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Klimt, Schiele e la Vienna del primo 900

Egon Schiele, Kardinal und Nonne, (cardinale e monaca) del 1912 Leopold Museum Wien

Il modernismo viennese per la prima volta alla Fondazione Beyeler in una grande mostra che raccoglie oltre 300 tra dipinti, disegni e manufatti d’arte applicata realizzati dai maggiori esponenti culturali della capitale asburgica a cavallo tra XIX e XX secolo.

Sebbene il fulcro di questa grandiosa esposizione sia costituito dai celebri ritratti e paesaggi di Gustav Klimt (1862-1918), dalle potenti figure espressive di Egon Schiele (1890-1918) e dai loro leggendari disegni erotici, per la curatrice viennese Barbara Steffen, era chiaro fin dall’inizio di non voler allestire un’ennesima mostra su Klimt e Schiele.

“Per me era importante capire cosa s’intende per modernismo viennese e nel concepire questa esposizione ho cercato di riflettere su quale fosse il significato di Vienna e della sua cultura. E l’idea che emergeva continuamente era quella di ‘opera d’arte totale’”, spiega a swissinfo.ch. “Naturalmente ci sono già state numerose esposizioni su Klimt e Schiele, ma il concetto di ‘opera d’arte totale’ resta il più significativo perché, sebbene sia un’asserzione della Vienna del XIX, mantiene la sua validità nel XX e pure nel XXI secolo.”

Vienna “officina” di un’arte democratica

È quindi l’idea di ‘opera d’arte totale’, ovvero di un’arte che elimina la tradizionale distinzione tra arte ‘alta’ – propria alla pittura – e ‘bassa’ -a cui erano relegate le altre arti- ad attraversare come un filo rosso questa imponente esposizione.

E di questo principio ‘democratico’ che, grazie all’unione di discipline diverse poteva dare un nuovo volto a tutti gli aspetti della vita umana, furono sostenitori gli esponenti della Secessione viennese – il movimento fondato nel 1897 da un gruppo di pittori, scultori e architetti – e della Wiener Werkstätte – un laboratorio di artigianato artistico sorto a Vienna nel 1903 per promuovere una stretta collaborazione tra artisti e artigiani.

Così, in sintonia con questo spirito collaborativo ed egualitario, il percorso espositivo è studiato in modo che dipinti disegni e acquarelli dei maggiori artisti dell’epoca, quali Klimt, Schiele, ma anche Oskar Kokoschka (1886-1980), Arnold Schönberg (1874-1951) e Richard Gerstl (1883-1908), dividano lo spazio con i progetti architettonici di Josef Maria Olbrich (1967-1908), Otto Wagner (1841-1918) e Adolf Loos (1870-1933), le sedie, gli oggetti e le scenografie di Josef Hoffmann (1870-1956), i mobili di Koloman Moser (1868-1918), tutte testimonianze dell’enorme “officina” del modernismo viennese.

Fermenti e contraddizioni

La panoramica offerta dalla mostra comprende il ventennio tra la costituzione della Secessione viennese e il 1918, anno della morte di Klimt, Wagner e Moser, suoi più eminenti promotori. Ma anche di quella del giovane Schiele, inizialmente influenzato dall’ideale dell’opera d’arte totale dei secessionisti, da cui prende distanza per approdare al linguaggio di un nascente espressionismo.

In quel periodo Vienna era punto di convergenza degli spiriti più illuminati dell’impero e centro di sperimentazioni pittoriche, musicali, letterarie che, in conflitto con i valori tradizionali e la mentalità conservatrice, miravano a una profonda innovazione che valorizzasse la modernità e l’internazionalità.

Una stagione quindi attraversata da un intenso fermento culturale ma anche dalle contraddizioni e dai conflitti che portarono allo sgretolamento delle fondamenta imperiali degli Asburgo e al conflitto della prima guerra mondiale.

Klimt, padre spirituale della Secessione

Per introdurre il pubblico al fermento creativo di quest’epoca, nel foyer della Fondazione è stata riprodotta una copia del celebre “Fregio di Beethoven”, realizzato da Klimt nel 1902 per la 14a mostra della Secessione, di cui l’artista fu primo presidente.

Concepito come un’interpretazione della Nona Sinfonia e rappresentante l’allegoria della salvezza dell’umanità attraverso l’arte, il fregio fu dipinto sulle pareti del Palazzo della Secessione, lo spazio espositivo ufficiale del movimento, progettato da Josef Maria Olbrich su un disegno di Klimt e costruito tra il 1897 e il 1898.

Questo edificio, che sul frontone riporta il motto programmatico dei secessionisti -“al tempo la sua arte, all’arte la sua libertà”- è diventato il simbolo di Vienna e in mostra lo vediamo riprodotto in un modello originale accanto ad altri documenti della Secessione.

E proprio a Klimt, padre spirituale del secessionismo, alle linee sinuose del suo stile ricco di raffinato e seducente decorativismo, alla stilizzazione rigorosa e armonica delle sue composizioni che mescolano contenuti simbolici, erotici ed esoterici, e alla bellezza enigmatica delle sue figure femminili, la mostra dedica più di 3 sale, per un totale di circa 50 tra dipinti, disegni e schizzi.

Tra i lavori più significativi si ricorda la presenza di capolavori del calibro di “Goldfische” (1902), con le sue donne sinuose e fluttuanti come sirene, o “Judith II” (1909) nota come Salomé, o ancora “Die Tänzerin”(1916-18), “un’opera di straordinaria raffinatezza formale da cui la Neue Galerie di New York – confessa con soddisfazione il direttore della Fondazione Sam Keller – si separa per la prima volta”.

Schiele e il nascente espressionismo

Ma il rinnovamento estetico che investì Vienna all’inizio del 900 fece da culla ad altri grandi fari della modernità tra cui Egon Schiele, l’altro indiscusso protagonista di questa esposizione e qui presente con 20 dipinti e oltre 50 prestigiosi lavori su carta.

Inizialmente influenzato dal linguaggio di Klimt – suo mentore e amico e al quale rende omaggio nella tela “Die Eremiten” (1912) che raffigura i 2 artisti avvolti in un mantello nero – Schiele prende presto distanza dal decorativismo klimtiano e intensificando la forza emotiva della linea, riducendo le forme a pure sagome e impiegando il colore in modo antinaturalistico, approda a un linguaggio espressionista.

Suoi temi prediletti sono l’auto rappresentazione e le vicende autobiografiche ma a partire dal 1910 l’attrazione per la fisicità si fa dominante e le sue composizioni diventano via via sempre più essenziali, lo spazio sembra annullarsi, i punti di vista diventano inconsueti e le posture disarticolate e sgraziate. Il risultato è una spettacolarizzazione dei corpi che diviene il tramite verso l’interiorità delle figure rappresentate.

“Mentre Klimt ha fatto sovente della bellezza della donna e della vita il suo tema, Schiele si è interessato anche alla malinconia, al dolore e alla parte oscura delle nostre emozioni e della nostra vita”, sottolinea Sam Keller. “Possiamo allora dire che i due artisti erano molto vicini ma nei loro quadri mostrano degli aspetti molto diversi della vita umana.”

Klimt, Schiele e il loro tempo, in corso alla Fondazione Beyeler di Riehen, presso Basilea, resterà aperta fino al 16 gennaio 2011. La mostra riunisce ca. 200 tra dipinti, disegni acquarelli e schizzi di Klimt, Schiele, Kokoschka, Schömberg, Gerstl e oltre 100 tra modelli architettonici, mobili, oggetti in vetro e argento, fotografie e manifesti.

Le opere provengono da importanti collezioni pubbliche e private tra cui l’Albertina di Vienna, il Kunsthaus di Zug e il Leopold Museum di Vienna che conserva la più grande collezione al mondo di Egon Schiele e ha prestato 80 lavori. Altre opere significative sono state concesse dalla Galleria d’Arte Moderna Ca’ Pesaro e dalla Fondazione Musei Civici di Venezia e dai musei newyorkesi Neue Galerie, Museum of Modern Art e Guggenheim Museum.

La Secessione viennese fu fondata nel 1897 da 19 artisti -tra cui pittori, scultori e architetti- che si staccarono dall’Accademia di Belle Arti per formare un gruppo autonomo, chiamato prima Associazione degli Artisti Figurativi d’Austria e ribattezzato poi Secessione viennese.

I principali fautori furono l’architetto Joseph Maria Olbrich -che progettò il Palazzo della Secessione- e il pittore Gustav Klimt, che eletto primo presidente, ne divenne l’indiscussa guida spirituale. Fu sempre Klimt a occuparsi dei numerosi allestimenti del gruppo e della rivista Ver Sacrum, organo portavoce del movimento.

La Secessione promosse la contaminazione tra le arti e annoverò al suo interno personaggi come Koloman Moser, designer che si distinse per le importanti innovazioni nella grafica del libro, Joseph Hoffmann, architetto e arredatore che progettò l’atrio del Palazzo della Secessione, Otto Wagner, prestigioso accademico e architetto che simpatizzò con le teorie secessioniste abbracciandone lo stile nella progettazione, ad esempio, delle strutture in ferro per la metropolitana di Vienna.

La Wiener Werkstätte, il laboratorio viennese di produzioni di oggetti di artigianato artistico, fu fondato nel 1903 da Josef Hoffmann, Koloman Moser e dal banchiere Fritz Wärndorfer sulla falsariga di esperienze simili sorte in Europa alla fine dell’800 (come quella del laboratorio “Guild of Handicraft” di Charles Ashbee a Londra).

Design, mobili, argenteria, vetro, bigiotteria, quadri, grafiche, opere tessili, venivano, progettati da Hoffman e Moser ed eseguiti da un gruppo di artigiani. E per sottolineare l’importanza della collaborazione, anche gli artigiani apponevano sui prodotti il loro monogramma assieme a quello del progettista e al marchio WW della Wiener Werkstätte.

Per quasi 30 anni la WW produsse oggetti di lusso dal design semplice ed essenziale, che vendette essenzialmente alla borghesia. Il Museum für Angewandte Kust (MAK) di Vienna conserva una delle più grandi collezioni della Wiener Wekstätte.

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