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Kosovo, quei corpi senza nome ormai dimenticati

Valérie Brasey alla ricerca di identità perdute. swissinfo.ch

A quasi 12 anni dalla fine della guerra in Kosovo, i corpi di oltre 300 vittime restano ancora senza nome tra le mura dell'obitorio di Pristina. Valérie Brasey, esperta di diritti umani a Ginevra, collabora con i medici legali per cercare di identificare i resti di queste persone.

Dalla fine della guerra in Kosovo, nell’estate del 1999, l’obitorio di Pristina ha catalogato tutti i campioni di DNA delle migliaia di vittime del conflitto. All’appello ne mancano però ancora 320: corpi lasciati senza nome, nell’attesa dei campioni di sangue con cui poterli paragonare.

A Pristina, il compito di Valérie Brasey non è certo dei più facili. Spetta a lei prendere contatto con le famiglie alla ricerca dei loro cari, convincerli a farsi analizzare il sangue e ottenere informazioni per un’eventuale sepoltura dei corpi.

«L’identificazione delle persone scomparse è parte del processo di elaborazione del passato», spiega Caroline Tissot, responsabile del dossier presso il CICR. «Permette di ridurre le tensioni tra gruppi etnici e incoraggia la transizione verso uno stato pacifico, contribuendo così a garantire una maggiore stabilità nel Sud-Est europeo».

Nel 2010 soltanto un ventina di famiglie hanno donato il loro sangue. In te casi sono state trovate delle corrispondenze con gli organi ancora detenuti in obitorio. Una scoperta drammatica per queste famiglie che in passato avevano seppellito dei perfetti sconosciuti, convinti che fossero membri della loro famiglia.

In totale, oltre 500 persone sopra i 65 anni sono scomparse durante e dopo la guerra nei Balcani, molti dei quali sono di origine serba. Oltre 850 corpi di albanesi sono stati finora esumati in Serbia.

False identificazioni

Il caos sembra essersi scatenato nel 1999 quando i resti delle vittime furono seppelliti senza prima essere stati identificati scientificamente. Lo stesso anno, il Tribunale penale inviò una squadra della polizia scientifica per raccogliere informazioni sul massacro perpetuato durante il conflitto.

«Trovarono molti luoghi di sepoltura e riesumarono migliaia di corpi per raccogliere delle prove nell’inchiesta per genocidio», spiega Valérie Brasey. «L’identificazione dei resti non è però sempre stata una priorità e alcune squadre riseppellirono le vittime senza lasciare traccia». Le statistiche mostrano come il 10% dei corpi seppelliti nel 1999 potrebbero essere stati registrati in modo sbagliato.

Nel corso delle indagini, le forze della NATO e gli agenti dell’OSCE, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, hanno raccolto informazioni sulle fosse comuni senza però condividerle sempre con gli altri attori coinvolti.

Ora il CICR sta spulciando tra i vari documenti per cercare di identificare le tombe ancora sconosciute. L’organizzazione internazionale, con sede a Ginevra, ha lavorato sul campo durante tutto il periodo del conflitto ed è l’istituto di riferimento per quanto riguarda la lista delle persone scomparse.

Alla ricerca di informazioni

Grazie allo scambio di informazioni tra i governi serbo e kosovaro e tra le associazioni delle famiglie dei “desaparecidos”, l’elenco delle persone scomparse è stato ridotto da 6’000 a 1’822. Spesso, però, ci vogliono anni prima di poter identificare con certezza le vittime. Negli ultimi tre anni, le autorità sono riuscite a riconoscere soltanto 40 corpi.

Un risultato piuttosto frustrante, ammette Lina Milner, a capo del gruppo di lavoro sulle persone scomparse. «Stiamo cercando di spingere tutte le parti in causa trovare nuove vie per raccogliere informazioni, ad esempio grazie all’aiuto dei testimoni di guerra o attraverso gli archivi nazionali. Anche se, in fondo, presunti responsabili dei massacri sarebbero ovviamente le migliori fonti di informazioni…».

Haki Kasumi è la responsabile dell’associazione delle famiglie degli albanesi del Kosovo scomparsi durante il conflitto. Suo cognato Urkshin Hoti, attivista politico, fu arrestato dai serbi nel 1994. Avrebbe dovuto essere rilasciato nell’aprile del 1999 ma da allora non è mai più stato visto.

La famiglia ha pagato migliaia di euro per strappare qualche indicazione, ma i loro presunti informatori sono scappati con i soldi. «Quando qualcuno della tua famiglia scompare, sei disposto a fare di tutto pur di ritrovarlo. Noi siamo gli unici ad aver perso così tanti soldi nella speranza di ritrovarlo», racconta Kasumi.

Altre tombe

Il Dipartimento di medicina legale ha individuato 20 possibili luoghi di riesumazione. La maggior parte è composta di tombe individuali in cimiteri, ma sulla lista ci sono anche alcuni siti enormi e diverse fosse comuni.

Una mappa dettagliata è appesa alla parete dell’ufficio di Brasey, nel dipartimento di medicina legale. I luoghi di sepoltura sono segnati in rosso e in verde. Brasey ricorda il villaggio di Zhilivode Vushtrri, ex roccaforte dell’UCK, dove si dice che 23 serbi siano stati uccisi e gettati nel pozzo di una miniera.

L’operazione di recupero costerà decine di migliaia di euro: i corpi si trovano infatti a 25 metri di profondità e non sarà facile riportarli in superficie. Il governo del Kosovo ha accettato di condividere le spese e di fornire assistenza logistica durante gli scavi.

Un’altra puntina colorata segna un luogo in alta montagna, al confine con il Montenegro, dove potrebbe esserci una fossa comune. I corpi di sette o otto soldati sarebbero stati sepolti in questa zona altamente minata e prima di poterli riesumare, sarà necessario rendere accessibile la zona.

Si stima che i resti di almeno 400 persone siano stati bruciati durante la guerra. I resti dei corpi sono stati rinvenuti nel villaggio di Goden vicino a Gjakova. Qui, secondo alcuni testimoni, sarebbero state uccise una ventina di persone e i loro corpi inceneriti.

«Mi piacerebbe poter restituire queste ceneri alla comunità», racconta Brasey. «Abbiamo chiesto al governo del Kosovo di preparare un documento legale da dare alle famiglie delle vittime, che consenta loro di lasciarsi questo dramma alle spalle e di risolvere eventuali problemi si successione».

1974: lo statuto di autonomia del Kosovo, riconosciuto dalla Seconda guerra mondiale, viene ancorato nella Costituzione della Federazione jugoslava

1989: il presidente serbo Slobodan Milosevic annulla lo statuto di autonomia e invia l’esercito in Kosovo per sedare le proteste.

1998: decine di migliaia di kosovari abbandonano le loro case in seguito ad un’offensiva condotta da Belgrado contro l’Esercito di liberazione del Kosovo (UCK).

1999: la Nato lancia una serie di attacchi aerei contro la Serbia per porre fine al conflitto tra le forze serbe e gli indipendentisti albanesi. Dopo oltre due mesi di bombardamenti, soldati della Nato vengono stazionati in Kosovo e la provincia viene posta sotto il protettorato dell’Onu.

2007: il leader separatista Hashim Thaci vince le elezioni parlamentari e preannuncia la proclamazione dell’indipendenza del Kosovo.

2008: diventato primo ministro, Hashim Thaci dichiara in febbraio il Kosovo uno Stato «indipendente, sovrano e democratico». Pochi giorni dopo, la Svizzera riconosce l’indipendenza del Kosovo e instaura relazioni diplomatiche e consolari con questo nuovo paese dei Balcani.

2010: il Partito democratico del Kosovo di Hashim Thaci vince le prime elezioni legislative dall’indipendenza del Kosovo.

(Traduzione e adattamento dall’inglese)

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