava fosse l’arte.

Ma dove cercarla quest’arte che per definizione sfugge il pubblico, la tradizione, i musei? Impossibilitato a produrla lui stesso, troppo esposto ai retaggi culturali, Dubuffet è andato a cercarla negli ospedali psichiatrici, tra i diseredati della società, tra i detenuti. Una ricerca che è cominciata nel 1945 e che è sfociata nella Collezione dell’Art Brut di Losanna.

L’«arte grezza», così è spesso tradotto il francese «Art Brut», è la forma d’espressione di persone che per una ragione o per l’altra sono sfuggite ai condizionamenti culturali e al conformismo sociale. Ignoranti della tradizione, indifferenti alle critiche, unici destinatari delle proprie opere, i creatori di Art Brut agiscono d’istinto.

L’amore della pienezza

Entrando nel castello di Beaulieu, sede della Collezione dell’Art Brut di Losanna, si è investiti dai colori e dall’esuberanza delle forme. Ma non è l’aspetto estetico il primo a colpire. Ci si sente attirati verso le opere esposte senza sapere bene perché, poi ci si rende conto che parlano una specie di linguaggio primordiale accessibile a tutti. Possono anche non piacere, ma riescono a entrare in contatto con chi le guarda.

Parlano. Riversano sui visitatori segni, lettere, linee, colori. Gli spazi bianchi? Praticamente assenti. «Bisogna rendersi conto che per chi fa Art Brut, persone spesso rinchiuse in istituti, trovare la carta è un problema», spiega a swissinfo Lucienne Peiry, direttrice della Collezione. «Il materiale recuperato – carta da imballaggio, carta di giornale, carta igienica – diventa quindi estremamente prezioso e l’artista cerca di sfruttarlo al massimo».

L’impellente necessità di esprimersi nobilita tutto, qualsiasi tipo di supporto: gli ombrelli dipinti da Giovan Battista Podestà (1895-1976), i cocci del vasellame di un ristorante con i quali Angelo Meani (1906-1977) crea delle teste, i fili delle lenzuola del suo letto dai quali Marguerite Sirvins (1890-1957) ricava il suo ideale abito da sposa…

E poi i supporti cartacei, usati e riusati in tutti i sensi. «In questi casi gli psichiatri parlano di “orror vacui”, io preferisco parlare di “amor impleti”», afferma Lucienne Peiry. «Sì, si tratta di amore della pienezza, perché in fondo un foglio di carta è un invito, un’incitazione alla creazione artistica».

Creare per sé

La spinta alla creazione artistica è stata, per gli autori esposti a Losanna, tutta interiore. Non li interessava che altri vedessero quello che facevano. Spesso le loro opere sono state scoperte solo dopo il sopraggiungere della morte, nascoste negli armadi, sotto il letto, nelle valigie: un tesoro segreto e personale.

Esporre queste opere in un museo può sembrare paradossale: non sono state pensate per un pubblico. «Ma», ribatte Lucienne Peiry, «nemmeno Anna Frank pensava a pubblicare il suo diario, così come Kafka non immaginava certo che un giorno le sue lettere sarebbero state stampate».

Diritto alla parola

E allora eccole qui queste opere che a dispetto delle intenzioni dei loro autori parlano al mondo, esposte con cura e accompagnate da una scheda biografica del loro autore. Storie di solitudine ed emarginazione, di ospedali psichiatrici e violenza, come quella di Adolf Wölfli (1864-1930), ritenuto da Dubuffet l’autore simbolo dell’Art Brut.

Nato a Berna, Wölfli perde la madre molto giovane ed è costretto a vivere col padre alcolizzato. Un’adolescenza caratterizzata da botte, amore negato e «attentati al pudore» di alcune ragazzine. Dapprima imprigionato, Wölfli sarà internato, nemmeno trentenne, all’ospedale psichiatrico Waldau di Berna dove rimarrà fino alla morte.

È nella struttura psichiatrica, nella solitudine della sua cella d’isolamento, che nascono metri di manoscritti, disegni in cui s’intrecciano elementi pittorici, partiture musicali e parole. Presentarli al pubblico è ridare voce e dignità ad una persona che ne è stata privata. «Queste persone non hanno avuto il diritto di parlare, se lo sono dovuto prendere e l’ hanno fatto con una libertà incredibile, perché ignorano le regole artistiche e quindi inventano tutto. È giusto aprire le porte e farli conoscere».

Farli conoscere significa anche, secondo Lucienne Peiry, rendersi conto che «tutte le opere riunite in questo museo sono state fatte in condizioni particolari: in solitudine, in segreto, in silenzio, le tre parole chiave per cominciare a capire l’art brut».

Un interesse crescente

La Collezione dell’Art Brut di Losanna, la prima al mondo nel suo genere, sta conoscendo un interesse di pubblico crescente. «Abbiamo sempre più pubblico, soprattutto dall’estero», costata la direttrice della Collezione. «Oggi il museo è visitato giornalmente da un centinaio di persone. Non era così 10 o 20 anni fa. C’è un’esplosione dell’Art Brut, mi sembra che il pubblico abbia un bisogno crescente di avere sotto gli occhi queste opere che sono prima di tutto opere dell’autenticità».

Il cuore della collezione restano le opere raccolte da Jean Dubuffet. Ma a queste continuano ad aggiungersene delle altre, anche se non sempre la ricerca è facile. «Sono opere nate nel silenzio, io non ne so niente, per scoprirle ho bisogno che mi vengano segnalate», spiega Lucienne Peiry. «Abbiamo dei corrispondenti nel mondo intero che ci fanno conoscere questi autori segreti. Al museo arrivano anche lettere e pacchetti con una cadenza quasi settimanale. I mittenti non sono mai gli artisti – che tra l’altro non sanno di esserlo – ma le persone che stanno loro vicine».

Losanna, scelta da Dubuffet per l’amicizia che lo legava ad alcuni psichiatri svizzeri, è divenuta centro di studi dell’Art Brut: pubblicazioni, conferenze e mostre temporanee – come quella che si protrarrà fino a settembre 2004, intitolata «Scrittura in delirio» – permettono un approccio a tutto tondo ad una forma d’arte a lungo ingiustamente ignorata.

swissinfo, Doris Lucini, Losanna

1971: Jean Dubuffet dona la sua collezione alla città di Losanna
1976: la Collezione dell’Art Brut è aperta al pubblico nel castello di Beaulieu
Inizialmente composta di 5’000 opere, la Collezione ne conta oggi più di 30’000
500 autori circa, tra i quali Wölfli, Podestà, Aloïse, Carlo e Walla
Il museo attira dai 40’000 ai 50’000 visitatori all’anno

La definizione d’Art Brut è stata coniata dal pittore francese Jean Dubuffet intorno al 1945. L’Art Brut è realizzata da persone che per una ragione o per l’altra non sono state esposte ai condizionamenti culturali della società.

Gli autori sono spesso dei marginali. Le opere, nate nella solitudine e realizzate senza l’obiettivo di mostrarle in pubblico, restano in genere segrete fino alla morte del loro autore.

La Collezione dell’Art Brut di Losanna è una delle più importanti al mondo. Oltre alla collezione permanente, si possono visitare delle esposizioni temporanee e accedere a tutta una serie d¹informazioni sulla storia e sugli autori dell’Art Brut.

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