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Kosovo: conflitto doganale cela i veri problemi

Dal 1999 i soldati della SWISSCOY sostengono la missione KFOR Keystone

L'intesa raggiunta tra la missione NATO in Kosovo – la KFOR – e la Serbia per smorzare le tensioni nel nord del Kosovo poggia su basi traballanti. Secondo l'esperto di Balcani e giornalista Andreas Ernst, occorrerebbe una soluzione diversa.

La KFOR e Belgrado si sono messi d’accordo nella notte da mercoledì a giovedì sul ripristino della libera circolazione ai due valichi di frontiera kosovari con la Serbia di Jarinje e di Brnjak, teatro di violenze la scorsa settimana, dopo la decisione di Pristina di bloccare l’importazione di merci dalla Serbia.

L’intesa prevede che le forze della NATO continueranno a controllare i due posti di frontiera almeno fino alla metà di settembre e che tutti i blocchi nel nord del Kosovo, dove vive la minoranza serba, saranno rimossi.

Immediatamente dopo l’annuncio, il governo di Pristina aveva respinto l’accordo, giudicandolo “inaccettabile”. Tuttavia, giovedì, il primo ministro kosovaro Hashim Thaci ha corretto il tiro.

“La situazione è stata chiarita dopo gli sviluppi della scorsa notte”, ha dichiarato, rallegrandosi di avere avuto in mattinata “una riunione fruttuosa” con il comandante della KFOR Erhard Bühler. “Ci siamo messi d’accordo sulle prossime tappe”, ha aggiunto, senza fornire dettagli.

Per un’analisi della situazione, swissinfo.ch si è rivolta al giornalista del quotidiano Neue Zürcher Zeitung Andreas Ernst, profondo conoscitore della regione.

swissinfo.ch: Il conflitto di confine del Kosovo continua, nonostante la mediazione internazionale. Dove risiede il problema?

Andreas Ernst: Dietro questo conflitto di confine in realtà si gioca un conflitto territoriale. Per la regione a maggioranza albanofona, che costituisce il 90% nel sud, questo conflitto in linea di principio è risolto. Diversa è la situazione nella punta settentrionale, che costituisce circa il 10% del territorio: il 97% della popolazione sono di lingua serba, si considerano serbi e percepiscono questa zona come parte della Serbia.

swissinfo.ch: La comunità internazionale ha qualche ricetta per risolvere il problema?

A.E.: No, perché anch’essa è divisa su questo tema. All’interno dell’UE 22 paesi hanno riconosciuto il Kosovo, gli altri cinque no. Quindi non esiste una posizione comune dell’UE. E poiché non tutti gli Stati membri, della NATO hanno riconosciuto il Kosovo, ciò vale anche per l’alleanza militare, che rappresenta la maggior parte delle truppe della KFOR in Kosovo.

Nel Consiglio di sicurezza dell’ONU la Russia e la Cina sono contro l’indipendenza. Tra i 192 Stati membri delle Nazioni Unite solo 75 hanno riconosciuto il Kosovo.

swissinfo.ch: Apparentemente si tratta di un conflitto doganale. Si potrebbe paragonare la zona a nord di Mitrovica con la zona franca svizzera di Samnaun?

A.E.: In un certo senso, sì. È  quasi una zona franca, dove le merci sono importate dalla Serbia senza dazi doganali. Da qualche tempo queste merci sono controllate da poliziotti di confine di origine serba, ma che fanno parte di strutture del Kosovo e che sono sostenuti da doganieri dell’EULEX.

La merce è poi sdoganata solo a sud di Mitrovica, al confine di fatto, dove comincia veramente la sovranità di Pristina.

swissinfo.ch: Che cosa succederebbe se la regione settentrionale andasse in mano alla Serbia e la Serbia cedesse un’altra zona al Kosovo?

A.E.: Una possibilità potrebbe effettivamente essere un compromesso territoriale con il quale questo lembo settentrionale andrebbe alla Serbia, o rimarrebbe alla Serbia dal punto di vista serbo, e in cambio due o tre villaggi nel sud della Serbia direttamente adiacenti al Kosovo sarebbero assegnati a quest’ultimo.

Questa soluzione, che in conversazioni private spesso è sostenuta da molti albanesi e serbi del Kosovo, è controversa soprattutto nella comunità internazionale. Si teme che così le divisioni etniche all’interno dei paesi dei Balcani continuerebbero.

Penso che questo sia esagerato, dal momento che con l’indipendenza del Kosovo, popolato per oltre il 90% da albanofoni, si è già compiuta una divisione etnica, o per così dire è stato commesso il primo “peccato”.

Ora si deve di nuovo negoziare e trovare una soluzione di compromesso. Va anche nell’interesse di Pristina, che essendo solo parzialmente riconosciuta come membro della comunità internazionale, si trova nel vuoto. Una soluzione concorde dovrebbe portare al riconoscimento reciproco fra Serbia e Kosovo.

Ciò implicherebbe anche che il Kosovo dovrebbe diventare uno stato veramente funzionante. Ma il problema doganale distoglie l’attenzione dai veri problemi del Kosovo: l’economia, la corruzione e una conduzione governativa responsabile.

swissinfo.ch: La KFOR, e con essa il contingente SWISSCOY, svolge un importante ruolo. Perché?

A.E.: La KFOR è la migliore missione internazionale qui. È un fattore di potenza e di conseguenza ottiene rispetto. Per gli albanesi del Kosovo è anche importante il fatto che la KFOR è guidata dalla NATO, la quale ha liberato il Kosovo nella guerra contro la Serbia.

Ma anche per i serbi che vivono nelle enclavi nel Kosovo meridionale, la KFOR, di cui fa parte anche la SWISSCOY armata, è un garante della sicurezza.

swissinfo.ch: Questo non sembra essere gradito da tutti in Svizzera. C’è chi sostiene che il coinvolgimento della SWISSCOY non è compatibile con gli obiettivi della politica estera della Svizzera,

A.E.: È una questione di principio. La Svizzera dopo la dichiarazione di indipendenza del Kosovo lo ha rapidamente riconosciuto come Stato. A me sembra dunque logico impegnarsi in questa indipendenza sorvegliata. Se non lo si avesse voluto, non si avrebbe potuto riconoscer il Kosovo.

La Svizzera contribuisce con circa 200 volontari al contingente di circa 6’000 soldati della KFOR. All’interno della KFOR, i grandi paesi come gli Stati Uniti, diversamente dalle truppe svizzere, hanno una forte immagine. Ciò non dipende dalle loro prestazioni, ma dal valore simbolico del loro impegno.

La Svizzera non brilla particolarmente. È considerata da molti serbi come filoalbanese. È una conseguenza del riconoscimento precoce del Kosovo.

swissinfo.ch: Il Kosovo è veramente in grado di sopravvivere?

A.E.: Ovviamente. Ma è un paese in un limbo, che deve essere collocato su una solida base. A mio parere, questa base è un accordo di pace tra Pristina e Belgrado.

Ciò riveste un grosso interesse per la Serbia. A Belgrado, tutte le persone ragionevoli sanno che il Kosovo nel suo complesso è perduto. Si tratta dunque di ottenere un compromesso per salvare la faccia. Parte di questo potrebbe essere lo scambio della punta nord. Pristina sarebbe così sollevata da un grande problema di integrazione.

Un compromesso deve beneficiare entrambe le parti, non può più esserci un perdente. Deve produrre per entrambe le parti un situazione win-win.

A differenza del conflitto israelo-palestinese, a mio avviso, è molto più facile trovare una soluzione. Se non altro perché in definitiva entrambe le parti vogliono la stessa cosa: far parte di un’Europa unita.

Nato nel 1960 a Zurigo, storico di formazione, Andreas Ernst dal 1999 vive e lavora nei Balcani. È corrispondente del quotidiano Neue Zürcher Zeitung (NZZ) e partecipa a uno studio sulla formazione dello Stato del Kosovo.

Tra il Kosovo e la Svizzera sussistono stretti legami dagli anni ’90, quando le tensioni e la situazione economica precaria nell’ex provincia serba hanno spinto decine di migliaia di kosovari a cercare rifugio o lavoro sul territorio elvetico.

In Svizzera vivono attualmente tra 150’000 e 170’000 cittadini kosovari, ossia quasi il 10% della popolazione residente in Kosovo. Di questi, circa 10’000 sono di originese serba, rom o slava.

La Confederazione è uno dei più importanti paesi donatori del Kosovo. Tra il 1999 (anno del conflitto tra serbi e kosovari) e il 2010 le autorità elvetiche hanno stanziato circa 700 milioni di franchi per sostenere lo sviluppo e la stabilità politica ed economica del Kosovo.

La Svizzera partecipa inoltre dal 1999 alla missione di pace delle truppe internazionali KFOR (Kosovo Force), guidata dalla NATO. Ogni anno fino a 220 soldati svizzeri della SWISSCOY sono stazionati in Kosovo.

(Traduzione dal tedesco: Sonia Fenazzi)

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