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L’apparente solidità del regime siriano

Per quanto tempo ancora il ritratto di Bachar el Assad rimarrà appeso sui muri della Siria? AFP

A otto mesi dallo scoppio della rivolta popolare, il regime di Bachar el Assad continua a reprimere con violenza le manifestazioni. Finora più di 3'500 persone hanno perso la vita, stando all’ONU. Le pressioni esterne continuano comunque ad aumentare.

Come risposta all’ultimatum della Lega araba che chiedeva a Damasco di cessare la repressione – ultimatum che scadeva sabato sera – Bachar el Assad ha affermato domenica di essere pronto a combattere e morire in caso di intervento straniero.

Il ministro degli esteri siriano Walid Mouallem ha tuttavia cercato di minimizzare l’importanza dell’ultimatum, sottolineando che un accordo era ancora possibile sulla base della proposta della Lega araba per uscire dalla crisi.

La Lega araba alza i toni

Il 2 novembre, la Lega araba aveva presentato un piano di pace che prevedeva il ritiro delle forze armate dalle città, la liberazione degli oppositori, l’apertura di un dialogo con l’opposizione e l’invio di 500 osservatori e giornalisti indipendenti in Siria.

La prossima riunione della Lega araba è in programma giovedì 24 novembre e durante l’incontro potrebbero essere decise nuove sanzioni nei confronti del regime di Bachar el Assad.

Una prospettiva che dà nuove speranze a Nael Georges, militante dei diritti dell’uomo siriano residente in Francia: «Dallo scoppio dell’insurrezione in marzo, il regime parla di un complotto dell’Occidente e di una rivoluzione che non viene dal popolo siriano. Dopo la decisione della Lega araba, questo argomento del regime non ha più senso. Ciò permette alla comunità internazionale di implicarsi maggiormente ed è quanto chiede anche il popolo siriano. La comunità internazionale ha il dovere di intervenire visti i crimini contro l’umanità di cui si è macchiato il regime».

Piano di riserva degli alleati di Damasco

Damasco può comunque contare ancora su dei solidi alleati. «In un primo momento il piano della Lega araba era stato accettato senza condizioni dal regime. Dopo la bocciatura del piano da parte della Russia, Damasco ha però posto delle condizioni», osserva Nael Georges.

Mosca non è infatti ancora pronta a lasciar cadere la Siria, spiega l’ex ambasciatore svizzero Yves Besson. La flotta russa del mar Nero possiede una base a Tartus, secondo porto siriano sul Mediterraneo. «È l’unico punto d’attracco della marina russa nel Mediterraneo orientale», sottolinea questo grande conoscitore del Medio Oriente.

«Ogni diplomazia è obbligata a preparare dei piani di riserva. L’obiettivo è sempre lo stesso: difendere i propri interessi. Tatticamente, la Russia esplora diverse piste per preservare i suoi interessi strategici. Ciò che può significare anche l’apertura di negoziati con l’opposizione siriana. Questo momento però non è ancora arrivato».

Il secondo pilastro sul quale si basa il regime è l’Iran. «L’economia siriana va male, le sanzioni pesano e altre sono in arrivo. Bisognerà ora vedere se l’Iran, la cui economia non è certo in buono stato, è disposto a compensare in parte l’effetto delle sanzioni», si interroga Yves Besson.

Nael Georges è convinto dal canto suo che l’Iran sia implicato direttamente o indirettamente nella repressione. «Attraverso l’Hezbollah libanese, Teheran invia degli agenti che schiacciano la popolazione siriana. Tuttavia il presidente iraniano ha anche chiesto a Bachar el Assad di porre fine alla repressione. Si tratta di un messaggio inviato all’opposizione siriana nel caso in cui dovesse arrivare al potere».

Un’opposizione divisa

Per riuscirci, l’opposizione dovrà però superare le sue divisioni, spiega Yves Besson. «Ci sono degli oppositori all’interno del paese che hanno potuto uscire dalla Siria di recente per partecipare a una riunione a Parigi e poi di nuovo rientrare in patria. Damasco ha anche liberato alcuni oppositori imprigionati. Ciò significa che il regime tollera parte dell’opposizione interna, quella che milita per una transizione progressiva e non violenta. Un’altra frangia dell’opposizione invece si radicalizza. Queste linee di frattura si osservano anche tra l’opposizione all’estero».

Difficile comunque vederci chiaro, visto il blackout mediatico imposto da Damasco. «Bisognerebbe esaminare chi rappresenta queste diverse correnti per sapere qual è la posizione maggioritaria o minoritaria. È un gioco complesso e difficile da decifrare, soprattutto perché i giornalisti non sono autorizzati a recarsi sul posto», sottolinea Yves Besson.

Una zona tampone?

Il segnale più importante potrebbe giungere da Ankara. Secondo la stampa locale, citata dall’agenzia Reuters, le autorità turche hanno elaborato dei piani in vista dell’instaurazione di una zona d’esclusione aerea e delle aree tampone in Siria allo scopo di proteggere i civili nel caso in cui la repressione dovesse ulteriormente aggravarsi.

«La Turchia può svolgere un ruolo positivo, tanto più che non è percepita come una potenza colonizzatrice. Se dovesse essere creata una zona d’esclusione, i disertori dell’esercito siriano potrebbero usufruire di una sorta di protezione», osserva Nael Georges.

La fine del regime siriano non sembra comunque imminente. È quantomeno l’opinione di diversi esperti invitati venerdì scorso a Berna dal Dipartimento degli affari esteri svizzero. «Abbiamo parlato per due giorni del futuro della Primavera araba. Sulla Siria, gli invitati erano piuttosto pessimisti – spiega Yves Besson. Queste persone, molto ben informate, ritengono che il regime di Bachar el Assad non è sul punto di cadere».

Il presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa Jakob Kellenberger si è detto disposto, se necessario, a recarsi per la terza volta in Siria nei prossimi giorni, per ottenere un accesso più ampio ai luoghi di detenzione.

Secondo il CICR, i suoi delegati possono visitare solo un carcere, la prigione centrale di Damasco.

Il CICR afferma di avere «un buon accesso» alle regioni rurali del paese, a Homs e ad Aleppo, e di poter lavorare negli ospedali con la Mezzaluna Rossa siriana. L’organizzazione è comunque ancora lontana dal «poter rispondere a tutti i bisogni, segnatamente in campo medico».

Germania, Francia e Gran Bretagna hanno presentato all’Assemblea generale dell’ONU una risoluzione firmata da altri 61 paesi, tra cui 5 arabi, che condanna la repressione da parte del regime siriano e chiede l’applicazione del piano elaborato dalla Lega araba.

La Siria ha definito il progetto di risoluzione «una dichiarazione di guerra».

Il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov ha dal canto suo accusato l’opposizione siriana di stare facendo sprofondare il paese nella guerra civile. Ha inoltre ha dichiarato che la posizione di alcuni paesi occidentali, che hanno chiesto all’opposizione di non dialogare col regime, costituisce una «provocazione».

Alleata della Siria, ad inizio ottobre la Russia – sostenuta dalla Cina – ha posto il veto a una risoluzione di condanna del Consiglio di sicurezza dell’ONU.

Traduzione di Daniele Mariani

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