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l’aids sui banchi di scuola

Anche nelle scuole più povere, l'uniforme, per chi se la può permettere, è di rigore. MiET

Promozione della salute, accompagnamento degli allievi sieropositivi: l'aiuto svizzero allo sviluppo ha avviato il riorientamento di un'ONG sudafricana.

La Direzione sviluppo e cooperazione (DSC) appoggia questa nuova missione, che si estenderà a cinque paesi dell’Africa australe, la più colpita dall’Aids.

Salendo verso Nongoma dalla costa del KwaZulu Natal, le verdi colline lasciano il posto ad una savana più austera. Lontana dalle località balneari e dalle città industriali, questa cittadina, con il suo corso centrale dai tipici colori africani, somiglia a mille altre.

La campagna circostante ci appare in tutta la sua miseria. Villaggi senza strade, senza elettricità, senza acqua. Villaggi che altro non sono che un mucchietto di capanne o gruppi di casupole in mezzo a campi incolti o coltivati a canna da zucchero.

“Qui la gente sa esattamente che cosa significa essere poveri. Sono in molti ad andare a letto con la pancia vuota”, spiega Z.S. Gazu, presidente del Consiglio della scuola

di Mandlezulu. Ed è sempre con la pancia vuota che molti ragazzini percorrono venti chilometri a piedi per andare a scuola. Dall’inizio del 2005 ricevono perlomeno una colazione. Questo è uno dei tangibili segni di sostegno del “Media in Education and Training Project” (MiET), anche se la sua vocazione di partenza era tutt’altra.

Educare e dare conforto

Dalla fine dell’apartheid, il MiET prepara del materiale pedagogico basato su precisi orientamenti: promozione della salute, ambiente e democrazia. Su suggerimento della DSC, l’ONG si impegna anche nel campo della prevenzione dell’Aids.

A Mandlezulu l’ONG è presente dal 2002 e la scuola è diventata il

centro di una rete di otto istituti che beneficiano della sua infrastruttura. Dieci computer collegati a Internet, una fotocopiatrice, un fax e una biblioteca. Tutti servizi aperti alla popolazione: sembra poco, in realtà si tratta di uno sforzo enorme.

In ogni scuola, gli allievi contagiati dal virus HIV possono contare sull’appoggio di una “tata”. Qui si chiama Bona e nessuno discute la sua parola quando dichiara di “amare troppo i bambini”.

Il suo ruolo è importantissimo: ascoltare, consolare, coccolare, incoraggiare i suoi protetti ad assumere le loro pillole quotidiane. Nelle scuole del MiET, infatti, sono offerte le multiterapie. Un privilegio davvero raro in Sudafrica.

Quanto agli insegnanti, hanno imparato a rispondere ai casi più disperati. “Prima sgridavano i ragazzini che arrivavano in ritardo o che crollavano dal sonno sui banchi. Ora riescono a comprendere i drammi che possono nascondersi dietro questi segnali”, sottolinea soddisfatto Z.S. Gazu.

Drammi che l’assistente sociale tenta di risolvere, o di mitigare, visitando le famiglie. Ma qui non è affatto evidente per una giovane donna confrontarsi con i padri che abusano delle proprie figlie. A volte ci riesce. E lo stupratore finisce in prigione.

Canti, danze e drammi

Oggi regna una certa fibrillazione nelle quattro modeste baracche

dove sono stipati i settecento allievi e i quindici insegnanti della scuola. Ci si appresta ad accogliere, infatti, Lynn van der Elst, responsabile del progetto HIV/Aids del MiET e il suo ospite venuto dalla Svizzera.

L’incontro comincia con una preghiera. A nome del Consiglio una donna dalle forme generose scandisce un discorso di benvenuto, che ben presto si trasforma in un gospel, ripreso subito in coro dall’assemblea. “Quando siamo emozionati – sussurra Moussa, coordinatore locale del MiET – non possiamo fare a meno di cantare”.

Di cantare, certo, ma anche di ballare. Una quindicina di ragazze, capelli corti e rigoroso perizoma, mostrano la loro abilità nel sollevare la gamba durante la famosa danza

zulu, resa celebre in Occidente dal cantante Johnny Clegg. “Tutti qui lo sanno fare. Per questo non c’è bisogno di andare a scuola”, osserva Moussa.

Questa allegria, ricorda Lynn, non deve offuscare le tragedie individuali. È stata insegnante e sa perfettamente che nel suo paese un bambino su tre è vittima di abusi. “La violenza fa parte di questa terra. Gli uomini, che sono stati umiliati fino all’ultimo dall’apartheid, si vendicano come possono”. Motivo in più per agire a scuola. Poiché, come indica la DSC nella sua documentazione, all’interno di un comune la scuola è spesso “l’istituzione più forte e stabile”.

swissinfo, Marc-André Miserez, Nongoma, (traduzione: Françoise Gehring)

Secondo le stime dell’ONU, alla fine del 2003 l’Africa del Sud contava 5.3 milioni di sieropositivi, su una popolazione di 45 milioni.
Nella fascia di età tra i 15 e i 49 anni, 1 abitante su 5 è portatore del virus HIV e mezzo milione di persone muoiono ogni anno.
La pandemia pesa sulla riduzione della speranza di vita media, passata da 53 anni nel 1970 a 47 nel 2004.
Ufficialmente il 90% dei bambini frequenta la scuola elementare, gratuita nelle regioni più povere. Le ONG dubitano tuttavia di questo dato.

Su 9 milioni di aiuti annuali all’Africa australe, la DSC consacra circa 600 mila franchi ai programmi del MiET, il cui obiettivo è trasformare le scuole in centri di aiuto per i bambini vittime dell’Aids, come pure in centri di promozione della salute.

La Svizzera, all’interno del programma di aiuto regionale, vuol estendere le azioni nel campo dell’educazione e della tutela della salute, anche a Mozambico, Malawi, Zambia e Swaziland.

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